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S.O.S. all’Europa

L’Italia si muove a piccoli passi, l’Europa sembra indiffente, eritrei, somali ed etiopi rischiano la vita in Libia

Comunità eritrea, somala ed etiope in conferenza stampa, ieri, a Roma per lanciare una richiesta di aiuto all’Europa. L’S.O.S. dell’agenzia Hadeshia e del Consiglio Italiano per i Rigugiati, ma anche del vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli, è per circa 4000 rifugiati delle tre nazionalità che rischiano la vita in Libia, per il solo colore della pelle.  L’“evacuazione umanitaria” ha già avviato i primi passi, quelli spirituali – tutte le parrocchie italiane e le comunità religiose pregheranno domenica prossima per le tensioni in nord Africa – e quelli “pratici”, portando in salvo nel centro Sant’Anna di Crotone, in due giorni, 58 eritrei, nuclei familiari con 27 bambini. «Eritrei, etiopi e somali – aggiunge Savino Pezzotta presidente del Cir – sono quelli che rischiano di più. Apprezziamo molto il primo sforzo fatto dal governo italiano, perché sembra un cambiamento di atteggiamento. Ma crediamo che l’Europa non possa rimanere indifferente».

I dati, comunque, restano allarmanti. Cinque somali – secondo quanto riferisce Aden Sabrie, corrispondente a Roma della Bbc – sarebbero stati già uccisi in Bengasi. «Quei pochi che riescono a varcare la frontiera con l’Egitto – prosegue, accennando ad una trentina di somali “espatriati” – non trovano all’arrivo un ambasciatore o un governo che li aiuti, perché sono rifugiati».

Ma non finisce qui. Più di trecento eritrei – spiega al Sir don Mussie Zerai dell’Agenzia Hadeshia – cercando di fuggire dal porto di Tripoli sarebbero stati poi catturati e imprigionati a pochi chilometri dalla capitale. «Nel carcere – afferma Zerai – soffrono per il freddo, la fame e la mancanza di acqua potabile. Le mamme non hanno latte per i neonati. Stiamo cercando in loco qualcuno che riesca a farli uscire dal carcere. Raccontano di varie aggressioni subite in strade, di furti, rapimenti. Hanno paura di uscire di casa, per cui non possono ricevere aiuti in denaro dalle famiglie e soffrono la fame». Oltre ai 19 eritrei rapiti nelle loro case durante i primi giorni della crisi libica e mai più rintracciati, don Zerai riferisce oggi del rapimento di alcune ragazze mentre andavano a fare la spesa. E della situazione di 500 eritrei, somali ed etiopi «in condizioni di totale abbandono» a Bengasi: «Hanno dormito per giorni sulla spiaggia, ora sono in una struttura di una compagnia turca, ma non è sufficiente. Hanno molta paura. Se crolla tutto, temono che la popolazione si sfogherà contro di loro».

Alle testimonianze “ufficiali” si aggiungono quelle dei parenti in Italia: «Mio fratello è riuscito ad uscire dal carcere pagando – ha raccontato Simon, rifugiato eritreo, in Italia da tanti anni – Ora vive con 20 persone e non esce mai di casa». Stessa cosa per la madre di Lulla, 26enne, eritrea, che ha viaggiato sui barconi mentre era incinta della figlia, che ora ha 7 anni: «Mia madre lavorava da 7 mesi in una famiglia. Ora ha perso anche il lavoro, perché la famiglia non vuole più tenerla in casa per paura. Vive con una ventina di persone, hanno difficoltà a reperire cibo. Spero solo che riesca a venire in Italia».

L’appello sommesso di una donna etiope ha chiuso la conferenza: «Vorrei che ci si rendesse conto che se scappiamo da un Paese che amiamo, dalla nostra famiglia, è perché lì qualcosa non va a livello politico e sociale».

About Simone Chiappetta (530 Articles)
Direttore responsabile del notiziario online "Laporzione.it" e responsabile dell'Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne. Laureato in Scienze della Comunicazione sociale e specializzato in Giornalismo ed Editoria continua la ricerca nell'ambito delle comunicazioni sociali. E' Regista e autore di
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1 Comment on S.O.S. all’Europa

  1. Walter // 12 Marzo 2011 a 18:30 //

    Prego ferventemente considerare quanto seguente. La comunicazione è stata diramata dall’Ambasciata dello Stato dell’Eritrea in Roma.

    Nessuna verifica è stata fatta sulla reale identità dell’unico referente di tutta la vicenda, il sedicente “Don” Mussie Zerai, che alcuni quotidiani affermano far parte del “Pontificio collegio etiopico” e altri essere un prete cattolico, e della sua associazione Habesha della quale non sono note ne le credenziali, ne il numero degli aderenti e men che mai la provenienza delle risorse economiche che ne consentono la sussistenza e le attività.

    Alla luce di queste considerazioni riteniamo che sarebbe stato doveroso verificare la eventualità che i migranti avessero con se il numero di telefono del Mussie e lo considerassero interlocutore prioritario perché questi è parte referenziale nel flusso clandestino dei migranti in territorio italiano.

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