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“Il Signore penetrerà il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo”

"Il vaccino non basta - sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti -. Si deve continuare ad esercitare un’attenzione, che non deve fare abbassare la guardia. Non è il momento dello scoraggiamento, così come non lo è dell’allarmismo, portando alla confusione e alla paura. E quest’ultima, in particolare, è a sua volta portatrice di gesti e situazioni non controllabili. La paura viene dal Maligno, dal diavolo, ed è il modo per mettere in difficoltà le persone. Non dobbiamo dimenticare che, nel paradiso terrestre, quando l’uomo sente i passi di Dio nel giardino, ha paura perché si è accorto di essere nudo. Non vorrei che ci stessimo prendendo la stessa paura di fronte al Covid, perché pensiamo di essere nudi, di non essere coperti"

Lo ha affermato l’arcivescovo Valentinetti nell’intervista di fine anno, in esclusiva, per La Porzione.it

Monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne

Le ultime ore di questo 2021 stanno per mandare in archivio un altro anno difficile, il secondo caratterizzato dal dramma della pandemia di Covid-19 che ha stretto il mondo nella sua morsa. Un anno difficile, dunque, anche per la Chiesa di Pescara-Penne che comunque – quando il virus lo ha permesso – ha saputo ripartire agilmente rilanciando il suo cammino, attraverso incontri e momenti di preghiera, dopo molti mesi in cui la Chiesa-parrocchia ha dovuto lasciare spazio alla Chiesa domestica. Un anno che, con le sue luci e le sue ombre, è stato ripercorso dall’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti per La Porzione.it.

Eccellenza, quest’anno si conclude con l’esplosione della nuova variante Omicron e la sua impennata di contagi che sembrano quasi volerci far vivere una pandemia nella pandemia. Dopo due anni di sacrifici e restrizioni, dunque, la gente – già frustrata di per sé – torna a patire per la propria salute oltre che per le nuove restrizioni. Come pastore e uomo di fede, cosa dire in questa situazione? A cosa possiamo aggrapparci?

«Credo che sicuramente bisogna avere una dimensione di fede. Io dico sempre, la fede serve per passare oltre le prove, ma c’è un umano che sicuramente non va trascurato ed è la capacità di essere molto razionali in questa situazione. La razionalità porta a far sì che i rimedi, che la scienza mette a nostra disposizione, possano essere usufruiti. Parlo del vaccino, eccetto per le persone che vengono sconsigliate dal proprio medico per problemi di incompatibilità, dovendo esercitare un’ulteriore prudenza. Ma il vaccino non basta. Si deve continuare ad esercitare un’attenzione, che non deve fare abbassare la guardia. Non è il momento dello scoraggiamento, così come non lo è dell’allarmismo, portando alla confusione e alla paura. E quest’ultima, in particolare, è a sua volta portatrice di gesti e situazioni non controllabili. La paura viene dal Maligno, dal diavolo, ed è il modo per mettere in difficoltà le persone. Non dobbiamo dimenticare che, nel paradiso terrestre, quando l’uomo sente i passi di Dio nel giardino, ha paura perché si è accorto di essere nudo. Non vorrei che ci stessimo prendendo la stessa paura di fronte al Covid, perché pensiamo di essere nudi, di non essere coperti. Quando invece i dati scientifici che ci vengono prospettati ultimamente, ci dicono che questa variante Omicron è veramente molto più infettiva delle altre, ma è meno pericolosa. E poi quelli che purtroppo si stanno ammalando, sono soprattutto quelli che non sono vaccinati (il 70%) e quelli che hanno le co-morbilità (situazioni di criticità che rendono più facile l’attecchire del virus). Io credo che bisogna avere molta sapienza, molta calma, molta coscienza e molto self-control, nel saper mettere in atto tutte le precauzioni che ci possono aiutare ad uscire da questa terribile situazione. Poi c’è il ricorso alla preghiera, all’intercessione, alla fede, soprattutto per quelli che sono maggiormente in difficoltà. Noi pensiamo di essere in difficoltà perché ci vengono costantemente prospettati dei numeri che possiamo conoscere, ma i numeri dei paesi in via di sviluppo che i mezzi di comunicazione non ci stanno facendo conoscere, non sono più drammatici? Penso al Brasile, penso ad altri Paesi del Sud America, penso ad alcuni paesi dell’estremo Oriente, dove c’è una povertà endemica e dove non ci sono gli strumenti scientifici che abbiamo noi. Penso a molti Paesi dell’Africa. Io penso che si debba ragionare in modo un po’ più planetario in questa situazione. Non chiudere gli occhi sul mondo, ma tenere bene presente la nostra situazione e tenere presente quello che il Papa ha detto molte volte e cioè che o ci salviamo tutti insieme, o diventerà una fatica continua. Qualcuno parla già di una malattia endemica, che ci costringerà a prendere provvedimenti ogni tanto, ogni anno, perché in realtà la situazione si complicherà. Io credo che su questo tutti dovremmo riflettere. D’altra parte in un mondo globalizzato, così com’è globalizzata la finanza, così com’è globalizzato il commercio, è globalizzata anche la malattia».

