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“È sacrilegio massacrare una donna, chi lo fa rinnega le proprie origini”

"La Chiesa - sottolinea il cardinale Bassetti - ribadisce con forza il proprio sostegno e la propria vicinanza a tutte le donne vittime di maltrattamenti e violenza. Come sacerdoti, spesso siamo i primi a raccogliere brevi racconti da chi subisce violenza. Dobbiamo essere dunque più accoglienti, attenti e meno frettolosi nei loro confronti"

Lo ha affermato ieri il presidente della Cei Bassetti in un videomessaggio su Tv2000, per l’odierna Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

«Chi maltratta una donna rinnega e sconfessa le proprie radici perché la donna è fonte e sorgente della maternità. È una specie di sacrilegio massacrare una donna. La violenza contro le donne sta diventando sempre più un’emergenza anche a livello nazionale, che va combattuta a vari livelli».

Card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana

Lo ha detto ieri il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, in un videomessaggio su Tv2000 in occasione dell’odierna Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: «Nella mia esperienza di Pastore – prosegue il porporato – sono venuto a contatto con situazioni davvero preoccupanti. Diverse donne si sono rivolte a me in confidenza e con vergogna, timorose delle conseguenze se la vicenda si fosse venuta a sapere e scoraggiate dall’ipotesi di non essere credute. Era brutto perché la loro confidenza che le avrebbe potute aiutare rimaneva soltanto uno sfogo. Come si fa a raccontare che l’uomo tanto ‘perbene’ nel contesto cittadino, una volta tra le mura di casa si trasforma in un despota aggressivo? Spesso le donne confondono la violenza con un atto di amore esasperato ‘perché – alcune dicono – se mi picchia, se mi dà uno schiaffo, vuol dire che gli interesso, vuol dire che è geloso di me. Quindi mi vuole bene’. C’è dunque chi si umilia per amore. È chiaro che tutte queste non possono definirsi delle manifestazioni d’amore, ma sono manifestazioni di possesso, violenza, prepotenza e viltà».

A questo punto, il cardinale Bassetti ha citato le parole riportate da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium “La vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù non costituiscono una dimostrazione di forza mascolina, bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne contraddice la natura stessa dell’unione coniugale”.

Da qui la netta presa di posizione del presidente della Conferenza episcopale italiana: «È necessario combattere la violenza contro le donne, lo voglio dire con forza – sottolinea -, prima di tutto dal punto di vista culturale. E il primo campo ad essere impegnato è quello educativo, iniziando dalle scuole e da tutte quelle che chiamiamo le agenzie educative, la famiglia, la scuola, gli ambiti ricreativi. Talvolta anche nello sport, che dovrebbe essere una forma di educazione, emerge una forma di aggressività. E ogni forma d’aggressività che si forma nell’adolescenza, è poi destinata nell’età matura a ripercuotersi su qualcuno e spesso sulla propria compagna. La Chiesa ribadisce con forza il proprio sostegno e la propria vicinanza a tutte le donne vittime di maltrattamenti e violenza. Come sacerdoti, spesso siamo i primi a raccogliere brevi racconti da chi subisce violenza. Dobbiamo essere dunque più accoglienti, attenti e meno frettolosi nei loro confronti».

Per questo, la Chiesa ha attivato anche dei servizi specifici: «Sappiamo, lo dico con gioia – ricorda il cardinale Bassetti – che ci sono diocesi, a cominciare dalla diocesi di Roma, che si sono impegnate ad aprire uno sportello di ascolto e sostegno a tutte le donne in difficoltà e anche ai loro figli. Perché non dobbiamo dimenticare che dove c’è una donna maltrattata ci sono spesso dei piccoli, degli innocenti che sono costretti a vedere queste violenze. Che esempio stiamo dando ai nostri figli?».

L’icona della Madonna dell’occhio nero

Il presidente della Cei si è infine soffermato sull’icona del ‘600 della Madonna dall’occhio nero, custodita nel santuario mariano di Galatone in provincia di Lecce. Un uomo lanciò una pietra contro la sacra immagine colpendo la Madonna in pieno volto, all’altezza dell’orbita destra. Immediatamente, intorno all’occhio comparve una evidente livido nero tuttora visibile. Un affresco che molti considerano il simbolo della violenza sulle donne: «È una bellissima icona – conclude il porporato – che io non conoscevo, ma che vi invito a diffonderla. E questa Madonna violata, così sul suo volto stupendo, è l’immagine quasi del sacrilegio che si commette nel violare le donne. Perché ogni donna, che sia giovane o anziana, è sempre una sorella e una madre da rispettare. E chi non rispetta una donna, non rispetta le proprie radici e non rispetta la vita».

