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La Repubblica del Papa-Re

Cosa le democrazie europee potrebbero imparare da un monarca assoluto, e perché non lo imparano

«Sventolare la bandiera della secessione – ha detto ieri Giorgio Napolitano – significa tirarsi fuori dalla storia e dalla concreta realtà di questo mondo»: di tanto in tanto sono le ovvietà ad apparire idee geniali, anche se in effetti è un’ovvietà anche che le idee geniali si rivelano, retrospettivamente, delle idee semplicissime. La cosa interessante, nella dichiarazione del Presidente della Repubblica Italiana, non è la stroncatura del Senatùr (al quale l’aria di “Roma Ladrona” sembra giovare, se saluta i settant’anni in piena attività, nonostante tutto), bensì il lume gettato sul suo contesto vitale; si sbaglierebbe di grosso, poi, chi credesse che il contesto vitale di Bossi sia la Lega Nord, mentre è il nostro Paese, e – ancora di più – la nostra civiltà.

La cosa si mostra se si ha la pazienza, nonché la buona volontà, di andare a sfogliare le pagine dei quotidiani europei degli ultimi anni: quello che in questi ultimi giorni è innegabile, ossia il più che palpabile discredito in cui versa la persona del Presidente del Consiglio, era fino a poco fa rilevabile solo con molte sfumature e didascalie. Perché? Perché ora le voci sono istituzionali, mentre prima erano semplicemente gossip amplificato: la valutazione negativa di Standard&Poor’s, i pm che finalmente sembrano sul punto di realizzare il ventennale sogno di giudicare Berlusconi, gli alleati che si fanno timidi e gli ex-alleati che alzano la voce (come a prenotare una parte nel bottino che si preannuncia doversi spartire a breve); anche a Lampedusa i nodi di promesse mai mantenute sembrano venire al pettine, ed è facile avere l’impressione che “qualcosa” sia agli sgoccioli davvero. Che questo “qualcosa” sia esclusivamente il governo dell’attuale maggioranza può crederlo solo un uomo radicalmente ingenuo, il quale non ha mai realizzato che l’aura di inaffidabilità tesa attorno al Cavaliere è in vario modo tesa anche attorno ad altri potenti (con meno virulenza e talvolta con meno fondamenti). Ancora oggi, a dire il vero, i termini in cui i telegiornali (ancora il mezzo di divulgazione dal raggio di portata più ampio) offrono il servizio informativo parlano di finanziarie e di manovre di salvataggio senza mai entrare nello specifico; i dettaglî, invece, abbondano a proposito di escort, intercettazioni telefoniche, inciucî e corna di vario assortimento. Certo: anche i tg sono sotto la dittatura dell’audience, e un pubblico tirato su a Beautiful e Amici sarà molto più ricettivo a pettegolezzi piccanti che a una ponderata tavola rotonda di economisti da tutto il mondo, ma Beautiful e Amici avevano trovato la propria nicchia commerciale già prima di ampliarla. Tutto questo serve a scagionare e giustificare Berlusconi? Acqua, e se persino una come la Marcegaglia è venuta allo scoperto con parole di aspra critica, forse non è nel gossip che va cercata la notizia che la frase di Napolitano denuncia.

E che c’entra quella frase di Napolitano, mirata contro i secessionisti, con lo stato scricchiolante del Governo, sull’orlo di una crisi che ha tutte le chances di essere l’ultima? C’entra con entrambe, sì, e con molto di più: la condizione per cui si può passare dalla cronaca alla Storia, e dai quotidiani alle enciclopedie, è il saper cogliere gli eventi non solo come mere cause, ma anche come effetti. Per questa ragione non è solo importante cosa Berlusconi e Bossi abbiano realmente fatto, in bene o in male, ma pure come e perché essi siano stati eletti più e più volte, ovvero come mai delle larghissime fette di popolazione abbiano individuato in loro le figure rappresentative dei proprî orientamenti politici – ad esempio i Tedeschi, memori di ben altri leader (Führer è la traduzione letterale di leader), si pongono frequentemente questa domanda.

La domanda è quindi, ultimamente, sul concetto stesso di democrazia, e riguarda non solo i politici italiani, ma tutto quell’orizzonte socioculturale in cui la velocità e l’elementarità impongono che le opinioni pubbliche vengano plasmate a suon di scandaluccî e di slogan: «Significa tirarsi fuori dalla storia e dalla realtà concreta di questo mondo». Illuminante, Presidente! Ad ascoltarLa, oggi, non si resta neanche troppo stupiti della notizia, dell’altra settimana, di quei mentecatti che hanno denunciato Benedetto XVI all’Aia per “crimini contro l’umanità”: si potrebbe almeno attenuare la loro idiozia, se si potesse sostenere che cercavano “il colpaccio scandalistico” al di qua delle aspettative di un seguito della loro denuncia; si potrebbe, sì, ma non si può, perché il vero problema della nostra temperie politico-culturale è che non c’è (più) un vero scarto tra lo scandalo e l’argomento, dal momento che lo scandalo è l’unico argomento.

