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Non è più tempo di liberare Barabba

Il pericolo contemporaneo dell’indifferenza alla Pilato. La crisi letta attraverso l’opera di Daumier

Non passa giorno che non si parli di crisi economica e finanziaria, ancor più si ritorna sull’argomento dinanzi a notizie strazianti di suicidi di imprenditori che non ce l’hanno fatta da soli a custodire la loro vita dinanzi a tasse, debiti finanziari e contributi previdenziali.
La crisi è sempre un momento difficile in cui si è messi alla prova da forze economiche, politiche e culturali. Ognuna di esse è portatrice di cambiamenti che spesso può comportare anche nuovi modi di interpretare la dignità dell’uomo, modi che non necessariamente sono da considerare migliori.
La storia ci ha donato molti esempi di crisi economico-finanziarie dalle quali trarre delle lezioni di vita, ma puntualmente l’uomo si ritrova a dover fronteggiare situazioni difficili sempre più ampie nella dimensione e nelle conseguenze. Di certo non mancherà mai chi dirà che in futuro grazie a più informazioni, a più controlli, a più trasparenza, ecc. le crisi potranno essere evitate. In realtà è forse più probabile ipotizzare semplicemente che le crisi saranno sempre frutto dell’imponderabilità delle aspettative derivanti da decisioni di investimenti. Del resto non possiamo così facilmente sopprimere l’uomo sapiens rivestendolo completamente della razionalità dell’uomo economico. Le euforie, le follie, gli egoismi, le passioni, sono pulsioni che albergano nella natura stessa dell’uomo e se lasciate libere “firmeranno” sempre altre crisi.
Ci piace illuderci che attraverso la scienza economica, ovvero attraverso uno strumento razionale riusciremo a prevedere, anticipare, dominare, sottomettere gli eventi economici ormai di portata globale. Sembra che il fine ultimo di strumenti come la scienza economica, ma anche la politica, la religione nelle sue devianze fondamentaliste, sia la ricerca di un ordine che abbia come unica alternativa negativa non altre forme di ordine, ma il caos.
Ecco allora che il caos, l’irrazionalità, l’ambivalenza, ma anche i sentimenti, la spiritualità, la tolleranza, l’accoglienza di un “altro” rispetto a me, … la natura stessa, diventano la negazione dell’ordine, ovvero sono la conferma dell’esistenza dell’ordine da conseguire come unica alternativa possibile.
L’uomo contemporaneo secolarizzato non riesce più a concepire una esistenza in cui ci siano anche manifestazioni prive di un qualche intervento umano. Ogni cosa, persino la natura diventa una seria minaccia per l’uomo, un qualcosa della quale non ci si può fidare e, pertanto, bisogna escogitare il modo per dominarla, anticiparne i suoi “umori”. Bauman direbbe che “niente è più artificiale della naturalità: niente è meno naturale che raccomandarsi alla clemenza delle leggi della natura. …
Possiamo dire che l’esistenza è moderna nella misura in cui è determinata e sostenuta dal progetto, dalla manipolazione, dalla gestione, dall’ingegneria”.
Scrivo queste riflessioni durante il tempo di Pasqua e quasi per istinto penso di associarle all’immagine di un’opera di Honoré Daumier (1808-1879) meglio conosciuta con il titolo Ecce homo. È un lavoro che mi suscita sempre grandi emozioni; l’opera raffigura un momento della Passione di Cristo, quello in cui Pilato, mostrando alla folla Gesù, lascia che sia essa a scegliere se liberare il Cristo o Barabba. Ciò che mi colpisce è la percezione del movimento diffuso. Tutto è in agitazione, la folla sembra addirittura deformata dai movimenti. Gesù è la sola figura che mantiene una postura eretta, fiera e sicura di sé.
Ma cosa può esserci in comune tra un’opera realizzata a metà dell’Ottocento e la crisi economica? Apparentemente niente. Daumier era un noto caricaturista politico e non perdeva occasioni per attaccare l’ipocrisia e la corruzione che albergava tra la classe dirigente dell’epoca. L’Ecce homo potrebbe essere allora un manifesto di denuncia; quelle figure di uomini e donne sono state rese irriconoscibili da una più profonda deformazione morale che diventa il vero volto della folla. Pilato, così come gli anziani ed i sommi sacerdoti che persuasero la folla perché si mandasse a morire Gesù, erano troppo distanti dal Figlio di Dio per far prevalere la ricerca di una giustizia; molto più forte era un interesse che oggi potremmo dire “professionale”. La superficialità di Pilato, addirittura, è ancor più evidente quando manifesta il suo totale disinteresse per la ricerca anche della verità. Nel Vangelo di Giovanni (Gv 18,38), infatti, Pilato mentre chiede, come farebbe un qualunque scettico ed un qualunque relativista etico, “Che cos’è la verità?”, si allontana da Gesù e va verso i Giudei. Un’autorità, quella di Pilato, che diventa strumento di potere non curante né della giustizia, né della verità. Un esempio ancora molto attuale di indifferenza che conduce l’umanità verso la morte lenta ed inesorabile.
Ecco il punto di contatto che stavamo cercando con l’attuale crisi economica: l’uomo; un patrimonio di inestimabile valore lasciato, come il Cristo di Daumier, in piedi ed in silenzio per essere macellato dall’indifferenza di molti. Un uomo che per convenienza si considera debole, insignificante e, pertanto, aggredibile dalle più svariate correnti di potere. Chi può, come Pilato, sfoderare principi di integrità, lascia che la voce che viene da fuori, dai Giudei, lo attiri più della Parola che lo chiama da dentro. L’uomo-Pilato che “esce di nuovo” si illude di esercitare la propria libertà, in realtà cadendo prigioniero di quelle meschinità, di quelle bassezze, di quei condizionamenti esterni contribuisce a costruire una rete di ingiustizia e di rigetto per la verità nella quale imbrigliare i più piccoli, i più deboli. Il Cristo di Daumier, nonostante le mortificazioni patite, è l’unico rivestito di dignità, di fede, di amore e sembra dominare la situazione per quanto straziante diventerà da lì a poco, eppure anche Lui viene trascinato come una preda in quella rete, come l’ultimo tra gli ultimi.