E in questa occasione, l’Istat ha diffuso la prima l’indagine realizzata sui servizi offerti dai Centri antiviolenza alle donne vittime, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio, le Regioni e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr – Irrps). L’indagine, effettuata nei mesi di giugno – luglio 2018, ha permesso di intervistare 281 centri antiviolenza, 253 dei quali hanno risposto al questionario, e le donne che vi si sono rivolte nel 2017 sono state 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il numero medio di donne prese in carico dai centri è massimo al Nord-est e minimo al Sud. Il 26,9% delle donne è straniera e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi. Il 68,8% dei centri ha messo a disposizione una reperibilità h24, il 71,1% ha attivato un servizio di segreteria telefonica negli orari di chiusura e il 24,5% possiede un numero verde dedicato. Sono circa 4.400 le operatrici che nel 2017 hanno lavorato nei centri antiviolenza, di queste il 56,1% è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. Le figure professionali che sono maggiormente presenti nei centri, coerentemente con i servizi prestati, sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza.

E ovviamente l’Onu è protagonista in questa giornata, lanciando il tema “Orange the World: #HearMeTooColoriamo il mondo d’arancio, ascolta anche me”. L’intento della sua campagna è di mobilitare le agenzie Onu, ma anche scuole, università, politica, settore privato e società civile nel porre fine alle violenze di genere, ma anche per prevenirle con una particolare attenzione all’ascolto e all’accoglienza delle donne sopravvissute a questa tragedia sociale. Oggi nel mondo una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale durante la propria vita, e spesso autore della violenza è il partner.

Quasi 750 milioni di donne e ragazze, nel 2018, si sono sposate prima del loro diciottesimo compleanno; mentre 200 milioni hanno subito mutilazioni genitali. Una donna su due nel mondo è uccisa da un partner o da un familiare, per gli uomini la statistica è di uno su venti. Il 71% di tutte le vittime della tratta di esseri umani nel mondo sono donne e ragazze e 3 su 4 subiscono sfruttamento sessuale. La violenza contro le donne è una causa grave di morte e somma le morti per incidenti stradali e malaria. Stanno in questi numeri le ragioni di questa campagna, partita il 25 settembre con un Orange Day, che oggi ha acquistato progettualità e concretezza e andrà avanti fino alla giornata per i diritti umani il prossimo 10 dicembre.

Uno degli obiettivi è di realizzare eventi locali, regionali, internazionali al fine di creare un tam tam mediatico per supportare le storie e la difesa delle donne che non hanno voce o la cui voce è stata soffocata. Magliette arancioni, strade ed edifici colorati di arancio, questo colore simbolo del futuro e della rinascita sarà il simbolo della campagna sulla libertà dalla violenza. Sette sono i punti in cui si articoleranno le settimane di sensibilizzazione, al fine di promuovere azioni e incontri che mettano la parola fine a femminicidi, assalti sessuali, segregazioni, disparità. Anzitutto la campagna mira ad amplificare la voce delle donne e, quindi, a raccontare e condividere le loro storie.

Il secondo punto si propone di operare cambiamenti dentro le istituzioni e nei luoghi di lavoro, al fine di promuovere l’uguaglianza di genere. Si chiede poi di fare pressioni sui governi perché vi siano fondi dedicati alla prevenzione e alla cessazione delle violenze. Gli altri quattro punti sono centrati sulle sopravvissute. Si chiede di ascoltare le storie di queste donne, conoscere i gruppi di attivisti di cui fanno parte; mirare alle più svantaggiate per non lasciare indietro nessuno in questo processo di risanamento e focalizzarsi sui molteplici aspetti in cui la violenza si articola e con cui va poi curata: «Per troppo tempo – conclude l’Agenzia Onu per le donne – l’impunità, il silenzio e la vergogna hanno reso endemica questa violazione dei diritti umani in tutto il mondo. Tuttavia, negli ultimi anni, la spinta al cambiamento ha ottenuto maggiore visibilità grazie soprattutto alla determinazione e al coraggio degli attivisti, dei sopravvissuti e dei sostenitori di base. Potranno differire le posizioni geografiche, i contesti economici e sociali, ma il tema resta comune: le donne vivono situazioni di abuso e violenza estreme e le loro storie devono essere portate alla luce».

About Davide De Amicis (3836 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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