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Nel segno del Precursore

Dopo la burrasca delle reliquie, che lascia il tempo che trova: cosa resta davvero alla luce

È di pochi giorni fa la notizia del presunto ritrovamento delle reliquie di san Giovanni Battista: come se non ne avessimo già abbastanza! Non dico di reliquie in genere, ma di quelle del Battista in particolare. Tutti sanno, ovviamente, che la chiesa di San Silvestro in Capite, a Roma, si chiama così proprio perché è tradizionalmente ritenuta conservare la testa del Profeta: la testa non è integra, come può vedere chiunque visiti la chiesa (da poco affacciata su una bella e chiacchierata piazza di Portoghesi), ma non è tale accidentalmente, bensì perché per una qualche ragione la mandibola è stata conservata a Viterbo, nella chiesa di San Lorenzo. Un cranio è un oggetto meno unitario di quanto si potrebbe pensare di primo acchito, se lo si considera con attenzione: proprio in virtù di questo, un dente è conservato a Ragusa e un altro a Monza. I Monzesi, però, vantano all’attivo “contro i Ragusani” il vantaggio di una ciocca di capelli del Battista! Non ci si può neanche consolare pensando che comunque “una testa è alla fin fine sempre e solo una testa, e di solito una sola testa”: no, perché anche ad Amiens si custodisce una testa del Battista, e perfino in una moschea di Damasco! A Istambul, invece, proprio in partibus infidelium, si custodisce non solo una testa (un’altra!) del Battista, ma perfino un suo braccio: non mi sono informato nel dettaglio, ma il braccio dovrebbe essere il sinistro, altrimenti sarebbe necessariamente monco, perché la mano destra del Battista – si sa! – è conservata in un monastero ortodosso in Montenegro, oltre che, va da sé, a Rapagnano (dono di Giovanni XVII). Di Giovanni XVII si sa effettivamente pochino, ma quel grande umanista che fu Enea Silvio Piccolomini dovette certamente sapere di questo prodigo gesto del suo predecessore, quando nel 1464 (assunto ormai il grande nome di Pio II) donò alla cattedrale di Siena, dedicata a Santa Maria Assunta, l’intero braccio destro del Battista (quale?)!

Se anche volessimo credere che il Battista aveva un braccio sinistro e tre destri (probabilmente in vista del ministero di battezzatore), resterebbe difficile spiegare come mai il racconto evangelico della sua morte non faccia cenno al disagio del boia che, per accontentare i capriccî di Salomè ed Erodiade, dovette procedere a una decapitazione multipla quale non s’era vista dal giorno in cui Ercole affrontò l’Idra! “Il più grande tra i nati di donna” (secondo le parole di Gesù) doveva avere un aspetto veramente mostruoso, a giudicare dalla quantità e dalla qualità delle disparate reliquie sparse per l’orbe: in un monastero tedesco si conserva addirittura la sua testa da dodicenne, la quale avrebbe così insistentemente tormentato quella di Umberto Eco da farci ritrovare tracce di sé ne Il nome della Rosa e in Andare per tesori (saggio pubblicato da principio in Milano: meraviglie, miracoli, misteri e di recente ripubblicato in Costruire il nemico).

In ultimo (o quasi) va ricordato che Genova e Chiaramonte Guelfi si spartiscono le ceneri del santo, ma che questo non ha impedito ai Napoletani di custodire nella chiesa di San Gregorio Armeno una piccola ampolla del sangue del Precursore. Difficile pensare che il boia fosse tanto impressionato dal Battista da non aver resistito a raccogliere un po’ di quel sangue martiriale (è perfino più plausibile ammettere che di questa pronta devozione si fosse fatto carico Erode, tra l’ubriachezza e il senso di colpa). Non basta: in ultimo (stavolta davvero) va ricordato che un’antichissima tradizione legata ad alcuni salmi legge in riferimento a san Giovanni (e a san Giuseppe!) i versetti dichiaranti la risurrezione di “corpi di santi” al momento della morte di Cristo. Secondo questa tradizione, dunque, il Battista sarebbe risorto e asceso al cielo, con buona pace di quanti custodiscono le sue reliquie: evidentemente non si tratta di una credenza definita dommaticamente, come è invece per l’Assunzione della Vergine (Pio XII, Munificentissimus Deus, 1950), eppure a distanza di appena dieci anni da quella proclamazione il successore di Pio XII avrebbe detto, in un’omelia, che «spetta […] ai morti dell’Antico Testamento, i più vicini a Gesù — nominiamone due dei più intimi alla sua vita, Giovanni Battista il Precursore e Giuseppe di Nazareth, il suo nutricatore e custode — spetta a loro — così piamente noi possiamo credere — l’onore ed il privilegio di aprire questo mirabile accompagnamento per le vie del cielo: e dare le prime note all’interminabile Te Deum delle generazioni umane salienti sulle tracce di Gesù Redentore verso la gloria promessa ai fedeli, alla grazia sua». Era forse, quella di Giovanni XXIII, un’elegante rivalsa contro l’antipapa di cui aveva preso il nome (e il numero ordinale!), per il suo aver donato a suo tempo (1410-1415, negli anni del terribile scisma d’Occidente) un dito del Battista alla Cattedrale di Firenze?

