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Maria SS. Madre di Dio

Il mistero di una maternità unica e stravolgente … in parole povere

La festa di Maria SS. Madre di Dio immerge nel mistero della maternità di Maria, una maternità assolutamente fuori dal comune e tale da stravolgere ogni umana consuetudine circa l’inizio di una nuova vita (link). Non solo Maria concepì un figlio senza il concorso di un uomo, scavalcando le leggi fisiche naturali, ma diede alla luce un bambino dalla doppia natura, di uomo e di Dio, e tale che in Lui nessuna delle due travalicasse l’altra. Proprio perché Gesù Cristo è «vero Dio e vero Uomo» e la natura umana e quella divina sono tra loro perfettamente integrate e inscindibili – ci perdoni il lettore se le esigenze di sintesi ci porteranno a semplificare forse un po’ troppo la questione, ma lasciamo ai teologi il compito di spiegarla in maniera più dettagliata e puntuale –, Maria ha potuto ricevere il titolo di «Madre di Dio» (Theo-tokos o Dei genitrix), cioè di «donna che ha dato alla luce uno che è Dio».

Come accade abitualmente nella definizione delle verità di fede, anche in questo caso il processo non fu né breve né indolore. Infatti, sebbene i Vangeli già contenessero in nuce questa verità (vd. Lc 1,31-32.35.43; Gv 2,1.3; At 1,14), furono necessari quattro secoli perché si superasse la visione limitata di Maria come madre in senso esclusivamente «fisico», cioè solo della parte umana, carnale, di Gesù Cristo. Alcuni gruppi cristiani (le cui idee furono poi escluse come eretiche), quando non negavano che Gesù avesse avuto un vero corpo umano, rifiutavano che Egli fosse nato da una donna, ovvero dalla carne e dal sangue di lei. Alcuni sostenevano che Egli fosse nato attraverso la Vergine e non dalla Vergine: ciò comportava la negazione, parziale o totale, dell’umanità di Cristo, che, per essere affermata, richiedeva la nascita da una donna. Il mondo cristiano fu a lungo diviso su simili questioni, anche se non mancarono autorevoli sostenitori della maternità divina di Maria già nel III-IV secolo (tra questi forse l’Ippolito autore della Traditio apostolica, e certamente Origene e altri autori alessandrini, tanto che Alessandro di Alessandria nel IV secolo riteneva il titolo di Theotokos ormai pacifico e di uso comune).

La questione divampò nel V secolo nel corso delle cosiddette «controversie cristologiche», nelle quali il problema centrale non era più legato all’umanità di Cristo, ormai riconosciuta e accolta, ma all’unità della sua persona. Accertato che uno è Colui che nasce, uomo e Dio al tempo stesso, la maternità di Maria non era più riferibile solo alla natura umana di Cristo, ma all’unica persona del Verbo fatto uomo, e colei che aveva generato il Figlio di Dio nella carne, era di conseguenza riconoscibile come vera Madre di Dio. D’altra parte, se così non fosse, Paolo non potrebbe dire che «Dio mandò suo Figlio nato da donna» (Gal 4,4), né i cristiani potrebbero professare la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, «concepito di Spirito Santo e nato da Maria Vergine» (Credo Apostolico). Con il Concilio di Efeso (431), il dogma della Theotokos fu accolto per sempre da tutta la Chiesa.

Ma al di là delle complesse riflessioni di teologi e predicatori, ciò che maggiormente potrebbe illuminare sul senso profondo di questa maternità unica e stravolgente è la sensibilità di poeti e letterati, capaci di fissare lo sguardo nel mistero ed esprimerlo in termini più accessibili e coinvolgenti. Ben comprese Dante quanto fosse straordinaria la maternità di Maria: non solo in quanto verginale, ma perché la madre era figlia di Colui che lei stessa dava alla luceVergine Madre, Figlia del tuo Figlio», Paradiso XXXIII,1). Insuperabile resta probabilmente l’intuizione di Jean Paul Sartre che, in una pagina meravigliosamente toccante e intrisa di meraviglia e commozione, fissò in questi termini l’immagine di Maria nella Notte Santa: «La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Perché il Cristo è il suo bambino, carne della sua carne, è frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio» (J.P. Sartre, Bariona o il figlio del tuono, Christian Marinotti editore, Milano 2004, pp. 90-91). Sartre descrive con estremo realismo e sensibilità la contraddizione di una madre che tiene tra le braccia il suo bambino, lo ammira piccolo e indifeso, ne stringe il corpicino tenero e delicato, e al tempo stesso prende consapevolezza della sua natura divina e superiore: «In certi momenti la tentazione è cosi forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là! E si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante … è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio».

Sartre coglie esattamente il senso riposto della maternità di Maria: in una famiglia “normale”, “umana”, il figlio è una creaturina da amare e proteggere, da curare, nutrire e difendere. Nella Santa Famiglia, invece, il Figlio supera i genitori, perché è il Dio Onnipotente, il Messia, il Salvatore atteso, il Figlio di Dio: come potrebbe sentirsi una donna, anche se sua madre, davanti a Lui? Eppure quel Dio è proprio suo figlio, continua l’autore: «Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”». Una verità sconcertante prende forma nella mente e nel cuore di Maria: Colui che tiene stretto al seno non è solo il Figlio di Dio, nato per opera dello Spirito Santo; non è un essere celeste di origine esterna, rimasto “parcheggiato” nel suo grembo per nove mesi prima di vedere la luce, e senza alcun legame con il corpo che lo ospita. È davvero figlio di Maria, carne della sua carne, sangue del suo sangue: ha i suoi cromosomi, ed ella può riconoscere in Lui i suoi stessi tratti del volto.

È suo Figlio ed è Dio. «E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. È in questi momenti che dipingerei Maria se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente nelle ginocchia il peso tiepido e che le sorride». Non possiamo sapere cosa provò davvero il cuore di Maria in quel magico istante in cui strinse al seno per la prima volta il suo divino Bambino. Ma la scena descritta da Sartre è di una delicatezza disarmante, che lascia senza parole.

Non la commenteremo infatti, ma lasceremo che essa parli al cuore dei nostri lettori e comunichi in termini genuinamente umani, commoventi nella loro semplicità, illuminanti nella loro profondità, il grande mistero della maternità divina di Maria … in parole povere.

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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