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Unità cristiani: “Una relazione intima con Dio curerà le nostre ferite”

"Noi stessi, noi cristiani - afferma Alan Di Liberatore -, dovremmo indicare la luce di Cristo nella nostra prassi. Tanto è stato fatto, tanto abbiamo ancora da fare. Troppe sono le ferite della diffidenza tra le tradizioni, troppa la presunzione di avere - da parte di tutti - un pezzo della verità. Ma Cristo, per fortuna, non ci ha lasciato un'idea filosofica, un manuale. La cura, fare il bene, non ci è stata data come una regola, ma con una persona. Questa è la vostra specificità, questa è la specificità di tutta la Chiesa universale che riconosce la Signoria di Cristo"

Lo ha affermato Alan Di Liberatore, sovrintendente della chiesa metodista di Pescara, nel sermone di apertura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Il sovrintendente della chiesa metodista di Pescara, Alan Di Liberatore, l'arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti e il sacerdote ortodosso Marin Luculescu

Nel tradizionale scambio di pulpiti che, nella Chiesa di Pescara-Penne, caratterizza la Settimana di preghiera per l’unità dei cristianiquest’anno incentrata sul tema “Imparate a fare il bene; cercate la giustizia” (Isaia 1,17) -, è stato il sermone del sovrintendente della Chiesa metodista di Pescara Alan Di Liberatore ad aprire la veglia ecumenica di mercoledì 25 gennaio presieduta, nella chiesa dello Spirito Santo a Pescara, dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, con la partecipazione del sacerdote ortodosso della parrocchia ortodossa-rumena dei Santi Simeone il giusto e Anna profetessa di Fontanelle (Pescara) Marin Luculescu.

Alan Di Liberatore, sovrintendente della chiesa metodista, pronuncia il sermone

Il pastore metodista, in particolare, ha commentato il brano tratto dal Vangelo di Luca (10, 25-37) in cui un maestro della legge, volendo tendere un tranello a Gesù, gli domandò “Maestro, cosa devo fare per avere la vita eterna?”: «Sorelle e fratelli in Cristo – esordisce Di Liberatore -, ho l’onore di dare inizio alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani cristiani, ormai un appuntamento che ha più di un secolo. Tanto è stato fatto, tanto ancora abbiamo di fronte. Il tema, quest’anno redatto dalle Chiese cristiane dei Minnesota, è incentrato sulla giustizia, la prassi e la pratica del bene, con una parabola tratta dall’evangelo di Luca che il fratello in Cristo, Sua Eccellenza Tommaso Valentinetti, che ringrazio per la disponibilità alla conoscenza fraterna, ha proclamato. È una parabola che conosciamo tutti a memoria, sin da quando siamo piccoli. Il problema di questo testo è dovuto alla sua celebrità, perché conoscendolo, o presumendo di conoscerlo, potremmo essere tentati di non approfondirne alcune peculiarità. In realtà è un testo che mi ha colpito, nella preparazione di questa veglia, perché è molto più denso di quanto sembri. Prima di tutto colpisce il tema, che è quello centrale della vita eterna, è il tema della legge ebraica, che avviene tutto in una modalità particolare. Non avviene con una sorta di manuale catechistico, quindi con un prontuario di risposte, ma avviene in una forma decisamente dialogica. Gesù e l’interlocutore che vuole tendergli un tranello, si rintuzzano o comunque controbattono l’un l’altro. E già questo è interessante perché, di fatto, sia Gesù che il dottore della legge sono pressoché d’accordo su tutto. Riescono addirittura, a noi sembra semplice, a riassumere tutta la legge ebraica, tutta la Torah, con due pezzi tratti da Mosè. E quindi anche questo ci potrebbe meravigliare perché, tutto sommato, risponde bene e quindi fine della storia. Ormai hanno capito che il cuore pulsante della legge ebraica è l’amore per l’eterno, per Jahvè, e l’amore per il prossimo. Quindi riescono, con il Deuteronomio e il Levitico, a sintetizzare la legge ebraica. Ripeto, una cosa non semplice, perché la legge ebraica, all’epoca era eccessivamente particolareggiata. Colpo di scena, “Chi è il mio prossimo?”».

