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“Dobbiamo dire basta a questa politica fatta sul sangue dei popoli!”

"La cultura dell’incontro e della pace nel Mediterraneo - sottolinea il cardinale Gualtiero Bassetti - non è un buon proposito per ingenui, ma l’unica possibilità realistica di benessere e prosperità dei nostri popoli, l’unica via che ne assicura realmente la sopravvivenza", aggiunge traendo spunto dal pensiero di Giorgio La Pira

Lo ha affermato ieri a Bari il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, aprendo l’incontro “Mediterraneo frontiera di pace”

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, apre l'incontro - Foto Siciliani-Gennari/SIR

Ieri pomeriggio è stato cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana, ad aprire i lavori dell’incontro internazionale “Mediterraneo frontiera di pace” che, fino a domenica 23 febbraio, vedrà riunirsi al Castello Svevo di Bari 58 vescovi cattolici provenienti da 20 Paesi: «Siamo qui – esordisce il porporato – per riscoprire il significato di una comune appartenenza al Mediterraneo, quindi per attingere alla bellezza e alla forza della comunione fraterna, e per mettere a fuoco una profezia di unità. La storia e la maestosità del castello che ci accoglie, grazie alla squisita ospitalità della città di Bari e della sua comunità, dicono molto della ricchezza e al tempo stesso delle contraddizioni del Mediterraneo. Questa fortificazione, più volte distrutta e ricostruita, è memoria indelebile della violenza che questa città, nel corso della sua storia millenaria, ha tante volte subito; per ultimo, con un terribile bombardamento durante la seconda guerra mondiale. Il Mediterraneo non è solo bellezza generata dall’incontro delle diversità, ma anche violenza che esplode a causa dell’incapacità di comporre i giochi di potere, gli interessi contrapposti e le paure che queste stesse diversità possono alimentare. In prossimità del porto e della cattedrale – quindi del mare e della terra – questo castello testimonia che il Vangelo non giunge da alcuna parte se non incontrando la vita di persone concrete, col loro vissuto di lingue e culture, di attese e di speranze».

Da qui è giunto il primo monito del cardinale: «Nessuna cattedrale esisterebbe senza ‘porti’ – sottolinea -, nemmeno nell’Europa continentale. Tutte portano i segni e sono il frutto delle diverse moralità di comprendere, incarnare e trasmettere la fede in Gesù. Il Vangelo stesso, la vita cristiana vissuta fra i popoli, l’arte, la liturgia, la teologia hanno costituito, costituiscono e possono costituire ancora, luogo d’incontro e di sintesi, di genio e di creatività culturale, a beneficio di tutti».

In seguito il presidente della Cei ha ricordato le motivazioni poste alla base dell’incontro internazionale: «La peculiarità di questo ritrovarci, non in un convegno culturale né per una conferenza – spiega -, è quella di esprimere il nostro modo più autentico di vivere ed essere Chiesa, che dà voce alle difficoltà e alle domande dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, in un momento che per tanti di loro è davvero drammatico. L’incontro “Mediterraneo frontiera di pace” è un incontro fraterno, tappa di un incontro fraterno, tappa di un percorso più ampio; un’iniziativa che ci chiama ad accogliere quanto lo Spirito Santo saprà suscitare in un confronto e in una discussione che, ne siamo certi, avverrà con franchezza».

Poi, ricorrendo ad una serie di imperativi, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ha ricostruito la vocazione comune delle Chiese del Mediterraneo: «Essere Chiese – afferma – che ritornano costantemente alle sorgenti della fede per trasmettere ai giovani e alle future generazioni mediterranee la bellezza e la gioia del Risorto; essere Chiese delle beatitudini per contribuire a far germinare, con la ricchezza delle nostre molteplici tradizioni, la cultura nuova del Mediterraneo che non può non essere cultura dell’incontro e dell’accoglienza, pena il disordine incontrollato e la distruzione di intere civiltà; essere Chiese della profezia contro ogni sistema di potere e di arricchimento che genera iniquità, oppressione, guerre, crimini contro l’umanità, indifferenza, paure, chiusure; essere Chiese dei “martiri mediterranei” che sanno riconoscere i segni dei tempi e che sono capaci di dialogo per ‘disarmare’ ogni uso blasfemo del nome di Dio in odio al fratello».

