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Giuseppe Capograssi e l’analisi dell’esperienza comune

La semplice e mera sperienza, la quale è maestra vera (Leonardo da Vinci)

La sua opera si presenta «come una difesa dell’umana esperienza concreta contro l’intelletto astratto». Queste parole di Augusto del Noce ben sintetizzano il pensiero di una delle più importanti figure nel panorama filosofico del Novecento: Giuseppe Capograssi.

Nato a Sulmona il 21 marzo 1889, filosofo del diritto di fama internazionale, iniziò la carriera accademica a Macerata, dove venne nominato rettore; si trasferì, poi, a Padova, Napoli e, infine, a Roma, dove ricoprì diverse cariche. Fu tra i fondatori dell’Ugci (Unione giuristi cattolici italiani) di cui fu anche primo presidente. Nella sua vita di grande importanza fu l’incontro e il matrimonio, nel 1924, con Giulia Ravaglia. Durante il fidanzamento, Capograssi scrisse ogni giorno a Giulia, annotando su dei fogli il suo sentimento verso di lei, che andava ogni giorno crescendo, e riflessioni sui più svariati argomenti (dalla filosofia alla politica, dalla teologia al diritto): quei foglietti, poi, sono stati raccolti e pubblicati nel volume Pensieri a Giulia, in cui traspare una comunanza di vita e pensiero e in cui si realizza il desiderio di comunicare le proprie esperienze, le proprie meditazioni all’amata, come si può facilmente evincere da quanto segue: «Ogni mattina, quando mi appresto a scriverti queste parole dell’alba, questi foglietti che sono divenuti una cara consuetudine, una cara effusione, io sento che con queste parole, a volte di fede, a volte di pensiero, a volte di amore io ti dico, ti do una parte di me stesso, la parte migliore di me, quella che sta alla cima» (G. Capograssi, Pensieri a Giulia, Bompiani, Milano 2007, nr. 119).

Tra gli scritti principali meritano di essere segnalati i seguenti: Saggio sullo Stato (1918), Riflessioni sull’autorità e la sua crisi (1921), Analisi dell’esperienza comune (1930), Studi sull’esperienza giuridica (1932), Il problema della scienza del diritto (1937), Introduzione alla vita etica (1935). Tutta l’opera di Capograssi è attraversata dalla preoccupazione di riportare la scienza alla vita, di riportare le radici della riflessione nel vivo terreno dell’esperienza concreta: si può certamente dire che questa preoccupazione è ciò che tiene insieme in un’unità la pluralità degli interessi di questo pensatore. Merita, senz’alcun dubbio, particolare attenzione la sua riflessione etica mai distaccata da una visione metafisica di più ampio respiro: «l’etica moderna – afferma nella sua prima opera – pel fatto che l’Europa ha attraversato tempi nei quali effettivamente i grandi interrogativi hanno taciuto, ha creduto che essi fossero un puro ricordo del passato» (Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, in Opere complete, vol. I, ed. Giuffrè, Milano 1959, p. 154). Tuttavia tali interrogativi, lungi dall’essere un mero ricordo, emergono con maggiore intensità proprio dinanzi alla crisi dell’Europa vissuta in prima persona da Capograssi: questa crisi è, per così dire, il pungolo che conduce alle grandi questioni del senso ultimo della vita e che non possono essere evitate. Tutti gli uomini, infatti, intuiscono la necessità di un Assoluto, unica soluzione capace di placare sia la nostra sete di conoscenza che il nostro bisogno di orientamento. In una delle sue opere più importanti scrive: «Con la logica profonda del desiderio che è desiderio di salvezza e di untitledappagamento l’anima intuisce dietro tutte le realtà finite, che non hanno base in sé che si vanno appoggiando l’una con l’altra e si distruggono l’una con l’altra e chiedono aiuto l’una all’altra, una Vita che è infinita, che ha la sua propria base in se stessa, che può dare aiuto perché di nulla ha bisogno e ha tutto» (Capograssi, Analisi dell’esperienza comune, in Opere complete, vol. II, p. 56). In questo modo tutte le nostre scelte sono buone perché rispettano una gerarchia di valori oggettiva, evitando di essere trasportarti dalla fiumana del relativismo: «Tutta la eticità consiste nella diversità di valori che le cose hanno e nella necessità della scelta secondo questi valori. Nella legge etica tutte le cose hanno il loro valore nella verità, nel male tutte le cose hanno il loro valore nel soggetto […]. Il male è preferire la propria volontà alla legge […]. E procedendo nella sua azione col criterio di questa preferenza, il soggetto procede alla distruzione graduale di tutte le conclusioni a cui è giunta la coscienza. Prima di tutto cessa ogni cura di conoscere la realtà e la verità: quella profonda esigenza di conoscere le ricchezze del reale, che è il primo segno dell’umiltà che la legge del dovere porta nell’animo, quella necessità di conoscenza che nasce dall’esigenza di rispettare il reale, di non danneggiarlo, viene meno» (Analisi dell’esperienza comune, p. 90).

Per concludere: la figura di Giuseppe Capograssi si presenta anche oggi fonte di riflessione e per questo di grande attualità. Il filosofo abruzzese, sulla scia di grandi pensatori del passato come sant’Agostino e Giambattista Vico, concepisce la filosofia come una ricerca seria che parte (e non può non partire) dalla vita, da quelle prime verità della ragione e da qui scendere «sino all’essenza ultima delle conoscenza e delle cose» (Pensieri a Giulia, nr. 1961); così giunti «sul margine dell’esperienza dinanzi al problema integrale della vita come vita compiuta del vivente finito, dell’individualità finita» ci si accorge che «la vita chiama ancora la vita come Vivente infinito». (Analisi dell’esperienza comune, vol. II, p. 204).

 

About Giovanni Covino (17 Articles)
Giovanni Covino (Benevento 1985) è laureato in filosofia presso l’Università Federico II di Napoli con una tesi sulla gnoseologia di Jacques Maritain, con particolare riferimento al problema del realismo e della filosofia cristiana. Ha tenuto corsi di filosofia come professore ospite presso lo Studio Teologico di Benevento e collabora con la Casa editrice Leonardo da Vinci (www.editriceleonardo.net). Ha pubblicato un commento al trattato di Antonio Livi su Vera e falsa teologia (2012) per la Rivista Rosminiana, diretta da Pier Paolo Ottonello, e un saggio (Per una filosofia come “scienza rigorosa”. La proposta teoretica di Antonio Livi e la fenomenologia) nel volume collettaneo Realismo e fenomenologia, a cura di Mario Mesolella (Roma 2012). Ha inoltre curato diversi volumi collettanei (La nozione di “senso comune” nella filosofia del Novecento, Roma 2012; La verità in teologia. Filosofi e teologi discutono il trattato di Antono Livi, “Vera e falsa teologia”, Roma 2014; Dagli enti all'Essere, Roma 2016; Verità e giustizia in democrazia, Roma 2017). Ha contribuito con uno studio sulla dialettica tra senso comune e filosofia nel pensiero antico, con particolare attenzione alla metafisica platonica, al volume collettaneo Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, a cura di Andrea Muni (Limina Mentis 2014) e curato, con Antonio Livi, il testo "Edith Stein. Tra Husserl e Tommaso d'Aquino" di Cornelio Fabro (Roma 2016). Ha pubblicato numerosi articoli sulla rivista Sensus communis ed è autore del trattato "Il senso morale. Avviamento allo studio dell'etica filosofica" (Roma 2017).
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