E qui, a detta del sovrintendente metodista, si aprono tutti i nostri scenari: «Noi siamo tentati, a prima vista – osserva Di Liberatore -, di non identificarci in questa rassegna di personaggi, con il sacerdote ed il levita che passano e, pur osservando il malcapitato, vanno oltre. Ma, lo chiedo fraternamente a tutti noi, siamo sicuri di non essere poi così distanti dal sacerdote e dalla levita? Tutto sommato, per l’epoca in cui erano, trovare una persona morente poteva essere fonte di problemi, pericoloso. Dal punto di vista del calcolo di opportunità, di rischi e benefici, non ne valeva la pena. Alla fine è un modo umano di ragionare. Probabilmente tanti di noi si sarebbero comportati così in quelle circostanze. Non ci dimentichiamo che toccare una persona con il sangue, era anche impurità per l’ebreo osservante. Quindi il levita e il sacerdote si sono comportati secondo i parametri di questo mondo. E Gesù va oltre. Infatti, ciò che Lui cerca di portare a compimento non è l’annullamento della legge ebraica, ma la dilata fino alle estreme conseguenze. E risponde con una storia, probabilmente anche preesistente, non lo sappiamo. E questa è la storia di un eretico. Il samaritano, all’epoca, era ai confini e dal punto di vista ritualistico, non era assolutamente conforme all’immaginario dell’ebreo osservante. Perché Gesù lo prende come esempio? Perché non è solamente nell’azione in sé che riassume comandamenti, è nell’approccio. Ed è proprio la direzione, l’approccio, che il samaritano ha nei confronti dell’uomo ferito che cambia lo scenario. Infatti Gesù è venuto a mostrare, con il suo ministero, il volto pulsante della legge ebraica: come incarnare e vivere la legge ebraica, portandola alle estreme conseguenze. Infatti, il samaritano non proferisce parola, sospende qualsiasi forma di giudizio. E la traduzione di avere compassione è “Ebbe cura di lui, si prese cura di lui”. L’apostolo Paolo, quando ha scritto ai credenti di Roma, nel capitolo 12 ci ricorda di non essere soggetti allo schema di questo mondo. E, a ben pensarci, il levita e il sacerdote rappresentano lo schema di questo mondo e noi non siamo molto distanti. È uno schema che è imperniato sul calcolo. Spazio e tempo vengono scelti e quantificati per soddisfare i propri bisogni. Tutto sommato, non è una comportamento riprovevole. Gesù va sempre al di là, sfida sempre il contingente per entrare nel cuore dell’uomo. Quindi è l’approccio del samaritano che differenzia il tuo. Non è un calcolo».

I partecipanti alla veglia ecumenica

Da qui il riferimento all’unità dei cristiani: «La cura come prassi, tratto distintivo del compimento della legge – sottolinea il pastore -, è una cura che non esige calcolo, è una cura che va al di là di ogni steccato o nazionalità, che poi è il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e, perché no, anche di confessione. Quindi noi stessi, noi cristiani, dovremmo indicare la luce di Cristo nella nostra prassi. Tanto è stato fatto, tanto abbiamo ancora da fare. Troppe sono le ferite della diffidenza tra le tradizioni, troppa la presunzione di avere – da parte di tutti – un pezzo della verità. Ma Cristo, per fortuna, non ci ha lasciato un’idea filosofica, un manuale. La cura, fare il bene, non ci è stata data come una regola, ma con una persona. Questa è la vostra specificità, questa è la specificità di tutta la Chiesa universale che riconosce la Signoria di Cristo. La nostra cura deriva dalla relazione che abbiamo con il Signore. , noi siamo il suo corpo che ha molte membra, che si conoscono, che imparano a conoscersi, ma che possono godere della presenza eterna di Cristo stesso. Secondo l’antica iconografia orientale, è Gesù stesso il samaritano, è Gesù che fascia le nostre piaghe, le piaghe di un’umanità straziata. Di più, Gesù – per diventare il Buon samaritano per eccellenza – è diventato Lui stesso il malcapitato. Lui stesso ha sperimentato la sofferenza per poter curare, nel profondo, la ferita della nostra distanza. Mi piace ricordare, in merito all’idea della sofferenza di Cristo, le parole che Dietrich Bonhoeffer (teologo luterano morto nei campi di concentramento) ci ha lasciato “Cristo crea non un tipo d’uomo, ma crea l’uomo, un uomo. Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma è prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo”. Quindi il buon samaritano non è un’idea. La cura dell’Evangelo, della buona notizia, non è una prassi, ma è una relazione con Colui che – per curarci – è stato trafitto, come dice Isaia».

Da qui l’augurio di Alan Di Liberatore: «Possa essere questo l’auspicio – conclude -, godere della presenza dello Spirito di Cristo. Perché solo con una relazione intima, personale, con Lui, con il Signore, le tradizioni possono conoscersi e curare vicendevolmente le proprie ferite. Amen». Domenica 22 gennaio, alle 17.30 nella chiesa metodista in via Latina 32 a Pescara, sarà l’arcivescovo di Pescara-Penne a ricambiare il gesto, pronunciando la sua omelia.

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne

A margine della veglia ecumenica, l’arcivescovo Valentinetti ha annunciato un appuntamento: «Dal 13 al 17 febbraio – afferma – Fratel Enzo Bianchi sarà qui a predicare un corso di esercizi spirituali aperto a tutti, presbiteri, religiosi, religiose e laici. Il corso è residenziale, presso l’Oasi dello spirito di Montesilvano colle, perché gli esercizi spirituali si fanno a livello residenziale. Il tema sarà il Vangelo di Giovanni, ma in modo particolare “La Passione e la Risurrezione nel Vangelo di Giovanni”. Chi volesse partecipare, potrà iscriversi nei prossimi giorni. È stata una sua iniziativa, dopo quella già avuto l’anno scorso, che noi abbiamo accolto e chi si sentirà di partecipare, sarà libero di farlo».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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