Insomma, avevamo proprio bisogno di questa cassetta rinvenuta due anni fa in Bulgaria? Due anni di ricerche (eh, la scienza!) hanno permesso di acclarare che sulla cassetta ci sono antiche iscrizioni greche facenti riferimento a Giovanni Battista (sennò non si porrebbe neanche il problema), e recenti datazioni al Carbonio 14 direbbero che le ossa risalgono al I secolo dopo Cristo. Naturalmente, il tutto non permette in alcun modo di concludere che quelle ossa sono (o non sono) del Battista. Un’ulteriore conferma: la (cosiddetta) “scienza” spende innumerevoli capitali e irrecuperabili risorse umane per scandire con grande pompa le poche e ovvie considerazioni che ogni persona di buonsenso può fare.

Ora, facezie a parte, la domanda seria non è se ci sia qualcuna di queste teste che davvero è appartenuta al Battista, né la pista da seguire è la comparazione di teste e braccia con i resti recentemente rinvenuti in Bulgaria, e ancor meno sensato è chiedersi quanto i contraddittorî pronunciamenti dei Pontefici nel corso dei secoli abbiano intaccato il peso dell’autorità papale in materia di fede. La domanda vera, la questione seria, non riguarda la moltiplicazione delle reliquie nell’alto medioevo e il loro mai più soppresso commercio, ma semmai la straordinaria particolarità di Giovanni, la figura più straordinariamente “border-line” della Scrittura: in bilico tra l’Antico e il Nuovo Testamento, in equilibrio tra la giustizia e la misericordia, sospeso tra la legge (e il tempio) e la fede, tra la lettera e lo Spirito; profeta, non più profeta e molto più che profeta; apostolo, non ancora apostolo e molto più che apostolo. Della «voce di uno che grida nel deserto» i cristiani festeggiano da sempre la nascita e la morte, come usano fare altrimenti solo per il Redentore stesso e per la Vergine Madre. Questo non sarebbe neanche tutto dire, di per sé, visto che i calendarî liturgici hanno visto nei secoli tante e tali metamorfosi che in taluni periodi anche altri santi hanno avuto più di una festa. La cosa intrigante è che la categoria di “precursore” per il Battista è stata coniata da Marco, il cui genio religioso ha mutuato l’espressione dal libro di Malachia e l’ha riferita al battezzatore: tutti gli evangelisti si serviranno di questa struttura concettuale, ma il suo trionfo narrativo è senza dubbio il primo capitolo del Vangelo secondo Luca, costruito come un binario secondo un lungo e meticoloso parallelismo tra le vicende della nascita di Giovanni e quelle della nascita di Gesù.

Questo ha impressionato così fortemente i cronografi – i quali sono naturalmente portati a simpatizzare con l’Evangelista del censimento – che i calcoli per risalire alla data della nascita di Gesù sarebbero partiti dall’unico indizio accessibile (si fa per dire) dal testo lucano, ossia la turnazione del tempio di Gerusalemme. Posto che Zaccaria ebbe il proprio turno di ministero liturgico alla fine di ottobre (e che a ridosso di quel messaggio s’intende cominciare la gravidanza di Elisabetta) – il «sesto mese», nel quale il medesimo angelo che aveva parlato a Zaccaria, in Giudea, venne mandato a Maria, in Galilea – è necessariamente marzo. Che la data sia arrotondabile alle calende di Aprile è dato dal fatto che Maria raggiunse in fretta la Giudea, e che vi rimase tre mesi, ossia fino al compimento della gravidanza. Questa è la “data X”, ma se contiamo che nei tre mesi necessarî a Elisabetta per concludere la propria gravidanza anche Maria arriva al terzo mese, si capisce come mai Gesù risulti nascere esattamente sei mesi dopo il 24 giugno, ossia alle calende di gennaio.

E sì, dev’esserci qualcosa di magnetico, in queste date, se tanti si sono affannati a rintracciare matrici pagane d’ogni sorta sotto ognuna di esse: sulla data del Natale di Cristo avevamo dato a suo tempo il nostro contributo, ma ognuno che esca a fare un giro per le campagne padane la sera del 24 giugno s’imbatterà non difficilmente in mascherate di alienati che si dànno arie “neo-pagane” (a che scopo chiudersi in una comunità per farvi quello che tutti fanno fuori di essa?).

Il 24 giugno è davvero la data che precorre misticamente il 25 dicembre: sempre inspiegabilmente persuasi che le cose siano in fondo ciò che appaiono in superficie, è della luce che splende gagliarda dopo il solstizio d’estate che gli uomini chiedono – «Chi sei? Sei Elia? Sei il profeta?». La risposta è irrimediabilmente negativa, perché la luce di Dio si fa riconoscere splendendo lì dove nessun uomo spera che possa più brillare – tre giorni dopo il solstizio d’inverno.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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