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Le religioni non sono tutte uguali o tutte vere

Raggiungere la pacificazione politica dei conflitti religiosi e la coabitazione pacifica delle religioni non significa necessariamente azzerare le differenze dottrinali tra le religioni e dentro alle stesse religioni. Avanzano pretese di verità non solo diverse, le religioni, ma perfino contraddittorie. Continuare a tacere su questo è tanto facile quanto pericoloso. La questione su cui confrontarsi non deve essere l’azzeramento delle differenze religiose quanto il discernimento e l’individuazione di criterî di valutazione della diversità religiosa.

Avete mai assistito a un dibattito pubblico sul tema della diversità religiosa?

La tendenza prevalente nelle società liberali dell’Occidente è credere che la pacificazione politica del conflitto religioso e la coabitazione pacifica delle religioni siano realizzabili solo mediante la relativizzazione delle differenze fra le religioni. Le opzioni a disposizione delle società liberali sarebbero sostanzialmente due: il relativismo religioso, cioè l’idea che tutte le religioni siano uguali, ovvero che siano di uguale valore, oppure il pluralismo religioso, cioè l’idea che più religioni siano vere. Nella prima parte dei dibattiti, se vi prestate attenzione, tutti i relatori sono in genere concordi sul fatto che per parlare nell’epoca attuale di religione sia necessario – doveroso – parlarne al plurale. A seguire, i relatori decantano a turno i valori della tolleranza e della convivenza plurale fino all’apice di tali dibattiti: enfatizzare i vantaggi, in termini di maggiore possibilità di scelta e di arricchimento culturale, che la diversità religiosa apporterebbe.

Ricapitolando, lo schema del “ragionamento tipo” da dibattito è: la diversità religiosa è un dato di fatto; la diversità religiosa è un problema perché è difficile far coesistere in una medesima società religioni e culture diverse; la diversità religiosa non sarà più un problema, bensì una “benedizione”, se tutte le religioni saranno considerate uguali.

Questo modo di affrontare la questione della differenza religiosa, per quanto moltiplichi dibattiti riempiendo aule accademiche e salotti televisivi, presenta notevoli limiti. Gran parte delle difficoltà odierne a raggiungere il fine della pacificazione politica, sociale e culturale tra le diverse religioni, deriva proprio da questo limitarsi – ostinarsi? – a cavalcare esclusivamente l’argomento della relativizzazione delle differenze religiose. Il relativismo e il pluralismo religiosi costituiscono semmai due possibili teorie, non le uniche, in risposta ai problemi posti dalla diversità religiosa. Due teorie possibili che reggono su una serie di errori su cui vale la pena riflettere.

Primo errore. Non è possibile che tutte le religioni siano “uguali”, o che più religioni siano “vere”. È evidente che le religioni, tutte le religioni, avanzano una pretesa di verità già per il fatto che affermano certe cose su Dio, sul divino, sul sacro, sul mondo e sull’uomo, e quindi negano il valore di affermazioni contrarie, raccomandano una certa condotta di vita e non il suo opposto, dichiarano buone o cattive certe azioni e non altre. Se un cristiano afferma che Cristo è il figlio di Dio, ad esempio, sta escludendo ciò che crede l’Islam, ovvero che «Gesù sia un messaggero di Dio» (s.4,171), «come altri furono prima di lui» (s.5,75); negando la divinità di Gesù, l’Islam rimprovera coloro che dicono che «il Cristo, figlio di Maria, è Dio» (s.5,72) e chiama empi coloro che dicono «Tre» (s.4, 171). Così il cristianesimo, che crede in un Dio personale, si distingue dall’induismo che invece ammette una Realtà divina senza chiarire se si tratti di una presenza impersonale o personale. E il Buddismo si distingue dal cristianesimo, dall’induismo e dall’Islam, perché non intende pronunciarsi sul divino, considerando le questioni teologiche inutili a risolvere l’unico problema veramente importante: la liberazione dal samsara (rinascite) mediante l’illuminazione. Le religioni, tutte le religioni, affermano delle verità che escludono necessariamente altre. Dunque, la pretesa di verità è connaturale a ogni religione.

Secondo errore. Il relativismo e il pluralismo religiosi – ovvero la relativizzazione della pretesa di verità avanzata da tutte le religioni – sono spesso confusi con i principî della libertà religiosa e della laicità dello Stato. In realtà, il riconoscimento della libertà religiosa – di per sé una grande conquista – non implica in sé l’idea dell’uguaglianza di tutte le religioni, bensì quella dell’uguaglianza delle persone che professano diverse credenze religiose. La laicità dello Stato implica il riconoscimento della libertà religiosa, e il godimento dei diritti civili da parte di tutti gli individui appartenenti a una medesima società indipendentemente dal loro credo religioso, ma di per sé non implica che tutte le religioni siano sullo stesso piano e abbiano il medesimo valore.

Andrea Aguti

Raggiungere la pacificazione politica dei conflitti religiosi e la coabitazione pacifica delle religioni non significa necessariamente azzerare le differenze dottrinali tra le religioni e dentro alle stesse religioni. Avanzano pretese di verità non solo diverse, le religioni, ma perfino contraddittorie. Continuare a tacere su questo è tanto facile quanto pericoloso. La questione su cui confrontarsi non deve essere l’azzeramento delle differenze religiose quanto il discernimento e l’individuazione di criterî di valutazione della diversità religiosa. Questa è la posizione abbracciata, e la via indicata, da validi filosofi della religione come il prof. A. Aguti. Naturalmente il riconoscere la legittimità della pretesa di verità sollevata dalle religioni non significa che questa pretesa debba essere imposta in modo violento o irrispettoso, dando luogo ad atteggiamenti fanatici, dogmatici, intolleranti.

Nessun esclusivismo religioso, tanto meno un inclusivismo di sola facciata. Meglio adoperarsi per una riflessione razionale sulla religione che non rinunci al confronto e al discernimento sulla diversità religiosa. Questa via permetterebbe di valutare la pretesa di verità avanzata da tutte le religioni per capire se e come prospettive divergenti possano stare assieme, o se invece si escludano in parte o completamente. Perché le religioni non sono tutte “uguali” o tutte “vere”.