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La bellezza ed il piccolo principe

Quanto è difficile oggi definire la bellezza! Ancor più trovarla. Il mondo è destinato a non conoscere più la bellezza?

Qualche tempo fa, mentre facevo ordine nella mia biblioteca, mi è capitata tra le mani una bella edizione de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry che mi ha risvegliato molti ricordi. Sfogliandola, lo sguardo è stato attirato da una frase delicatamente evidenziata a margine da un segno di matita. L’episodio è quello dell’incontro della volpe con il piccolo principe la quale, prima di andarsene, dice al ragazzo queste parole: “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, e poi aggiunge: “Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa …”.

La semplicità e l’efficacia espressiva del bel racconto, nulla toglie all’attualità della riflessione della volpe. Non è forse vero che ancora oggi, per dirla con Galimberti, ci stiamo abituando ad una società in cui il vuoto fa da padrone? Viviamo secondo un modello di solitudine paragonabile “ad una sorta di assenza di gravità di chi si trova a muoversi nel sociale come in uno spazio in disuso”. Un vuoto che nella sua progressiva conquista degli spazi della nostra vita, assume forme che Galimberti chiama: freddezza razionale, ottimismo egocentrico ed inerzia conformista.

In questa perdita di pienezza, anche la bellezza ne esce ferita. Il relativismo diffuso ha ridisegnato la mappa della bellezza, delocalizzando la sua teorizzazione presso chiunque se la sente di esprimere, secondo schemi meramente personali e non opinabili, la propria idea di “bello”; il suo giudizio estetico diventa, in altre parole, una libera espressione che, come una nave alla deriva, è incapace di accedere ai fondamenti della tradizione e della tecnica insiti non solo nella disciplina estetica, ma anche nella cultura della nostra civiltà.

Zecchi, senza mezzi termini, è dell’idea che la parola “bellezza” sia un termine che, ai nostri giorni, non ha neppure più diritto di cittadinanza, a tal punto che un giudizio estetico non viene espresso più in termini di: “è bello” o “è brutto”, ma con espressioni del tipo: “è interessante” o non “è interessante”. Per Zecchi la nuova modalità espressiva nei confronti della bellezza può essere letta in questo modo: è “come se il giudizio che esprime una riflessione su ciò che è bello o brutto fosse banale”.

Forse, in questo scenario, ciò che nessuno può negare è che la bellezza non è più un’espressione dal significato univoco, ma è oggetto di molte definizioni. Non è allora esagerato ritenere, inoltre, che il processo di degradazione a cui stiamo sottoponendo la bellezza è, forse, il risultato di una convinzione che abbiamo della bellezza stessa, ovvero di essere, con il suo fare ammiccante e nello stesso tempo dolce, troppo lontana da quella che è la nostra realtà. Messa in questi termini è come se la bellezza non fosse più così credibile da lasciarla esprimere con l’autorevolezza di un tempo.

Il cammino verso il progresso, verso la ricerca continua del cambiamento, impone alla bellezza, nelle sue varie espressioni, di essere la testimone dei nostri tempi.

A riguardo Nicolas Bourriaud, parlando della nostra epoca, si esprime in termini di “postproduction” e precisa che “il prefisso ‘post’ non segnala alcuna negoziazione o superamento, ma una zona d’attività, un’attitudine. I processi in questione non consistono nella produzione di immagini, il che li connoterebbe come manieristi, né nel lamentarsi perché ‘tutto è stato già fatto’, ma nell’inventarsi protocolli di rappresentazione per tutti i modelli e le strutture esistenti”.

In modi non molto dissimili da quelli espressi da Bourriaud, anche Paul Virilio in un dialogo con Enrico Baj, evidenzia come nel mondo dell’arte, gli artisti diventano coloro che creano una nuova realtà proprio attraverso un modo nuovo di vedere il mondo. Per Virilio l’arte e quindi anche l’espressione della bellezza nell’arte, può essere oggi ridotta a “ciò che è otticamente corretto”. La conseguenza pericolosa di questa opzione è una forma esasperata di darwinismo, infatti, “ora, nell’otticamente corretto ci troviamo di fronte al tentativo di eliminare la percezione delle antiche immagini, di gettarle nel discredito, e da qui viene anche una sorta di interdizione della pittura. … Si privilegiano, eliminando le altre, le immagini più ‘performanti’, cioè quelle capaci di produrre performance, cioè audience, cioè un’etichetta vincente”.

Ecco che allora non è così esagerato affermare che il riferirsi alla bellezza ai nostri tempi sia un rimandare il pensiero a quelle rappresentazioni che risultano vincenti, che sono cioè più accattivanti agli occhi di una società delirante. Un delirio amplificato anche da una diffusa finanziarizzazione, a livello globale, di ogni campo del sapere umano, che non tralascia di certo di condizionare il concetto di bellezza nell’arte.

