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“Dobbiamo farci tutto a tutti a costo di guadagnarne solo qualcuno”

"Guai a voi - ammonisce monsignor Valentinetti - se non predicate il Vangelo e guai a voi se non lo fate nella stessa maniera in cui l’ha fatto Paolo, gratuitamente e senza contropartita che non dev’essere necessariamente economica, ma può essere il primo posto, il ringraziamento, la lode, il pavoneggiarsi per aver fatto determinate cose. Il Vangelo, cari fratelli, tutto questo non lo ammette. Il Vangelo chiede essenzialmente un servizio umile, fiducioso e soprattutto un servizio da compiere mettendosi all’ultimo posto"

Questa l’esortazione rivolta mercoledì ai fedeli dall’arcivescovo Valentinetti alla Lectio divina di Quaresima, pronunciata nel Santuario della Divina Misericordia

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne

La Lectio divina di Quaresima presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, seguita ai recenti esercizi spirituali, è stata nuovamente incentrata sulla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi. Ma questa volta, mercoledì sera presso il Santuario della Divina Misericordia di Pescara, è stato il capitolo 9 al centro della riflessione.

Un passo in cui l’apostolo delle genti pone al centro il tema del ministero della predicazione: «Il tema di questo brano – esordisce il presule – è quello della ricompensa per coloro che predicano il Vangelo. Paolo, nella prima parte del capitolo 9, individua quali sono i diritti di chi annuncia il Vangelo e al versetto 15 pone una cesura, quando afferma “Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti… La mia ricompensa è quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritti conferitomi dal Vangelo”. San Paolo rivendica il diritto ad avere una ricompensa e se si lavora a favore del Regno di Dio, si ha diritto a una ricompensa per la vita a seguito di questo servizio che si svolge per il Vangelo. Ma San Paolo ci tiene a precisare che non si è avvalso di nessuno di queste diritti, in altre lettere aggiunge anche di essersi procurato tutto il necessario con le sue mani, lavorando, e che tutto quanto aveva fatto per annunciare il Vangelo, lo aveva fatto gratuitamente».

Qui si apre il grande tema di chi lavora per il Vangelo e di come questo servizio dev’essere interpretato nella vita delle persone: «Perché l’annuncio del Vangelo – ammonisce monsignor Valentinetti – non dev’essere una scusa per non lavorare. Un discorso che riguarda principalmente il vescovo e la comunità presbiterale, che vive a tempo pieno del servizio del Vangelo, e non è da escludere che tutto questo sia da tenere presente verificando se, nella vita di tutti i giorni, non si debba essere capaci di coniugare il lavoro per la propria sussistenza e l’annuncio del Vangelo. In questo voi laici siete molto più fortunati di noi, in quanto avete la possibilità di coniugare in maniera seria questa realtà, avete la possibilità di coniugare in maniera seria questi due elementi, che non dovrebbero mai essere scissi. Ci farebbe bene a tutti, mi riferisco alla mia categoria, saper coniugare un po’ di più l’esperienza dell’annuncio del Vangelo e l’esperienza del lavoro».

Ma se per i sacerdoti e i vescovi questo passaggio appare ancora lontano e avveniristico, per i diaconi questo accade già nella vita di tutti i giorni: «Fortunati voi – esclama l’arcivescovo di Pescara-Penne, rivolgendosi ai diaconi convocati e presenti alla lectio divina -, perché nella vostra vita siete chiamati a coniugare l’esperienza del lavoro e l’esperienza dell’annuncio del Vangelo. Nella Chiesa, nel diaconato permanente, si riscopre questo elemento e se mi sono permesse di convocarvi è stato per dirvi queste cose alla presenza dei tanti laici che, come voi, vivono la stessa esperienza».

Per San Paolo quella della predicazione era un’esigenza che era parte della sua stessa esistenza e, per questo, diceva “Guai a me se non predicassi il Vangelo, guai a me se non vivessi questo servizio e la mia ricompensa, la mia verità più profonda, è predicare il Vangelo e predicarlo gratuitamente, senza i diritti che esso mi conferisce”. Una condotta, quest’ultima, molto vicina a quella che dovrebbe essere l’inclinazione e la vocazione dei laici: «Vi dico io – avverte l’arcivescovo Valentinetti – guai a voi se non predicate il Vangelo e guai a voi se non lo fate nella stessa maniera in cui l’ha fatto Paolo, gratuitamente e senza contropartita che non dev’essere necessariamente economica, ma può essere il primo posto, il ringraziamento, la lode, il pavoneggiarsi per aver fatto determinate cose. Il Vangelo, cari fratelli, tutto questo non lo ammette. Il Vangelo chiede essenzialmente un servizio umile, fiducioso e soprattutto un servizio da compiere mettendosi all’ultimo posto».

