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“Tutti si preoccupano dei sacramenti, ma nessuno si preoccupa di un nuovo annuncio della Parola”

"Dobbiamo tornare ad essere figli - esorta l'arcivescovo Valentinetti -, dobbiamo tornare a scuola, dobbiamo tornare a scuola del Signore, dobbiamo tornare alla scuola della Parola, dobbiamo tornare alla scuola della preghiera, dobbiamo tornare alla scuola dei fondamenti, se vogliamo che questa società possa – in qualche modo – non dirsi cristiana – perché non lo è più -, ma dirsi in cammino grazie a questa nostra azione di servizio e di fiumi di Spirito Santo che devono scendere sulla vita della comunità"

Lo ha affermato sabato sera l’arcivescovo Valentinetti, presiedendo la Veglia di Pentecoste nel Santuario del Cuore Immacolato di Maria a Pescara

L'arcivescovo Valentinetti pronuncia l'omelia

Sabato sera, presiedendo la solenne veglia di Pentecoste nel Santuario del Cuore immacolato di Maria a Pescara in presenza dei fedeli e delle aggregazioni laicali attive in diocesi, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha introdotto la sua omelia ponendo una domanda ai partecipanti della liturgia: «Me la pongo con voi, per me e per voi – premette il presule, citando il Vangelo del giorno “Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me” -. Abbiamo sete o siamo ormai sazi? Sicuramente abbiamo sete dello Spirito Santo o la nostra vita scorre pacificamente, serena, senza nessun sussulto e senza nessun desiderio profondo di ricevere questa forza dall’alto che può cambiare la nostra vita, ma che soprattutto alla luce della Parola che abbiamo ascoltato, deve cambiare la storia. “Chi crede in me”. Se non abbiamo sete, forse, la nostra fede è affievolita, forse la nostra fede è in dirittura d’arrivo. Non è una fede ancora talmente forte, talmente profonda da essere capace di stare dentro la storia, perché dentro di essa siamo noi quelli da cui devono sgorgare fiumi d’acqua viva, dato che è questo ciò che il Signore ci ha promesso, quello che vuole da noi. Fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Dio aveva preordinato tutto molto bene. Se avessimo letto questa sera il brano della Genesi della creazione, ci saremmo imbattuti di nuovo in quella bellissima frase “Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. La terra era ancora informe e vuota e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”. E poi avviene la creazione, avviene questo miracolo, questo prodigio straordinario che investe anche la nostra umanità, perché dentro questa azione dello Spirito. Ma poi questa sera abbiamo letto un brano sempre dal libro della Genesi, al capitolo 11, finito il primo momento dell’idilio tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e la creazione, il peccato d’orgoglio».

Perché Babele, a detta dell’arcivescovo Valentinetti, non è altro che una rappresentazione del peccato d’orgoglio: «È il peccato di presunzione – precisa -, è il peccato dell’autosufficienza. Ma fratelli, sorelle, non stiamo forse anche noi entrando – come comunità, Chiesa e realtà sociale – nel peccato dell’autosufficienza e dell’orgoglio? Non sono dell’idea che Dio abbia delle responsabilità sulla pandemia, ma credo che qualche lettura un po’ teologica bisognerà farla prima o poi, perché le lingue si stanno confondendo. Sono abbastanza confuse e abbastanza non concordi nel mettere ordine dentro una storia che pure ha bisogno di Spirito Santo, che pure ha bisogno di un’azione profonda da parte di Dio o di accoglienza dell’azione profonda di Dio e la responsabilità di chi crede dentro la storia nell’essere portatore dell’azione di Dio».