Diversamente cosa sarebbe? Beh, diversamente degli individui che andassero a denunciare chicchessia presso un qualsivoglia tribunale avrebbero il buonsenso d’informarsi se per caso i loro capi d’accusa costituiscano crimine presso quel tribunale, se la persona che vorrebbero far processare possa effettivamente esserlo, soprattutto se il crimine sostenuto dalle loro accuse sussista veramente in quanto attribuibile al potenziale imputato. Diversamente lo stesso uscere del Tribunale dell’Aia avrebbe bonariamente sorriso dei cretini, avendoli presi per dei buontemponi, invitandoli con una battuta di spirito a non esporsi immotivatamente, irragionevolmente e inutilmente al pubblico ludibrio su un palcoscenico internazionale contro un uomo di fama mondiale e di autorità universale.

Il principio, invece, non è avere torto o ragione, né riuscire a tutti i costi a farsi dare torto o ragione da un tribunale, ma insinuare, ripetere, confondere le idee, arruffare le informazioni in gomitoli inestricabili di malizia; il principio ricorda le direttive di Göbbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich: «Calunniate, calunniate. Qualcosa resterà». Così solo ora che una gelida bora d’irragionevolezza e faziosità sembra a un soffio dal paralizzare l’Europa qualcuno si ricorda che «la calunnia è un venticello», e che la giustizia è impossibile, senza il culto della verità. Se le generazioni di Europei degli ultimi cinquant’anni avessero sfogliato una volta il De civitate Dei di Agostino, invece di pavoneggiarsi dell’ennesima lettura del Diario in Bolivia di Che Guevara, probabilmente capirebbero qualcosa di più, di politica e di società, ricordando che «senza un amore tremebondo per la verità i nostri governi non sono che grandi associazioni a delinquere».

La verità è che non può capire niente dell’essenza della democrazia chiunque rigetti ogni idea di “tradizione”, perché «la tradizione è semplicemente democrazia estesa nell’arco del tempo» (G.K. Chesterton, Orthodoxy, 73, trad. mia). «La democrazia c’insegna a non disprezzare l’opinione di un buon uomo, anche se è il nostro stalliere; la tradizione ci chiede di non disprezzare l’opinione di un buon uomo, anche se è nostro padre» (ib., 74). Al di fuori di queste coordinate la democrazia diventa un insipido gateau di luoghi comuni come “ognuno ha diritto a…” e “la mia libertà finisce dove inizia la tua”: frasette che la Perugina disdegnerebbe di scrivere sulla carta dei Baci, e di cui chi le dice non saprebbe spiegare il perché. Di fatto, allora, chi governa (e chi si lascia governare) senza avere il pensiero rivolto alla verità, e quindi senza prestare orecchio alla tradizione, «si sta appellando alla superiorità di un “esperto” contro la grandiosa autorità di una marea di uomini».

Nessuna meraviglia, dunque, che Benedetto XVI soprassieda con lungimiranza politica, oltre che con pazienza serafica, agli imbecilli che scambiano la libertà di pensiero e di parola con la garanzia dell’impunità della loro arroganza: «La tradizione rifiuta di accondiscendere alla piccola e arrogante oligarchia di quelli che semplicemente si trovano a passare di lì» (ivi), ma che a uno sguardo non superficiale risultano semplicemente «fuori dalla storia e dalla concreta realtà di questo mondo». Né di un vero paradosso si parla, quando si considera che da un monarca assoluto viene oggi l’unica lezione di politica democratica in Europa: un Papa sa bene che il suo “potere assoluto” è terribilmente contingentato dal legame specialissimo che egli ha con i proprî predecessori e con i proprî successori, e questo tutela straordinariamente i “sudditi” dall’essere assoggettati alle “fregole del capo”. I buoni politici (tralasciamo i cattivi) sono al limite preoccupati che il sistema delle pensioni non lasci scoperti domani quelli che oggi pagano per chi ieri pagò per quelli dell’altro ieri. Non è poco, anzi, vi si avverte la marca solidale della vita sociale, ma questo non può bastare, se non si coglie la struttura esistenziale dell’uomo – bisognoso di stabilità nella verità, a fronte del mutare degli eventi – dietro alla semplice esigenza di far quadrare i conti dell’INPS. Gli anni di un pontificato sono sempre segnati dalla cura che l’adeguata risposta alle esigenze del momento presente possa essere letta in fedele continuità con lo spirito di quanti hanno già condiviso la fede nel Cristo facendo fronte alle esigenze del loro momento presente, e parimenti si disponga a essere proseguita in fedele continuità da quanti, condividendo nel futuro la fede nel Cristo dovranno far fronte alle esigenze del loro momento presente.

Da nessun altro governante ci si può aspettare altrettanto – anche se la storia ha mostrato più volte che una simile dedizione al vero bene non è da escludere, nei politici – perché nessun altro ha un ufficio così strettamente connesso con l’amore per la verità.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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