Come San Paolo che afferma “Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”. Un passaggio che tradotto nelle nostre vite implica una dimensione personale e una comunitaria: «Vogliamo incarnare – chiede monsignor Tommaso Valentinetti – seriamente il nostro battesimo? Vogliamo comprendere fino in fondo dove ci porta la follia della sequela di Gesù Cristo? Ci dobbiamo fare tutto a tutti e per farlo, non conta assolutamente né la razza, né la religione, né lo stato sociale, né la grazia, né il peccato. Conta la persona, questa interessa a Paolo».

Fedeli e religiosi presenti nel Santuario della Divina Misericordia

Fedeli e religiosi presenti nel Santuario della Divina Misericordia

Paolo dice “Non ho considerato il fatto che i giudei mi hanno disprezzato, non ho considerato affatto che molti di loro al posto di mettere al primo posto l’amore mettono al primo posto le leggi. Non ho considerato affatto che ci sono molti che sono senza legge, che non hanno nessuna capacità di comprensione della vita, ma mi sono fatto tutto a tutti per guadagnarne qualcuno”: «Ma l’impresa – s’interroga ancora l’arcivescovo – vale il risultato? Secondo Paolo sì, per guadagnarne qualcuno. Forse noi smarriamo questa tipologia di approccio, che deve portarci verso l’altro chiunque egli sia. Gesù ci ha dato una chiarissima testimonianza. Fin dal primissimo momento della sua vita, Gesù si fa tutto a tutti nel momento stesso in cui scende nel battesimo del Giordano, in mezzo ai peccatori. Ma non è importante che Lui riceva quel battesimo, è importante con chi è andato a riceverlo, ovvero i pubblicani e le prostitute. A livello personale, siamo capaci di farci tutto a tutti? A livello ecclesiale è più difficile, perché quando deve muoversi un corpo lo fa con più difficoltà rispetto ad una sua singola parte».

Ma il Concilio Vaticano II ha puntualizzato questo concetto: «Esso – puntualizza Valentinetti – ci ha detto che la fede non può essere nei contenuti, ma nella sua espressione, nella sua inculturazione, nel calarsi dentro la vicenda di popoli e nazioni e non può essere tutto uguale, perché il Vangelo va calato dentro storie e situazioni diverse, trovando una sua collocazione per farsi tutto a tutti essendo capace di usare un linguaggio comprensibile. Ma attenzione, quando parlo di linguaggio non parlo solo di linguaggio verbale, parlo di linguaggio gestuale, di linguaggio che è capace di dare espressioni alla vita delle persone».

Tutto questo ha molta influenza sulle dimensioni liturgica, catechetica, internazionale e sulla nostra dimensione, su come facciamo l’annuncio e la catechesi ai bambini, ai giovani che conoscono Cristo e a quanti di loro non lo conoscono: «Sono due situazioni profondamente diverse – osserva il presule – e se le trattiamo allo stesso modo, non abbiamo capito niente di quello che significa un cammino di evangelizzazione. Come trattiamo l’annuncio ad una famiglia regolare e a una famiglia irregolare? Non sono e non possono essere due cose uguali, ma noi siamo chiamati a farci tutto a tutti a costo di guadagnarne qualcuno e questo non significa sminuirne la dottrina, il cui nucleo resta sempre lo stesso, ma le modalità, le attenzioni, le capacità, gli affiancamenti devono essere diversi».

Da qui il monito contro quanti criticano e attaccano la pastorale di Papa Francesco: «Mi dispiace molto – confida l’arcivescovo – quando qualcuno si permette di criticare Papa Francesco, perché avrebbe scritto un capitolo dell’Amoris Laetitia in cui si parla di accogliere, accompagnare, discernere e integrare le coppie ferite. La strada non è e non può essere quella di sempre, se noi facciamo prevalere la dimensione della legge o del “o è bianco o è nero”, non riusciremo a farci tutto a tutti, ma se invece faremo prevalere la logica di uno “stare con” tutto questo cambia nella vita personale e nella vita comunitaria».