E alla fine a rimetterci sono sempre i più poveri, specialmente quelli dei Paesi in via di sviluppo dove i vaccini non arrivano, anche perché non c’è la possibilità di acquistarli, e alla fine nascono nuovi varianti com’è accaduto nel caso della variante Omicron. Una grave disuguaglianza questa…

«Sicuramente sì, anche se la logica delle varianti non è poi così matematica come si può pensare, perché le varianti si possono sviluppare anche da noi oltre che nei Paesi in via di sviluppo. La variante è l’estremo tentativo che il virus fa in continuazione, per adattarsi all’organismo umano. Per cui davvero può capitare di tutto se il virus trova l’ambiente giusto. E se in Italia ci sono ancora 5,5 milioni di persone non vaccinate over 16, questo la dice lunga sul fatto che le varianti possono attecchire anche qui».

C’è poi il tema delicato dei “no vax”: un partito trasversale presente dappertutto, anche all’interno della comunità ecclesiale tra i fedeli che frequentano quotidianamente le nostre parrocchie. Cosa dire a loro?

«Noi non limitiamo a nessuno l’accesso ai luoghi di culto, però chiediamo a tutti di rispettare le regole. Cioè le regole che erano già state date: sanificazione delle mani; indossare la mascherina, possibilmente FFP2; rispettare il distanziamento fisico; non fare assembramenti, rispettare il divieto di ricevere la comunione sulla lingua per riceverla, per quelli che desiderano farlo, sulle mani dopo averle sanificate. Chiunque rispetta queste regole è nelle possibilità di partecipare ai divini misteri. Tutto questo, però, ci mette in difficoltà per le altre situazioni, che possono essere il catechismo e le riunioni nelle quali si possono sicuramente rispettare le regole della mascherina e della sanificazione delle mani, ma è difficile rispettare il distanziamento così come ci viene richiesto. Agli operatori pastorali è fortemente richiesto che si vaccinino e mettano in pratica quello che il Santo Padre ha detto, se siamo disponibili a un servizio, a un atto d’amore nei confronti delle persone con cui abbiamo un contatto».

Ciononostante il 2021 è stato un anno di ripartenza anche per l’Arcidiocesi di Pescara-Penne, con la ripresa delle attività in presenza, in una realtà mutata dal Sars-Cov 2. Che ripartenza è stata quella della nostra Chiesa locale?

«La ripartenza è stata anche buona, perché oltretutto ci siamo impegnati, ci stiamo impegnando tantissimo in questo itinerario del percorso sinodale che il Papa ci ha indicato. Certamente, se dovremo fare una battuta d’arresto (a causa della pandemia) la faremo, ma non possiamo pensare che ci fermiamo del tutto, perché dobbiamo continuare ad andare avanti, dobbiamo riprendere un cammino, dobbiamo fare tesoro degli insegnamenti che abbiamo appreso in questo tempo: una pastorale di maggiore evangelizzazione, di maggiore essenzialità e di maggiore verità che, magari, è sfrondata da tante superficialità che, probabilmente, non saranno più considerate. Sicuramente è la strada migliore per poter fare un cammino di grande ripresa».

A proposito di Sinodo, come tradurlo nella nostra diocesi? Qual è la posta in palio e come si sta sviluppando da noi?

«Si sta sviluppando con il lavoro degli organismi di partecipazione (il Consiglio presbiterale, il Consiglio pastorale diocesano, la Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali, i vicari foranei e i sacerdoti). Siamo alle prime battute, perché mettere insieme un percorso che sinodale che sia significativo e che possa rispondere alle istanze del Santo Padre, non sarà facile. Il tempo a nostra disposizione non è neanche tantissimo, però ci stiamo impegnando in modo che la consultazione possa raggiungere il maggior numero di persone possibile. Trattandosi di una consultazione da fare in piccoli gruppi, sia per ragioni di Covid che per una retta comunicazione, sarà portato avanti e procederemo con operatori pastorali e responsabili parrocchiali e poi, ancora, anche con i gruppi che verranno formati dalla Consulta delle Aggregazioni laicali, dagli uffici diocesani e dalla diocesi stessa, che si premurerà di fare alcune scelte di categorie e di eprsone, anche lontane, non proprio vicine, che possono essere oggetto di consultazione».

