“Dobbiamo preparare un futuro buono per vivere in L’Aquila risorta”
"Il cuore di questa città - auspica il presule aquilano - oggi deve pulsare con battiti più intensi e più forti, perché il sangue della solidarietà e della sinergia circoli nell’intero organismo ecclesiale e civile, promuovendo motivi di speranza e prospettive di un futuro migliore, che garantisca a tutti e a ciascuno una crescita dignitosa e integrale"
«Noi, oggi, come credenti e come cittadini, abbiamo il dovere di preparare un futuro buono, ricco di prospettive di crescita, per i bambini e i ragazzi di questa generazione affinché, da adulti, non si ritrovino ad abitare una città ricostruita solo nelle sue strutture murarie, ma vivano come persone libere in L’Aquila risorta».
Lo ha dichiarato questa notte l’arcivescovo de L’Aquila monsignor Giuseppe Petrocchi, alla vigilia del sesto anniversario del terremoto che il 6 aprile 2009 distrusse il capoluogo abruzzese, lasciando tra le macerie delle case e dei condomini 309 morti: «A me sembra – rilancia il presule – che il decennio 2009-2019 per la città de L’Aquila – quindi, per la sua ricostruzione culturale, sociale, architettonica – rappresenti un tempo decisivo, da cui dipenderanno i prossimi cinquant’anni. Questa generazione ha una responsabilità verso le generazioni che la seguiranno: è chiamata a realizzare un compito fondamentale».
In questa prospettiva, l’arcivescovo ha ringraziato: «Tutte le persone – ricorda – e le varie Istituzioni che, a livello nazionale, regionale e locale, hanno preso a cuore la sorte della nostra città e si sono impegnate seriamente per avviare il processo della ricostruzione in modo autentico e integrale».
Ma, al di là di tutto, c’è un compito che spetta ai cittadini, alla gente comune: «Poiché – esorta monsignor Petrocchi – è necessario che si attivi una mobilitazione civica e venga promossa una missione di popolo, che non possono essere delegate alle istituzioni».
E questa notte è stata ancora la notte del ricordo delle 309 vittime, alle quali è stata dedicata la fiaccolata cittadine che ha visto la partecipazione di migliaia di persone, aquilane e non, guardando anche al futuro de L’Aquila e al completamento della difficoltosa ricostruzione.
Quindi la fiaccolata, come avviene da sei anni a questa parte, si è conclusa in piazza Duomo e alle ore 3.32, l’ora della scossa che ha stravolto la storia del capoluogo abruzzese, i nomi dei 309 morti sono stati scanditi accompagnati da altrettanti rintocchi delle campane: «Non li dimenticheremo! – ribadisce Petrocchi – Resteranno punti di riferimento stabili, che ci obbligano ad impegnarci nel processo di rinascita, che può essere efficace se corale e collettivo. Solo una comunità, infatti, può produrre, con l’aiuto del Risorto, questo prodigio, nel quale noi crediamo e per il quale ci spendiamo fino in fondo».
Da qui l’auspicio: «Il cuore di questa città – invita il presule aquilano – oggi deve pulsare con battiti più intensi e più forti, perché il sangue della solidarietà e della sinergia circoli nell’intero organismo ecclesiale e civile, promuovendo motivi di speranza e prospettive di un futuro migliore, che garantisca a tutti e a ciascuno una crescita dignitosa e integrale».
Tutto questo, nella certezza della presenza costante di Dio: «Che non ci abbandona – esclama l’arcivescovo Petrocchi -, poiché il Signore sa trarre anche da un male immane, come il terremoto, un bene misterioso e più grande. Che il Signore ci accompagni in questo nostro viaggio in un tempo che vogliamo lungimirante e operoso».
L’Aquila del nostro tempo, infine, non ha soltanto bisogno di altri giorni o di giorni in più: «Ha bisogno – conclude monsignor Giuseppe Petrocchi -, invece, di giorni diversi, cioè di giorni attraversati dalla luce della verità, dell’amore e della comunione, auspicando che il Signore ci veda tutti protagonisti di una storia bella: storia che potremo trasmettere alle generazioni che verranno».