Viaggiare disinformati
Abbiamo visto come l’imperatore Costantino incentivò con le sue iniziative i movimenti di pellegrini specialmente in direzione della Palestina (link). Con i suoi interventi di monumentalizzazione, costruzione di strutture ed edifici sacri, reperimento e valorizzazione delle reliquie, egli trasformò profondamente in senso cristiano il carattere della città di Gerusalemme, rendendola meta privilegiata dei pellegrini orientali ed occidentali. Lo storico di corte Eusebio di Cesarea testimonia che nel IV secolo i cristiani andavano in Oriente alla ricerca di ἱστορία καὶ εὐχή, cioè per vedere i luoghi visitati da Gesù e pregare in posti in cui si creava un rapporto più diretto con la divinità e si aveva l’opportunità di riattualizzare le vicende terrene del Cristo, fondendo viaggio fisico ed esperienza spirituale (sull’esigenza di dare concretezza al rapporto con il divino come incentivo al pellegrinaggio ci siamo già soffermati nella nostra rubrica – link).
Inutile dire che le condizioni in cui si svolgevano questi viaggi erano ben diverse da quelle alle quali sono abituati i pellegrini del XXI secolo. Vie di comunicazione malridotte o inesistenti; mezzi di trasporto scomodi (quando c’erano: il pellegrino si muoveva per lo più a piedi); pessime condizioni igieniche; rischi legati al clima, al luogo, agli assalti dei predoni; conoscenza approssimativa del percorso; scarsa presenza di luoghi di accoglienza, per di più di bassa qualità (gli alberghi non erano altro che ricoveri per passare la notte, magari a terra o condividendo il letto con altre persone) … Molti si ammalavano lungo il cammino, tanti non giungevano alla meta. Si diffondevano le «malattie del pellegrino»: vesciche, distorsioni, fratture; insolazione o al contrario raffreddore e congelamento; orticaria, disidratazione, dissenteria … A quei tempi il viaggio si compiva all’insegna dell’imprevedibilità: nulla a che vedere con la minuziosa organizzazione alla quale siamo abituati oggi!
Insomma, il pellegrinaggio comportava notevoli rischi per la salute del corpo, ai quali bisogna aggiungere quelli legati in un certo senso alla salute dello spirito. Sembrerebbe un controsenso paventare danni spirituali in un’esperienza cercata proprio al fine di guarire dai mali dell’anima. Ma non bisogna dimenticare che i viaggi erano compiuti da uomini e donne, vecchi e bambini, che insieme si trovavano a condividere la strada, i mezzi di trasporto, i luoghi di riposo e di ristoro. Soprattutto la presenza di «categorie a rischio» scatenò in età tardo-antica un dibattito acceso tra gli esponenti della Chiesa, alcuni dei quali cercavano di frenare, o anche di ostacolare, il flusso dei fedeli, in modo particolare delle donne.
Tra questi si levò alta nel IV secolo la voce del vescovo di Nissa, Gregorio, il quale, in una lettera, mise in luce i possibili rischi spirituali legati al pellegrinaggio. A un tale che lo interrogava circa l’opportunità di un viaggio dei monaci dalla Cappadocia a Gerusalemme, Gregorio sconsigliò di intraprenderlo per due motivi. Il primo di ordine «scritturistico»: il pellegrinaggio a Gerusalemme non sarebbe in linea con i dettami della fede, perché estraneo alle Scritture; per di più è poco utile partire verso luoghi lontani in cerca di un Dio che, in quanto Spirito, è ovunque (vd. a questo proposito il link). Il secondo motivo era di ordine «morale»: il pellegrinaggio è sconsigliato, specialmente ai monaci, perché metterebbe in pericolo il loro ideale di vita, facendoli uscire dall’isolamento e dalla completa separazione tra i sessi. In altre parole, il pellegrinaggio, dal momento che costringeva uomini e donne a intrattenersi insieme, anche in situazioni poco consone alla vita monastica, complicava e metteva a rischio il proposito di preservarsi dall’indecenza. Si pensi ad esempio alla possibilità che le donne necessitassero di aiuto per compiere qualche movimento (salire o scendere da cavallo per esempio): il contatto fisico con parenti o servitori sarebbe divenuto inevitabile, con conseguente e altrettanto inevitabile biasimo per il mancato rispetto della regola della castità. E ancora peggiore era la situazione che si creava negli alberghi, dove, come abbiamo già ricordato, la promiscuità e la licenza erano tali da compromettere la purezza morale e la buona reputazione dei servi di Dio.
Ben si comprendono le preoccupazioni di Gregorio, uomo particolarmente sensibile ai temi della purezza, della castità e della vita monastica. Eppure il pellegrinaggio, anche quello praticato dai monaci e dalle donne, non conobbe interruzioni, anzi trovò proprio nel sesso femminile notevoli rappresentanti: basti pensare alla famosa Egeria (o Eteria), che ci ha lasciato uno splendido resoconto del viaggio in Terra Santa da lei compiuto nel IV-V secolo (link), o all’ancora più nota Brigida di Svezia.
Né i pericoli fisici né quelli spirituali poterono frenare questi fedeli desiderosi di intraprendere il loro viaggio nei luoghi santificati dalla presenza del Signore. Con buona pace di Gregorio e di altri che come lui, pur animati da buone intenzioni, non compresero il fascino irresistibile di una simile esperienza. Simili posizioni avrebbero generato in futuro l’adagio qui multo peregrinantur, raro sanctificantur («di rado si santificano quelli che vanno sempre in giro a far pellegrinaggi», De imitatione Christi, I,23). Sarà anche vero, ma nella vita dei più grandi santi è registrato almeno un «viaggetto» in qualche luogo di pellegrinaggio. Sarà piuttosto questione di cuore: se il viaggio è compiuto nelle adeguate condizioni spirituali i frutti non potranno che essere buoni – qui recte (“nella maniera giusta”) peregrinantur, certe santificantur!