Una vocazione di Chiese mediterranee vissuta in un contesto difficile: «Quanta sofferenza, quanta ingiustizia, quanta indifferenza – esclama il cardinale Gualtiero Bassetti -. La cultura dell’incontro e della pace nel Mediterraneo non è un buon proposito per ingenui, ma l’unica possibilità realistica di benessere e prosperità dei nostri popoli, l’unica via che ne assicura realmente la sopravvivenza», aggiunge traendo spunto dal pensiero di Giorgio La Pira.

A questo punto, il cardinale ha espresso un secondo ammonimento: «È la guerra – denuncia – a essere una tremenda anti-utopia e a essere una tragica farsa sulla pelle dei poveri. Nella complessità delle relazioni internazionali la competizione fra le diverse potenze, che si riflette negli scenari di guerra locali, non può essere decisa con la forza delle armi, pena la distruzione del pianeta. Nell’era delle bombe nucleari, nell’era in cui per la prima volta facciamo i conti con il fatto che le risorse della terra non sono infinite e quella in cui la scienza e la tecnologia hanno connesso il mondo e messo l’uomo in condizione di distruggere o salvare il pianeta, non c’è, per i popoli di tutta le terra e per i popoli mediterranei in specie, alternativa alla risoluzione pacifica delle controversie e alla collaborazione. La tutela dell’ambiente e della salute umana necessitano di un alto grado di costante collaborazione e scambio, di relazioni internazionali, scientifiche, culturali, educative, fondate sulla trasparenza, sulla veridicità delle informazioni, sulla fiducia. La solidarietà fra i popoli e la capacità di darsi regole comuni per salvaguardare e promuovere la pace, l’ambiente, la dignità del lavoro, la salute (a qualsiasi latitudine e longitudine si nasca!) non sono sogni, ma la condizione per garantire la sopravvivenza ordinata e pacifica del pianeta. Sono obiettivi a portata dell’umanità contemporanea e sono nel contempo il riflesso della verità profonda dell’uomo che Gesù Cristo ha rivelato e salvato».

Partendo da questo presupposto, l’alto prelato ha quindi avanzato delle prime proposte: «Soprattutto nel contesto mediterraneo – osserva -, dove convergono le tensioni e le contrapposizioni del mondo intero, l’alternativa alla pace è il rischio di un caos incontrollato, ed è facile riconoscere che se il limite non si è, finora, varcato, lo si deve agli accordi che vengono trovati tra gli attori internazionali, non sempre alla luce del sole, anche quando si è trattato di contrastare le organizzazioni terroristiche e il sedicente stato islamico. Nel frattempo, gli scontri militari procurano morte e sofferenze indicibili alle popolazioni inermi e la comunità internazionale e le organizzazioni sovranazionali gestiscono a fatica le crisi umanitarie che ne derivano, tollerando spesso violazioni ai diritti umani. Dobbiamo dire basta a questa politica fatta sul sangue dei popoli! I nostri popoli devono pretendere che le controversie internazionali siano affrontate e risolte nel quadro del diritto, del bene comune e di una più forte, più funzionale e incisiva azione delle Nazioni Unite».