Il risultato di questo è sotto gli occhi di tutti: un caos indotto, la solitudine di un uomo costretto ad adattarsi alle novità del momento, spinto a percorrere lunghi tragitti esistenziali, artistici, filosofici, ecc. senza neppure conoscere né la direzione da prendere, né il fine di questo suo peregrinare. Ma ciò che è peggio, è che si cammina anestetizzati nel cuore e nella mente, privati di ogni conforto sia divino, sia di un’esperienza passata. L’uomo, per usare le parole di Gregorio di Nissa, è bene che ricordi che “non sarebbe stato qualcosa di bello, se avesse recato su di sé il segno sinistro e infamante della morte. Egli, riflesso e immagine della vita eterna, era bello davvero, anzi bellissimo, col raggiante segno della vita sul volto”. L’uomo, inoltre, non dovrebbe neppure relegare ad una scialba citazione la memoria di un passato artistico che non è solo l’espressione di stili e soluzioni tecniche più o meno geniali, ma è soprattutto il risultato di storie di sensi, di sensibilità, di passioni nobili. A riguardo, nel suo recente viaggio ad Arezzo, Benedetto XVI ha così salutato la folla che lo acclamava: “Chi è capace di rendere presente in modo così perfetto la cultura del passato è anche capace di aprire cultura per il futuro perché conosce l’uomo, ama l’uomo che ha la sua grandissima dignità di essere non solo uomo, ma immagine di Dio. E questa dignità dell’uomo ci obbliga ma anche ci consola e ci incoraggia: se siamo realmente immagine di Dio, siamo anche capaci di andare avanti e di superare i problemi del presente e di aprire cammini al nuovo futuro”.

Noi cristiani sappiamo che la bellezza non può essere ricondotta al semplice riflesso di algidi concetti come quello di bene e quello di verità, se così fosse si cadrebbe troppo facilmente nelle logiche perverse del fanatismo estremo; di contro, la verità ed il bene devono essere in grado di trasfigurare la realtà. Del resto come è possibile parlare di verità se si lascia che la stessa sia accessibile solo al ragionamento logico? Ed ancora, come si può parlare di bellezza se essa viene relegata solo alla semplice soddisfazione dei gusti estetici di ognuno di noi?

La trasfigurazione della realtà, a cui sopra si accennava, può avvenire unicamente attraverso la Verità ed il Bene di cui ci parla il Vangelo. La bellezza cos’è, allora?

Tomas Spidlik, prendendo a prestito un esempio riportato dal pensatore russo Vladimir Solov’ev, paragona la bellezza al diamante. Questa pietra è, da un punto di vista chimico, del tutto simile al carbone, solo che mentre quest’ultimo assorbe la luce, il diamante ha la caratteristica, nota a tutti, di esaltare oltremodo il passaggio della luce. È proprio partendo da questo semplice esempio, che Spidlik concorda nel definire la bellezza come una trasformazione della materia attraverso il sovrannaturale che si incarna in essa. In altre parole, “la visione estetica vede una cosa nell’altra; una cosa non è distinta dall’altra, ma diviene simbolo dell’altra, le cose materiali rivelano le idee che vi si incarnano. Procedendo su questa via, alla fine si può vedere l’uno nel tutto e tutto in uno. Il mondo diventa capace così di rivelare la pienezza della Sapienza divina”. Ne consegue che nell’arte, l’artista che riesce a raggiungere il cuore e la cultura degli uomini, è colui che è in grado di appropriarsi della visione estetica, così come definita da Spidlik, e si adopra a comunicarla ai fruitori della sua opera.

Il buio del secolarismo di questi anni sta insidiando la nostra esistenza che, dal canto suo, avrebbe bisogno di riappropriarsi delle parole profetiche di Paolo VI quando, nel messaggio agli artisti del 1965, disse che solo la bellezza avrebbe spazzato via la disperazione; “la bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione”.

L’uomo contemporaneo, come il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, ha avuto e continua ad avere molte occasioni per ascoltare sagge volpi che dispensano “piccoli segreti”. Purtroppo non ripetiamo dentro di noi, come fa nel seguito della storia il piccolo principe, quello che ascoltiamo dalle “volpi” che incontriamo nel nostro cammino, perché venga memorizzato ed interiorizzato.

Il più delle volte troviamo conveniente comportarci come Pilato che, dinanzi al Cristo, chiede cosa sia la verità ma valuta poi più opportuna la strada dell’uccisione di un Innocente, sebbene presentando al popolo Gesù, dà una risposta a quella domanda indicandoLo con un “Ecce homo”, ovvero ecco la Via, la Verità e la Vita.

Per Pilato, come per l’uomo contemporaneo, quella non è una risposta, o comunque non è percepita come tale; “L’essenziale è invisibile agli occhi”, ricorda la volpe al piccolo principe.

L’essenziale si disvela solo se si conosce. Nella Bibbia il termine “conoscere” non rimanda ad una mera conoscenza scientifica. “Conoscere” in ebraico indica una relazione esistenziale che presuppone una qualche intimità con l’altro, così da poterne cogliere una varietà di aspetti come quelli intellettuali, affettivi, razionali, emotivi.

Non è un caso che gli ebrei con lo stesso termine “conoscere”, indichino anche le relazioni coniugali. L’essenziale diventa la Bellezza di Colui verso il quale ci si dispone ad ascoltarlo con la mente ed il cuore aperto. Ma perché la conoscenza di Dio e della Sua Bellezza sia possibile e concretamente visibile, non è sufficiente solo conoscere, ma è necessario anche amare.

Solo l’amore può conoscere la Bellezza.