Ma quali sono le sue aspettative per la riuscita di questo Sinodo?

«L’aspettativa è quella di riallacciare i rapporti anche con le persone lontane, i cosiddetti cristiani della soglia, i credenti che – in qualche modo – si sono lasciati andare e che magari si aspettano una parola di incoraggiamento, una parola di verità, una parola migliore da parte nostra. Che sia realmente un sognare, un riprendere un cammino su altre piste, che sono quelle della maggiore concentrazione, della maggiore convinzione, specialmente nello scrutare le Scritture, nelle celebrazioni sacramentali più vere e più autentiche, che potranno dare il loro frutto a questa realtà della nostra diocesi di Pescara-Penne».

Possiamo dire che il Sinodo rappresenta l’ultima spiaggia, l’ultima possibilità di affrontare e vincere la guerra contro la secolarizzazione che affligge l’Occidente, per riportarvi un ravvivato cammino di fede?

«Non esiste l’ultima occasione, le ultime occasioni sono quelle della morte. E siccome siamo per la vita e non per la morte, ci auguriamo che il percorso sinodale sia per la vita e non per la morte e che, in realtà, ci ridia slancio e ci ridia vigore. Ma il Signore, se questa occasione non dovesse essere usufruita bene, sicuramente ne metterà in campo un’altra, perché il mondo l’ha salvato lui, non lo dobbiamo salvare noi. E la speranza è che il mondo possa prendere coscienza di questa salvezza. Il Signore, sono sicuro, è la mia fede che me lo dice, troverà le strade per penetrare il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo. Una cosa è però molto significativa. Che il Signore – attraverso questo contesto di secolarizzazione – ci sta purificando. Ha permesso un determinato tipo di situazione, probabilmente, perché ci possa essere una purificazione di sentimenti, di intenzioni, di prassi, di verità da riscoprire. Una purificazione per un’autentica adesione al Vangelo e un’autentica adesione ai misteri principali della fede. Questo sì, questo credo che sia molto importante e non dobbiamo lasciarci sfuggire questa purificazione che il Signore ci sta presentando. D’altro canto la secolarizzazione, se la leggiamo da un punto di vista negativo, è una brutta bestia, ma se la leggiamo da un punto di vista positivo, è un’opportunità per fare un grosso esame di coscienza e per ridirci dove possiamo trovare le strade per riannunciare Gesù Cristo, per riannunciare il Vangelo e non rimanere inebetiti e schiacciato sotto il peso di una realtà che sicuramente ci sta stretti, ci sta scomodi. Ma dobbiamo avere il coraggio di guardarla in faccia questa situazione».

E questo 2021, in ambito ecclesiale, è stato un anno fortemente innovativo anche per l’estensione dei ministeri del lettorato e dell’accolitato alle donne, ma anche per l’istituzione del ministero di catechista voluti da Papa Francesco. Qual è l’importanza di questi avvenimenti?

«Il ministero di catechista era già presente in alcune diocesi del continente africano. Si tratta solo di trovare una giusta collocazione anche da un punto di vista ecclesiale, liturgico. Anche per quanto riguarda il ministero del lettorato e dell’accolitato, avevamo già fatto un tentativo nella nostra diocesi, per cui siamo stati confermati da questa idea del Santo Padre che ci è venuto in contro. È sicuramente il riconoscimento di un valore di servizio laicale che va tenuto presente. Il prete non è tutto all’interno né della liturgia, né tantomeno della catechesi e dell’evangelizzazione. Non si serve, ma si accompagna a dei collaboratori dei collaboratori che, sicuramente, possono essere utili. Ma non credo che sia questa la grande novità, che invece è rappresentata dalla Chiesa che riconosce ad alcuni laici il compito di essere più coerenti con quello che vivono già nelle comunità parrocchiali. Perché l’istituzione di un laico come catechista o come accolito, lo rende talmente visibile davanti al popolo di Dio, per cui non è tanto il ruolo che va a ricoprire o la ratifica del ruolo che ha ricoperto, ma quanto la visibilità di coerenza che quella persona deve mettere dentro la sua vita. Questo perché il Vangelo si è incarnato nella vita. Non abbiamo bisogno di laici che diventano ecclesiastici, ma abbiamo bisogno soprattutto di laici che siano capaci di vivere il Vangelo con serietà e dentro una storia, dentro un’umanità».