Ma ciò che divide i popoli è soprattutto altro: «Il muro che divide i popoli – accusa l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve – è soprattutto un muro economico e di interessi. C’è una frontiera invisibile nel Mediterraneo che divide i popoli della miseria da quelli del benessere, e non conta se al di qua e al di là di questa frontiera ci sono minoranze ricchissime e crescenti impoverimenti. È stata tradita la promessa di sviluppo dei popoli usciti dagli iniqui sistemi coloniali del secolo scorso, sono ridotte le capacità degli Stati più ricchi di condurre politiche sociali inclusive, c’è un nesso inscindibile fra la povertà e l’instabilità dell’area mediterranea! Non potrà esserci pace senza miglioramento di vita nelle aree depresse del Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana, non potrà esserci sviluppo (ecologicamente sostenibile) senza che cambino le regole che sottostanno ad una economia dell’iniquità che uccide. Non potrà esserci arresto delle crisi migratorie e umanitarie senza che, oltre alla cessazione delle guerre, sia restituito a ogni uomo e a ogni donna, cittadini del mondo, il diritto di restare nella propria patria a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, e senza che a questo diritto sia affiancato anche l’altro, quello di spostarsi! Liberi di partire, liberi di restare è la linea che come Conferenza episcopale italiana ci siamo dati nella nostra azione solidale nei confronti dei popoli impoveriti del sud del mondo».

I 58 vescovi in assemblea al Castello Svevo di Bari

E neanche la Chiesa ha resistito immune al potere divisorio dei muri: «Le nostre divisioni ecclesiali – ammette il presidente dei vescovi italiani – hanno ricalcato e rinforzato le divisioni culturali, politiche e militari dei popoli mediterranei». Per questo, il porporato ha sollecitato i suoi confratelli delle Chiese mediterranee a fare “mea culpa”: «Riconoscere il peccato della divisione della Chiesa – precisa Bassetti – ci aiuta oggi a capire la grazia che ci è stata fatta col Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa, per Bassetti, “sta rovesciando le crociate” – come affermava ancora la Pira – e contrastando ogni mentalità del passato, proprio perché ha imparato a valorizzare le sue plurali tradizioni, partecipa con convinzione al cammino ecumenico con la testimonianza ecumenica della carità e della giustizia, pratica e propone convintamente il dialogo interreligioso. Per questo le Chiese e in particolare la Sede Apostolica, negli ultimi trenta anni, sono state sempre profeticamente dalla parte opposta rispetto a coloro che soffiano sul fuoco dello scontro delle civiltà e del fondamentalismo religioso. Le nostre Chiese non sono diverse solo per le antiche tradizioni che le sostengono e per la diversità delle culture in cui sono chiamate a portare l’annuncio del Vangelo, ma anche per le condizioni concrete in cui vivono. Tutti però ci troviamo davanti alla sfida entusiasmante della trasmissione del Vangelo. Ci sono Chiese nel Mediterraneo, abituate ad essere presenza minoritaria, che conoscono un incremento di fedeli connesso al fenomeno delle migrazioni. Ci sono Chiese che sussistono come minoranze, piccolo seme, in mezzo a popolazioni islamiche. È soprattutto a queste Chiese, alla loro mediazione e al sangue dei loro martiri, che dobbiamo l’anticipazione e la ricezione teologicamente e spiritualmente più profonda della dottrina conciliare sul dialogo interreligioso con l’Islam. Fra queste, vi sono Chiese che a causa dei rivolgimenti geopolitici degli ultimi 30 anni (con le infinite guerre connesse), hanno conosciuto e stanno conoscendo sfollamenti e migrazioni, e i cristiani subiscono persecuzioni e minacce con la conseguenza che la loro presenza millenaria rischia in più parti di scomparire. Papa Francesco e il grande Imam di Al-Azhar hanno posto un atto profetico con la loro amicizia e il loro documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune».

Quindi Bassetti ha citato come «testimonianza di valore altissimo» il testamento del beato Christian De Chergé, martire in Algeria: “La mia morte evidentemente sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista “Dica adesso quello che ne pensa!’. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’Islam, così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo. Frutto della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre quella di stabilire la comunione, giocando con le differenze”.