Ieri come oggi: condizionare, manipolare, soffocare la verità, indebolire l’uomo. Gli odierni tecnicismi (Hedge fund, Rating, Credit default swaps, Asset Backed Securities, Mutui subprime, Deleverage, ecc.) di cui la scienza economica fa sempre più un uso esagerato e che hanno “firmato” la crisi economico-finanziaria di portata globale, diventano ostiche regole spesso incomprensibili per gli stessi operatori. Ancor peggio quelle contorte regole economiche diventano armi improprie nelle mani di pochi irresponsabili che hanno traslato il termine “valore” dal riferimento all’insieme delle qualità morali ed intellettuali di un uomo, all’ambito in cui il termine è riferibile al concetto più riduttivo di “significato”. In altri termini l’homo oeconomicus, come Pilato di oltre duemila anni fa, agisce ispirato non da valori condivisi con una comunità, ma da valori che sono l’egoistica espressione di ciò che ha solo un significato per se stesso.
Assistiamo ad una privatizzazione dei valori, dei più elementari principi etici, che diventano pure forme di egoismo pronte a tutto pur di trarre soddisfazione da un gelido pragmatismo economico che non nega la cittadinanza ad espressioni di disonestà, furti, ingiustizie, e molto altro.
Pio XII in un radiomessaggio alla vigilia del Natale 1943, porgendo i suoi saluti a varie categorie di “delusi”, si rivolse, quasi in maniera profetica, ai delusi “che posero la loro fiducia nella espansione mondiale della vita economica” chiedendo: “Oggi invece che sperimentano essi nella realtà? Vedono ormai che questa economia coi suoi giganteschi rapporti e vincoli mondiali e con la sua sovrabbondante divisione e moltiplicazione del lavoro cooperava in mille modi a rendere generale e più grave le crisi della umanità, mentre, non corretta da nessun ritegno morale, e senza sguardo ultraterreno che l’illuminasse, non poteva non terminare in un indegno e umiliante sfruttamento della persona umana e della natura, in una trista e paurosa indigenza da una parte e in una superba e provocante opulenza dall’altra, in un tormentoso e implacabile dissidio tra privilegiati e non abbienti: malaugurati effetti che non sono stati all’ultimo posto nella lunga catena di cause, che hanno condotto all’immensa tragedia odierna”.
Come nell’opera di Daumier, i poteri delle forze economiche stanno sfocando i contorni delle figure umane; l’uomo è deformato da un mercato la cui razionalità positivista ne detta le regole. L’uomo sembra implodere sotto il peso degli opportunismi, dell’utilitarismo, di un antropocentrismo estremo. Nell’Ecce homo di Daumier l’unica figura che la mano dell’artista non deforma è quella di Cristo, perché è l’unica autentica risposta, quantunque estrema e drammatica, di sofferenza, pazienza e misericordia che abbia un valore rispetto alle manifestazioni di potere e di male.
La grandezza dell’Uomo di Daumier è nella forza di “quel grande ‘sì’ che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza” (Benedetto XVI). Quella forza, vissuta con dignità sul Golgota, diventa allora la fonte inesauribile dell’economia della salvezza.
Dio, sul Golgota, riconfermando il suo interesse per l’uomo, ha investito sull’umanità, riconoscendola un capitale ad alto rendimento perché, tra tutte le creature, è quella a cui ha voluto rivelare il mistero trinitario, consentendole di condividere la stessa forma di comunione che lega le tre Persone divine. Don Tonino Bello, a riguardo, si riferisce alla Santissima Trinità come ad “un’etica da vivere. Non solo una verità tesa ad alimentare il bisogno di trascendenza, ma una forte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane. … Ebbene, l’imperativo etico che ne deriva per coloro che vivono sulla terra è che, se tengono sotto sequestro le proprie risorse spirituali o materiali senza metterle a disposizione degli altri, non possono esimersi dall’accusa di appropriazione indebita”.
Un’etica relativistica, una visione a breve termine volta a soddisfare il mero opportunismo, l’assenza di controlli mirati, la distorsione nell’uso di strumenti finanziari evoluti, ecc. sono solo alcune delle “scelte quotidiane” che, invece, generano quel gioco di riflessi ed illusioni, di falso appagamento delle coscienze che tanto mi ricordano l’etica fai da sé della figura dell’avaro protagonista di una poesia di Trilussa: “Ho conosciuto un vecchio/ricco, ma avaro: avaro a un punto tale/ che guarda li quatrini ne lo specchio/ pe’ vede raddoppiato er capitale./ Allora dice: – Quelli li do via perché ce faccio la beneficenza; / ma questi me li tengo pe’ prudenza … – / E li ripone ne la scrivania”.
L’etica non è un riflesso nello specchio, un qualcosa che, soprattutto in ambito economico, non ha diritto alcuno di cittadinanza. L’etica è, invece, tutt’uno con la razionalità, così come con lo sviluppo economico. Quando progredire economicamente, tecnologicamente, scientificamente, ecc. diventa solo un’occasione di cambiamento che va a soddisfare un’ambizione, il risultato atteso è, da un punto di vista umano, una delusione lacerante: si finisce per dimenticare l’uomo.
Da anni Bauman ci ha messo in guardia sulla pericolosità di una società diventata liquida, incerta ed instabile, ebbene in questo paesaggio piatto, l’unica terra che è riuscita ad emergere, l’unica forma di solidificazione che la nostra società è stata in grado di produrre è la condizione di povertà materiale e spirituale dell’uomo. Responsabile di quel processo di solidificazione non è però solo lo sviluppo economico, ma anche i falsi miti dei fondamentalismi e delle lotte per le verità … di parte. In uno spirito di autocritica costruttiva, una parte di quelle responsabilità dovremmo assumercele anche noi cattolici. Del resto lo stesso Benedetto XVI, in occasione di un suo viaggio, ha riconosciuto