Lei diceva che i sacerdoti non sono tutto. A tal proposito, c’è una grande crisi vocazionale che  – ormai da molti anni – attanaglia la Chiesa riducendo il numero di nuovi presbiteri. Qual è il polso della situazione nel clero pescarese?

«La nostra diocesi ha ancora dei buoni sacerdoti, ne ha ancora in numero sufficiente. Paragonandola a diocesi dei Paesi del terzo o del quarto mondo, ne abbiamo fin troppi di sacerdoti. Ma questo non deve farci dormire sugli allori, ma l’importante non è la quantità ma la qualità. La qualità di un presbitero che sia cosciente di quello che è e di quello che rappresenta come punto di riferimento della propria comunità parrocchiale, come testimone della fede, della verità del Vangelo anche nella propria vita e nella propria esistenza. E soprattutto come colui che, in realtà, coordina e incarna il servizio pastorale pensando che, in realtà, non è il padrone della parrocchia, non è il principe della parrocchia, ma che è essenzialmente il ministro, il servo della comunità parrocchiale e quindi, con il suo consiglio pastorale, con i suoi collaboratori, organizza una pastorale che sia adeguata al tempo presente. Ma certamente, lo ripeto ancora, è molto importante crescere in qualità, non tanto in quantità. Certamente il servizio nelle comunità parrocchiali, finché esse restano quello che sono, ma non è certamente il numero che deve aumentare. Ciò che deve aumentare è la capacità di essere pronti a un servizio qualificato e che, quindi, la qualità da un punto di vista spirituale, da un punto di vista culturale, da un punto di vista liturgico e di testimonianza, sia a tutta prova».

E poi c’è la buona prestazione delle zone pastorali che, in caso di cali ulteriori di nuove vocazioni, rappresentano una buona modalità per utilizzare al meglio i sacerdoti a disposizione?

«Siamo in un cantiere aperto. Vedremo, piano piano, cosa dovremo mettere in atto per poter camminare sulle vie che, sicuramente, lo Spirito Santo ci indicherà».

Covid permettendo, a febbraio ci saranno due grandi appuntamenti diocesani in presenza: gli esercizi spirituali per i sacerdoti, che avranno luogo da lunedì 21 a venerdì 25 febbraio all’Oasi dello spirito di Montesilvano colle, e il ritiro spirituale per laici e religiosi – che si svolgeranno nello stesso luogo – da venerdì 25 a domenica 27 febbraio. Due importanti incontri diretti da una guida di rilievo, Fratel Enzo Bianchi (fondatore della Comunità monastica di Bose) che è già intervenuto all’Assemblea diocesana di indizione del Sinodo. Un filo rosso, Enzo Bianchi, che guida l’inteno percorso sinodale diocesano…

«Sì, il testo delle meditazioni sarà sugli Atti degli apostoli che, com’è noto, è il libro in cui più veritativamente si esprime un cammino di Chiesa a livello sinodale. Speriamo che l’emergenza sanitaria ci consenta di poterlo fare».

Com’è stato il 2021 dell’arcivescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti?

«È stato un anno sereno, tranquillo, durante il quale ho prestato il mio servizio con entusiasmo. Ringrazio il Signore per tutte le cose belle che si sono realizzate e, soprattutto, per le tante persone che hanno collaborato con me e dimostrano tanta disponibilità a vivere questo tempo di Chiesa, che sicuramente non è un tempo facile, non è un tempo semplice, ma ci può dare lo spirito di avventura. Uno spirito di grande entusiasmo per un futuro ancora migliore di quello che abbiamo lasciato. Un 2022 migliore del 2021».

Cosa si aspetta dal nuovo anno, quali sono i suoi auspici e qual è il suo messaggio di auguri alla comunità diocesana di Pescara-Penne?

«Alla luce della pandemia non mi aspetto nulla. Mi aspetto solo di fare la volontà di Dio, quello che il Signore manifesterà – strada facendo – secondo quello che la madre Chiesa ci sta indicando in questi momento. Ci metteremo su questa strada, sempre in uno spirito di grande collaborazione e di grande obbedienza. Buon anno a tutti, buon 2022, speriamo ancora migliore del 2021».

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About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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