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Filosofo, cura te stesso

Non deve sorprendere che tra le opere morali di Plutarco, accanto ad argomenti filosofici ed etici, figuri un trattato contenente utili consigli per mantenersi in salute. Il pensiero antico non era una forma di sapere astratto, ma aveva risvolti pratici, che riguardavano tutta l'esistenza del singolo. Sembrano tempi lontani rispetto alla odierna frammentarietà del sapere e le sue nefaste conseguenze.

Nella nostra epoca in cui la frammentarietà del sapere s’imbelletta del titolo di “specializzazione dei saperi”, considerando erudito solo colui che può dirsi esperto di qualcuno o qualcosa, è guardato generalmente con diffidenza l’intellettuale impegnato su più fronti del sapere, fatta eccezione per quei pochi premiati con titoli un po’ di maniera, quali: “genio multiforme”, “erudito eclettico”, “spirito enciclopedico”. Di suddetta diffidenza forse patì anche il pensiero antico, se Plutarco, nelle pagine del breve trattato Precetti igienici (Ὑγιεινὰ παραγγέλματα; De tuenda sanitate praecepta), contenente utili consigli per mantenersi in buona salute, sentì l’esigenza di giustificare il proprio interesse per la medicina, affermando che non si devono accusare i filosofi di «travalicare i confini» quando discutono di questioni relative alla salute; vanno anzi biasimati se «non ritengono giusto abolire qualsiasi confine», e «dedicarsi ai loro nobili studi in comune, come su un unico territorio», perseguendo al contempo «ciò che è piacevole e ciò che è necessario». Leggendo il trattato, non ci si troverà dunque di fronte a quella forma di speculazione astratta e separata dalla vita concreta che concorse a formare, fin dall’antichità, un pregiudizio comune nei confronti della filosofia, percepita dai più come un’attività sterile priva di utilità, bensì davanti a una sorta di sapere terapeutico, contenente indispensabili precetti che, se correttamente seguiti, aiuteranno a migliorare la salute del corpo e a risanare l’anima dai suoi patimenti. Come può un filosofo trascurare la medicina, se per l’uomo la salute è condizione preliminare per esercitare ogni virtù, piacere o gesta?

Da buon platonico, Plutarco istituisce un interessante parallelismo tra la salute del corpo e quella dell’anima. Citando il Timeo (cfr. 88b), egli ricorda come Platone raccomandi di «non muovere mai il corpo senza l’anima, né l’anima senza il corpo, ma di mantenerli sempre in equilibrio come una pariglia di cavalli», risarcendo il corpo con le attenzioni più premurose quando si sobbarca i patimenti dell’anima, e ricordando che, tra i benefici della buona salute, il più bello sta «nella possibilità per l’anima di praticare liberamente la virtù, nelle parole come nelle azioni». «L’anima paga un affitto salato al corpo», anche se il numero di mali che il corpo riceve è maggiore «se l’anima non ne fa un uso ragionevole e non gli riserva le cure dovute». Occorre vigilare sul corpo, per quel che concerne l’alimentazione e l’esercizio fisico, senza mai eccedere nei piaceri come nelle restrizioni, perché malattia e sofferenza danneggiano l’anima e rendono gli uomini «irascibili, litigiosi e irritabili, inclini al pianto e facili prede dell’angoscia o della depressione». La salute è necessaria alla virtù come al piacere, scrive Plutarco, quindi, senza tergiversare con giri di parole ipocriti, bisogna evitare il più possibile le malattie perché esse costringono gli uomini a «rinunciare a imprese, esperienze, viaggi e divertimenti». Se «le infermità permettono infatti a molti non solo di filosofare, ma anche di comandare un esercito o di governare un regno», è pur vero che «alcuni godimenti e piaceri non possono addirittura essere provati in malattia», così come il bene scaturito dalla virtù non si presenta mai «in forma pura» in un uomo «infiacchito e disturbato» dalla malattia. Il danno peggiore per l’anima si ha tuttavia quando «i desideri scendono dall’anima nel corpo, costringendolo a servire le proprie passioni»: chi cerca nel corpo la compensazione alle frustrazioni dell’anima finisce per non soddisfare entrambi. Ugualmente, quando l’anima è tutta presa dalle sue passioni, dai suoi conflitti e dalle sue preoccupazioni non ha riguardo per il corpo.

Nella nostra epoca salutista, se si dicesse con Plutarco che la salute è la condizione preliminare per esercitare ogni piacere e virtù, i più concorderebbero; di contro, sarebbero probabilmente accusati di moralismo quanti oggi sostenessero che il corpo non è valvola di sfogo per capricci e frustrazioni dell’anima, perché questa trova pace e gioia solo perseguendo impegni sani e piacevoli a essa conformi. Se si è persa questa visione fondata sulla conformità dell’uomo all’ordine naturale, i motivi sono tanti, non ultimo, riteniamo, proprio la frammentarietà del sapere cui si accennava all’inizio. L’uomo di oggi scisso tra anima e corpo, schizofrenico dai tanti “io”, è frutto anche di un “sapere” e di un’“educazione” in cui etica e diritto sono sempre più scissi dall’antropologia, quest’ultima dall’ontologia per non parlare della metafisica e dell’escatologia. Sembrano ormai lontani i tempi di Plutarco in cui la filosofia era un sapere terapeutico, uno stile di vita quotidiano per cui l’uomo poteva essere pienamente umano solo attraverso la conoscenza di tutta la realtà e di tutto se stesso, del “mondo reale” come di quello “ideale”. Sembrano lontani i tempi in cui gli uomini «non muovevano mai il corpo senza l’anima, né l’anima senza il corpo». Lontani, ma non perduti.

* Le citazioni sono tratte da: Plutarco, Consigli per mantenersi in buona salute, a cura di Francesco Chiossone, Il melangolo, Genova 2015, pp. 79.

* Immagine: Corridori; particolare di un’anfora antica a figure nere (IV secolo a.C), conservata al British Museum di Londra