Pace: “Non è utopia per ingenui, ma la vocazione dell’Italia e dell’Europa”
"La sinodalità non finisce - ricorda il cardinale Zuppi -, ma deve diventare uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e profetiche. La sinodalità ha bisogno di tutti, di una collegialità partecipe e lungimirante e di ascoltare sempre il primato di colui che presiede nella comunione"
Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei -
Ph: Cristian Gennari/Siciliani
Da ieri a domani mercoledì 24 settembre si sta svolgendo a Gorizia la sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana. Ed è proprio dall’esempio di Gorizia e Nova Gorica, prima divise dal confine di stato tra Italia e Slovenia e ora riunite come Capitali della cultura 2025, che il cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei Matteo Zuppi è partito nel condurre la sua relazione introduttiva: «Niente del passato va perduto e nessun confine è invalicabile – afferma il porporato -. Perché – come disse Giovanni Paolo II nella sua visita pastorale del 1992 – “tutto può cambiare, dipende anche da noi“. Quella storia di sofferenza si è chiusa, anche se ha sempre bisogno di curare le ferite profonde e tutti dobbiamo imparare a non vivere contro o senza gli altri, ma insieme: fratelli tutti, come hanno fatto Slovenia e Italia, che hanno scelto da anni la cooperazione e questo è il frutto! E lo hanno scelto in un quadro europeo».
Da qui il parallelismo sulla situazione europea e italiana: «L’Europa unita ha reso possibile molte cose – ricorda Zuppi –, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa (che pure si erano combattuti) e del mondo. Questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie. Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace. Anzi – come ha affermato recentemente il presidente Mattarella – “il mondo ha bisogno dell’Europa” per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata e rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo. E l’Europa deve esistere di più, anche se la insidiano e la indeboliscono i nazionalismi e i sovranismi e una leadership complessa. L’incertezza dei rapporti con l’Alleato americano di sempre e la condizione creata dall’invasione russa in Ucraina, la pongono in una situazione totalmente nuova che richiede soluzioni unitarie perché siano efficaci».
Da qui l’appello del presidente della Cei: «Dobbiamo, come Chiesa italiana e come Chiese europee – invita il cardinale -, portare il nostro sostegno al Continente, per un suo consolidamento come realtà di democrazia, pace e libertà, per la difesa della persona umana in un mondo che appare tanto in movimento. Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui, ma è la vocazione dell’Italia, dell’Europa e di ogni società umana degna di questo nome. E non bisogna riprendere il sogno di Giovanni Paolo II perché respiri pienamente a due polmoni, fino agli Urali? E non dobbiamo dare anima all’Europa e difenderne i valori fondativi con una nuova Camaldoli? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno operatori di pace, saranno chiamati figli di Dio. L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura».
Ma il contesto attuale non rende facile tutto questo: «Certo, la realtà del mondo così imprevedibile, i conflitti, lo scuotimento di riferimenti storici generano un diffuso disorientamento – ammette l’arcivescovo di Bologna –. C’è una diffusa paura del futuro, anche perché molta gente vive sola e il nostro è spesso un popolo di soli, con lo sfaldamento della famiglia e del tessuto comunitario. La paura del futuro rinchiude nel presente e nella sua difesa. Anche il problema del calo demografico è espressione di questa paura, di concentrazione sul proprio io, di mancanza di speranza nel domani».
Nel corso della relazione non è mancato un riferimento al conflitto israelo-palestinese, riproponendo il progetto di due popoli in due Stati, auspicando la liberazione degli ostaggi rimasti. Tra gli altri argomenti, il presidente dei vescovi italiani è tornato a parlare del Sinodo, rivolgendo un appello: «Guardare – esorta il cardinale Matteo Zuppi – con uno sguardo missionario il futuro del nostro Paese. In questa società disarticolata c’è da ritessere la fraternità, secondo quelle indicazioni che Papa Francesco ci ha offerto nella Fratelli tutti». A tal proposito, il porporato ha ricordato quali saranno gli ultimi passi del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, il cui testo finale, riformulato, sarà votato il 25 ottobre dalla terza Assemblea sinodale, per essere poi presentato ai vescovi riuniti nell’Assemblea generale in programma ad Assisi dal 17 al 20 novembre: «Di fronte alle fatiche incontrate nella seconda Assemblea – spiega il presidente della Cei -, parlando del rinvio dell’Assemblea generale da maggio a novembre, abbiamo voluto dare e prenderci tempo per far maturare in modo opportuno un testo che fosse davvero espressione fedele del percorso compiuto».
Quindi il cardinale Zuppi ha illustrato i prossimi passi da compiere: «Accogliere, discernere e concretizzare quanto ci verrà consegnato dall’Assemblea sinodale – illustra -. Avremo davanti a noi la sfida di individuare le priorità e conseguentemente gli strumenti adatti per tradurre queste priorità, affinché le nostre Chiese diventino sempre più missionarie e comunionali. La sinodalità non finisce, ma deve diventare uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e profetiche. La sinodalità ha bisogno di tutti, di una collegialità partecipe e lungimirante e di ascoltare sempre il primato di colui che presiede nella comunione».