Inoltre, non è mancata una riflessione sulla secolarizzazione: «La fede – riconosce il presidente della Cei – è trasmessa solo a una minoranza delle giovani e delle nuove generazioni, in via di ulteriore restringimento. Come aiutarci fra Chiese ad abitare un’area mediterranea dove i cristiani sono dovunque una minoranza? La trasmissione della fede nel contesto mediterraneo odierno è sfida comune, nelle profonde differenze, per tutti noi. È necessario e utile non solo il confronto fra vescovi, ma anche far crescere la coscienza fra i nostri giovani che la fede in Gesù risorto, nei vari contesti e con tutte le loro diversità, genera una medesima comunione di vita per l’edificazione e la crescita reciproche». Su questo il porporato ha lanciato un appello: «Pensare alla trasmissione della fede nelle nostre Chiese richiede di pensare ai giovani – auspica -. Essi ci risultano talvolta indecifrabili, inseriti come sono in una rete globalizzata di relazioni e di pluri-appartenenze, riflesso del cambiamento d’epoca in cui la stessa velocità dei cambiamenti mette in crisi le modalità tradizionali di comunicare il Vangelo e di vivere la comunità ecclesiale. A ciò si aggiunge che molti nostri giovani lasciano le loro terre in cerca di lavoro (anche moltissimi italiani), con ripercussioni immediate nella loro progettualità familiare e nella loro vita ecclesiale».

Infine, il cardinale Bassetti si è concentrato sulla questione migratoria: «Noi vescovi – riflette – non possiamo vedere la questione dei migranti in maniera settorializzata, come se fosse solo un problema di “esodi” che impoveriscono i nostri territori o di “arrivi” che destabilizzano. Per noi il povero che parte o che decide di restare, che arriva e che troppo spesso muore durante il viaggio o conosce sofferenze e ingiustizie indicibili è Cristo che emigra, resta, soffre, bussa alle nostre porte».

Ma la questione migratoria non è l’unica: «C’è la questione della guerra – aggiunge il presidente dei vescovi italiani -, dell’iniquo sistema economico, la questione ecologica… Tutte vanno viste in maniera organica, da più punti di vista, altrimenti non è possibile individuare le strade adeguate per affrontarle. La Chiesa cattolica è una delle poche realtà unite nel Mediterraneo e ha, per questo, una particolare responsabilità in un’area cosi divisa. Abbiamo la grazia di vivere in una nuova, coraggiosa, coerente e profetica fase di ricezione conciliare inaugurata dal ministero e dal magistero di Papa Francesco, che con l’invito alla conversione pastorale e missionaria ci spinge, tra le altre cose, ad una più intensa pratica della sinodalità che coinvolge il popolo di Dio nella sua infallibilitas in credendo. Il nostro incontro fa proprio il metodo sinodale e vuole e essere a servizio delle dinamiche sinodali delle Chiese del Mediterraneo. In questa città è stato vissuto uno storico incontro dei Patriarchi del Medio Oriente e il Mediterraneo, da Lesbo, è luogo da cui si è alzato forte il grido ecumenico delle Chiese in favore dei diritti dei diseredati. La questione della cittadinanza è cruciale per tutte le chiese del Mediterraneo e per il benessere dei Paesi. È una questione che si pone in maniera nuova anche per i Paesi di antica tradizione democratica con le sfide dell’accoglienza, dell’integrazione dei migranti, dello spazio pubblico reclamato da tutte le religioni, Paesi che si ritrovano a fare i conti con la pericolosa tentazione a involuzioni identitarie che minano il fondamento dei diritti inviolabili della persona».

Da oggi a domenica, quando ci sarà la messa conclusiva presieduta da Papa Francesco, si susseguiranno tavoli di conversazione e discussione, lavori in assemblea, momenti di preghiera, incontri nelle parrocchie e l’abbraccio finale ad un gruppo di persone più svantaggiate.

About Davide De Amicis (4228 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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