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Parleranno lingue nuove

La Pentecoste e i linguaggi della «nuova evangelizzazione»

Da qualche settimana la nostra rubrica si è volta ad approfondire il concetto di «nuova evangelizzazione» a partire dai documenti che lo riguardano direttamente. Più di una volta è stata messa in luce l’esigenza di rinnovare gli stili, i metodi, i linguaggi attraverso i quali l’annuncio, che è sempre lo stesso, viene comunicato – nel senso etimologico del termine: cioè «messo in comune con» – a cristiani e non. A questo proposito, un nostro stimato lettore ha giustamente messo in guardia dal pericolo che la Chiesa diventi «l’ennesima agenzia di comunicazione» fondata sulle regole del marketing. E questa è appunto la domanda alla quale in qualche modo volevamo arrivare: in che modi e con quali mezzi e strumenti la Chiesa potrebbe e dovrebbe comunicare il Vangelo oggi? Con quali «tecniche e strategie» – se ci è consentito usare queste espressioni – la sua comunicazione potrebbe essere realmente «formativa», cioè in grado di «formare Cristo» nei fedeli (Gal 4,19)?

Sappiamo bene che nel corso della storia la Chiesa si è ampiamente servita ad esempio degli strumenti della retorica elaborati nel mondo classico «pagano», riadattandoli alle sue particolari esigenze, ma possono questi strumenti risultare efficaci anche in questi tempi? Sappiamo altrettanto chiaramente che la comunicazione non avviene solo per vie verbali, ma necessita, forse più che di ogni altra cosa, di esempio: una parola può essere convincente, ma se prende forma, se diventa concreta, tangibile, sperimentabile, la sua forza persuasiva si eleva a potenza. Sarebbe fin troppo scontato affermare che non esiste una ricetta universale, un sistema preconfezionato applicabile in ogni luogo e in ogni tempo all’evangelizzazione. La storia insegna che la Chiesa, pur conservando inalterato il contenuto del messaggio, ha adattato e ri-adattato il proprio «codice espressivo» alle esigenze dettate dalle diverse circostanze storiche, politiche, sociali e culturali, ai sessi e alle età dei propri interlocutori e dei destinatari del messaggio stesso. D’altra parte, la prima regola del bravo comunicatore consiste proprio nel conoscere e aderire al proprio destinatario: ne deriva che uno stesso messaggio può essere comunicato in tanti modi diversi, e quanto più si è capaci di intuire le esigenze e le aspettative (esplicite o inconsapevoli) del destinatario e di adattare a lui il proprio «linguaggio» – è chiaro ormai che per «linguaggio» intendiamo un codice fatto non solo di parole, ma anche di segni, atteggiamenti, esempi ecc. –, tanto più il messaggio giungerà a segno, entrerà nell’universo razionale ed emotivo di chi lo riceve e in lui metterà radici.

Tanto per fare un esempio a noi abbastanza familiare, proviamo a esaminare, anche se in modo molto sintetico e semplificato, il modo in cui gli ultimi tre pontefici hanno comunicato la fede al mondo. Giovanni Paolo II si è fissato nella memoria almeno per due aspetti: da una parte il coraggio con cui ha affrontato i problemi sia collettivi (i profondi mutamenti politici ed economici del secolo scorso, la guerra fredda, la criminalità organizzata – vedi il video del suo discorso contro la mafia) sia personali (la malattia lunga e crudele); dall’altra la gioia con cui ha attirato soprattutto i giovani nei momenti di festosa condivisione e comunicazione della fede. Benedetto XVI è stato soprattutto un papa teologo che molto ha affascinato con i suoi scritti, più o meno divulgativi, e la sua sensibilità di studioso. Forse, uomo per natura timido e riservato, ha incontrato qualche difficoltà nel rapporto con le folle, ma mitezza e umiltà hanno contrassegnato il suo pontificato fino alla sua rinuncia. Papa Francesco si presenta come un pastore dolce e carismatico, che non ha paura di stupire con le sue affermazioni e i suoi gesti così semplici e spontanei che arrivano diritti al cuore. Forse è un pontefice meno interessante per gli intellettuali, ma il suo fascino colpisce un po’ tutti e sta portando una ventata di freschezza nella Chiesa.

Ebbene, tre papi, tre diversi modi di comunicare il Vangelo. C’è stato chi con una certa acutezza ha associato a ciascuno di loro una delle virtù teologali: al teologo Benedetto XVI la fede, a Giovanni Paolo II la speranza, a Francesco la carità. Tre modi di comunicare il Vangelo al mondo, tutti validi, tutti efficaci, eppure così diversi negli stili comunicativi. Tre codici, tre linguaggi, ma uno stesso Vangelo. A spiegare come ciò sia possibile viene in aiuto la festività odierna. Nel giorno di Pentecoste, quando lo Spirito Santo si abbattè con la forza di un «vento gagliardo» sugli apostoli e li investì con le sue lingue di fuoco, i discepoli trovarono improvvisamente la forza di uscire nelle strade: «e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Il fenomeno della glottolalia sembra realizzare quanto il Risorto aveva annunciato prima di ascendere al cielo: «nel mio nome … parleranno lingue nuove» (Mc 16,17). Queste «lingue nuove, mai sentite prima», che gli apostoli avranno il potere di parlare, non sono certo il risultato di una laurea in traduzione, ma piuttosto linguaggi capaci di rinnovarsi alla luce delle esigenze dell’evangelizzazione. Così la Chiesa in effetti è e deve essere in grado di comunicare in modi diversi e sempre nuovi un messaggio che è invece sempre lo stesso, e che deve essere portato «ad ogni creatura» (Mc 16,15). Ed è appunto lo Spirito che da sempre dona alla Chiesa la capacità di rinnovare il suo linguaggio, «moltiplicando le lingue sul labbro degli apostoli» (Inno Veni, Creator) di ogni tempo ed ogni luogo.

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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1 Comment on Parleranno lingue nuove

  1. mauro valente // 26 Maggio 2013 a 19:36 //

    Cara Sabrina, può starmi anche bene che si usi in senso lato il termine linguaggio; preferisco però, per questa ampia accezione, parlare di testimonianza, da suddividere poi in testimonianza di parole e di comportamenti.

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