Un cambiamento da realizzare rapidamente: «Dobbiamo sbrigarci – esorta l’arcivescovo Valentinetti – a cambiare la vita delle nostre comunità, non possiamo rimanere seduti, vivere di passato, dobbiamo vivere del futuro che è davanti a noi, alla luce della Parola di Dio. Vogliamo  vivere questa dimensione bella, profonda, vogliamo vivere così come la Scrittura ci chiede? Bene, bisogna allenarsi per andare in profondità, nella nostra interiorità, a partire dall’esercizio della fede e della spiritualità».

Tutto questo, a detta dell’arcivescovo, è possibile se nella nostra vita mettiamo due punti fermi, a parte la preghiera quotidiana che è imprescindibile: «Almeno una volta l’anno – suggerisce – fate un corso di esercizi spirituali. Voi mi direte, “Ma queste cose le fanno i preti!”. No, non è sufficiente, gli esercizi spirituali devono farli anche i laici. Trovate il tempo di fermarvi, trovate il tempo di allenarvi. Si chiamano esercizi spirituali perché ci si deve allenare. Così com’è importante prendere una mezza giornata al mese da dedicare a voi stessi. È importante allenarsi, perché dobbiamo correre, non possiamo rimanere fermi».

Successivamente, San Paolo ricorre all’Antico testamento per proporre un modello di vita ai Corinzi, ripercorrendo un brano dell’Esodo che racconta l’attraversamento del deserto da parte del popolo d’Israele il quale, però, cade nel peccato dell’idolatria costruendo il vitello d’oro, vivendo loro di quanto ricavavano dall’animale: «Prima di capire – sottolinea l’arcivescovo – che bisognava adorare un unico Dio hanno impiegato del tempo. Qual è il nostro idolo? Qual è la nostra idolatria personale, della società e forse pure della Chiesa? Perché, sapete, gli idoli attirano tutti, si insinuano, fanno vedere che sono importanti mentre invece non lo sono. Quanti idoli ci facciamo noi nella nostra vita personale, pensando alle cose essenziali per la nostra esistenza che possono diventare un idolo e molto spesso lo diventano?».

Gli idoli principali, in cui possiamo cadere, sono tre: «L’idolo del possedere, ovvero il denaro – individua monsignor Valentinetti -, un idolo terribile, e poi quello del potere, non un grande potere ma uno sufficiente a poterci far stare sopra l’altro. È questo l’idolo che, solitamente, sfascia le famiglie. E poi c’è l’idolo del piacere, di ogni genere, pensiamo al piacere del gioco che sconfina nella ludopatia».

Ognuno di noi, facendo un esame di coscienza, può avere i suoi idoli che poi passano dal livello personale al livello comunitario: «Oggi – riconosce il presule – il grande idolo della vita sociale è il denaro, tutto si risolve con quello, il mondo sta diventando preda del denaro e della finanza che concentra sempre più la ricchezza nelle mani di pochi. Abbiate il coraggio di capire che l’idolatria ci può portare fuori strada, ma abbiate anche il coraggio di capire che l’idolatria è una tentazione che si può vincere non contando solo sulle nostre forze, ma perché sappiamo che Dio è fedele e non permetterà che siamo tentati al di là delle nostre forze. E con la tentazione, vi darà anche la via d’uscita e la forza di sopportarla, ma non vi metterà al sicuro da essa. Non pensate di non averne più, la tentazione ci sarà sempre e ci accompagnerà per tutti i giorni della nostra vita, ma non abbiate paura perché se ci sarà la tentazione Dio che è fedele e se ci saremo allenati, se saremo stati frequentatori di questa presenza del Signore, Dio ci darà la forza per sopportarla e lasciarla cadere».

Al termine della Lectio divina, monsignor Valentinetti ha dato appuntamento a mercoledì 12 aprile, per la tradizionale messa crismale che avrà luogo alle ore 18.30 presso il Palasport Giovanni Paolo II di Pescara e, inoltre, a mercoledì 17 maggio alle ore 20.45, per la Lectio divina del tempo di Pasqua che si terrà nuovamente nel Santuario della Divina Misericordia.

About Davide De Amicis (3897 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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