Successivamente, l’attenzione dell’arcivescovo di Pescara-Penne si è concentrata sull’analisi della seconda lettura, tratta da Libro dell’Esodo, che narra della discesa di Dio sul monte Sinai. Ma anche, in parallelo, di quanto accadde 50 giorni dopo la Pasqua con la Pentecoste: «Questo tuono potente – descrive monsignor Valentinetti -, questi fulmini, questi lampi, le lingue di fuoco. Insomma, la descrizione di una teofania, di una manifestazione di Dio. In fondo, anche la narrazione degli Atti degli apostoli del rombo di tuono e delle lingue di fuoco, non è nient’altro che la narrazione di una teofania, di una manifestazione di Dio. Ma qual è il nodo cruciale di questa manifestazione? Se avete ascoltato bene, Mosè convocò gli anziani del popolo e riferì tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo rispose e disse “Quanto il Signore ha ordinato noi lo faremo”. Il ritorno alla Parola, il ritorno all’ascolto. “Shemà Israele, ascolta Israele, ascolta popolo di Dio. Ascolta, ripiega la testa sotto la Parola, non avere l’orgoglio della presunzione e lasciati dominare, scrutare e sconvolgere dalla Parola. Che sia ruminata dentro la tua mente, dentro la tua bocca, dentro il tuo Spirito, dentro il tuo stomaco. Che sia realmente la Parola che ti plasma e che tu possa dire finalmente “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo”. E allora, cari fratelli e sorelle, vedete che l’itinerario a cui lo Spirito Santo ci sottopone in questa notte, è un itinerario ben preciso. Domandiamoci cosa è più importante, in questo momento, nelle nostre comunità parrocchiali. Qual è la cosa più urgente da fare?».

I fedeli che hanno partecipato alla celebrazione

A questo punto, il presule ha rivolto un forte monito alla Chiesa pescarese: «Sono molto in pensiero – afferma monsignor Tommaso Valentinetti -, perché tutti si preoccupano dei sacramenti, ma nessuno si preoccupa di un nuovo annuncio della Parola. Un nuovo annuncio del Cristo risorto dai morti, che ci libera e ci dà forza. Non possiamo continuare a ricevere i sacramenti, senza tornare alle sorgenti di una vera evangelizzazione. Scusate il calore, cari fratelli e sorelle, ma con voi sono in famiglia. Siete i gruppi e le associazioni della nostra comunità diocesana e devo parlare con libertà. Occorre rigenerarsi dentro progetti di evangelizzazione, di annuncio ai lontani. Vengo dalla celebrazione di quattro messe in cui ho impartito le cresime. Vi avrei fatto vedere l’amorfità dei parenti dei cresimandi, a malapena rispondevano questi ultimi alle formule della messa. Ma che comunità siamo? Che Chiesa siamo? Che liturgia stiamo vivendo? Scusate se pongo questi interrogativi un po’ drammatici, ma io credo che di fronte alla coscienza ce li dobbiamo fare tutti. E allora che cosa ci dice il Signore? “Tornate ad essere figli perché io, e qui Gioele ci aiuta in maniera straordinariaeffonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie. I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e le schiave, in quei giorni, effonderò il mio Spirito e chiunque invocherà il nome del Signore verrà salvato”. Dobbiamo tornare ad essere figli, dobbiamo tornare a scuola, dobbiamo tornare a scuola del Signore, dobbiamo tornare alla scuola della Parola, dobbiamo tornare alla scuola della preghiera, dobbiamo tornare alla scuola dei fondamenti, se vogliamo che questa società possa – in qualche modo – non dirsi cristiana – perché non lo è più -, ma dirsi in cammino grazie a questa nostra azione di servizio e di fiumi di Spirito Santo che devono scendere sulla vita della comunità. Questo perché la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi e io vedo una creazione che geme. La vedo vicino a noi e lontano da noi. La vedo lontano da noi in un creato distrutto e sempre più malmenato e sfruttato. La vedo nelle guerre fratricide e nelle guerre civili che si stanno perpetuando sulla faccia della terra, nell’assoluta disinteresse dei potenti di questo mondo. Ma non è forse il conflitto israelo-palestinese una sofferenza che sta tagliando le ferite della Terra santa? Non è forse la morte di tanti uomini e di tante donne nel Myanmar una creazione che geme e nessuno dice niente? Perché ci sono grandi interessi economici e politici che, purtroppo, predominano sulla faccia della terra. Ma la creazione soffre veramente e soffriamo e gemiamo anche noi, se non ci rimettiamo in questo nostro desiderio di un’adozione a figli per essere discepoli. Quando Gesù prediceva la sua passione, ad un certo punto Pietro diceva “Signore, non ti succederà mai”. E aveva detto poco prima “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Poi che cosa succede? Succede che Gesù predice la passione “Sarò consegnato nelle mani degli anziani, mi metteranno in croce” e tutti a dire “Non ti accadrà mai”. E sapete cosa risponde Gesù “Tu mi sei di scandalo, torna indietro a me”, perché i rabbini avevano i discepoli che camminavano 10 passi indietro rispetto a loro. E Gesù dice a Pietro “Rimettiti a fare il discepolo”. Ecco, Gesù questa sera ci ridice “Rimettetevi a fare i discepoli”. L’ho detto anche ai ragazzi delle cresime “Il Signore ci vuole alla sua sequela. Non pensate che siete arrivati alla fine del cammino, il bello viene adesso”. Io lo dico anche ai miei preti, ma voi non vi sottraete alle vostre responsabilità, né le religiose, né i religiosi, né i laici formati, perché ognuno di noi può essere capace dia accompagnare nella sequela di Gesù Nostro Signore. Una sequela da riprendere, è un ricominciare piano piano a ritessere reti di fraternità e amicizia. E soprattutto a ritessere una rete fondamentale in questo momento della storia che stiamo vivendo, di rispetto dell’umano e dell’umanità».

