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Rivoluzione ’68: “Ha vinto, ma ha perso radicalizzando l’io fino a indebolirlo”

"Avremmo bisogno - auspica Magatti - di un ’68 post-soggettivistico, che concepisca la libertà come relazione e responsabilità anziché come pura manifestazione dell’io"

Lo ha affermato il sociologo Mauro Magatti, ripercorrendo la rivoluzione culturale del Novecento che ha cambiato la storia e il modo di pensare

«Per alcuni aspetti ha vinto completamente e per altri è un grande sconfitto». Ha parlato così del Sessantotto Mauro Magatti, sociologo dell’Università Cattolica ed editorialista del Corriere della sera, in un’intervista all’agenzia di stampa Sir. Sono passati 50 anni dall’anno di svolta nella storia del secondo dopoguerra, per alcuni l’anno più cruciale del Novecento, simbolo del movimento che con la sua protesta contro il sistema ha dato un violento scossone al mondo aprendo una stagione del tutto inedita.

Per Magatti, è stato la punta dell’iceberg dell’emergenza di un’istanza di soggettività individualistica che per ragioni sociali e culturali è affiorata solo nel ’68 degli studenti, non in quello degli operai: «Nasce infatti, e non a caso – spiega -, tra gli studenti delle principali università del mondo occidentale, nella prima generazione dei figli del benessere, dell’accesso al consumo e alla cultura. Un’istanza che ha dilagato e ha vinto, perché alla fine siamo diventati tutti sessantottini e il valore della soggettività personale e dell’autorealizzazione è diventato cultura di massa».

Dall’altra parte, però, è invece stato sconfitto: «Perché – aggiunge Magatti -, sorto come potente fermento di libertà e di innovazione sociale, culturale politica, la sua energia ha finito per produrre un modello di crescita che ha certamente lati positivi, ma che ha anche generato pesanti conseguenze a livello ambientale e demografico e in termini di disuguaglianze, ed è stato, di fatto, abbondantemente “arruolato” nei meccanismi del sistema che voleva combattere».

Mauro Magatti, sociologo ed editorialista del Corriere della sera

Come questo sia avvenuto, è presto detto: «Durante la “rivoluzione” del ’68 – osserva il sociologo ed editorialista del Corriere della sera – si è immaginato un ‘io’ in grado di autodeterminarsi, che non deve niente a nessuno, puramente alla ricerca della propria realizzazione e quindi esposto a consegnarsi a qualsiasi offerta organizzata per soddisfare questa istanza. L’ingenuità del pensiero sessantottino è il non avere compreso che radicalizzare l’idea del soggetto, finisce per indebolirlo e per smarrire la realtà inconfutabile del nostro essere nodi di relazione».

Questo in quanto la nostra è una libertà parziale, condizionata: «Non può sfuggire alla questione della responsabilità – ricorda Mauro Magatti -, perché noi esistiamo all’interno di reti di relazione da cui non possiamo prescindere. La radicale contrapposizione al principio di autorità, come se fosse possibile un mondo privo di autorità, è invece stata espressione di un ideologismo che ha messo l’idea prima della realtà».

Per quanto riguarda le connessioni tra contestazioni studentesche e movimento operaio, Magatti invita poi a fare una distinzione: «Il ’68 degli studenti – precisa – raccoglie istanze già espresse in modo più isolato negli anni precedenti; il movimento degli operai nasce da una matrice diversa, si pone un problema di giustizia sociale, di diritti del lavoro. I due fenomeni fanno parte di una stessa transizione ma, nonostante alcune commistioni, nascono da istanze profondamente diverse e prenderanno strade differenti».

E oggi, di fronte all’emergere di populismi generici che esprimono insoddisfazione, timori, domanda di nuovo, da dove potrebbe venire una risposta?: «Possiamo sperare solo – auspica il sociologo – in una stagione nella quale si rifletta e si sappia fare un passo avanti, rispetto al ’68, intorno al tema della libertà: «Avremmo bisogno di un ’68 post-soggettivistico – conclude -, che concepisca la libertà come relazione e responsabilità anziché come pura manifestazione dell’io».

About Davide De Amicis (4360 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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