“che la fede cattolica, cristiana, spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo. … D’altra parte, gli ultimi avvenimenti sul mercato, in questi ultimi due, tre anni, hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare nell’interno dell’agire economico, perché l’uomo è uno, e si tratta dell’uomo, di un’antropologia sana, che implica tutto, e solo così si risolve il problema, solo così l’Europa svolge e realizza la sua missione”.

La folla informe disegnata da Daumier rinuncia a pensare, non si interroga sulla correttezza o meno di quell’urlo “in croce, in croce”, nessuna riflessione sulle conseguenze derivanti dalla scelta di liberare Barabba; quegli uomini si limitano ad agire senza subire alcuna inibizione dal loro stesso pensiero. Quante volte, ancora oggi, i pensieri sono influenzati dal solo modo di agire?
Pascal diceva: “non s’insegna agli uomini a essere uomini onesti, s’insegna loro tutto il resto; ed essi non si vantano mai tanto di sapere il resto quanto di essere onesti. Si vantano di sapere la sola cosa che non hanno mai imparato”.

1 Comment on Non è più tempo di liberare Barabba

  1. Riprendo uno stralcio del tuo articolo che mi ha profondamente colpito:”Nell’Ecce homo di Daumier l’unica figura che la mano dell’artista non deforma è quella di Cristo, perché è l’unica autentica risposta, quantunque estrema e drammatica, di sofferenza, pazienza e misericordia che abbia un valore rispetto alle manifestazioni di potere e di male”.
    Un articolo toccante, che abbraccia l’arte a me molto cara, che riesce a trasportare tutta la dimensione sensitiva verso Dio. Grazie Antonio.

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