Ma per far questo non mancano gli ostacoli da superare: «I temi divisivi che ci possono dividere dagli altri uomini e dalle altre donne del nostro tempo –conclude l’arcivescovo Valentinetti – sono tantissimi. Ma noi non possiamo cavalcare i temi divisivi, dobbiamo cavalcare i temi della simpatia umana e, attraverso quest’ultimo, proporre anche la nostra visione. Proporre, non imporre, proporre e confrontare la nostra visione dell’umano e proporre la nostra visione dell’umano, sicuramente proponendo la convinzione della fede. Perché “tutto ciò – cito il Concilio ecumenico Vaticano II – che è genuinamente umano è genuinamente cristiano”. Ciò che non è umano non è cristiano e allora lì sì, lì ci arrenderemo. Ma noi di fronte ai fratelli e alle sorelle che ci circondano, dobbiamo portare questa grazia evangelica. Non dimentichiamo che l’azione della Chiesa primitiva, in un mondo completamente diverso a quello che il Vangelo proponeva, fu “Il cristianesimo è nel mondo come il lievito in mezzo alla forma, come l’anima nel corpo”. È del mondo, ma non è del mondo. È nella storia, ma porta a perfezione della storia. Che il Signore ci illumini, questa sera, e ci faccia pregare. Fra poco faremo memoria del battesimo e della cresima. Sono i sacramenti che lo Spirito Santo ha donato alla nostra vita. E molto di più, a tanti di voi il sacramento del matrimonio e a me, e ai miei fratelli che sono nel presbiterio, il sacramento dell’ordine nella pienezza dell’ordine episcopale per me e dell’ordine presbiterale per i fratelli che sono accanto a me. Ma questi sacramenti che abbiamo ricevuto, sono germinazione di grazia, sono germinazione d’amore e farne memoria significa riportarli in superficie e, riportandoli in superficie, farne diventare veramente comunicazione di fiumi d’acqua viva per fratelli che, magari, battezzati, cresimati e sposati o non battezzati, non cresimati o non sedenti alla mensa eucaristica, sono lontani dalla fede. Che il Signore ci assista, il nostro compito non è sicuramente facile. Non pretendiamo di fare tutto da noi, ma vogliamo rimetterci – questa sera –, ancora una volta io per primo e voi con me, alla scuola dello Spirito Santo».

About Davide De Amicis (4379 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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