“Fate i discepoli stando dietro al Signore che vi indica la strada”
"Bisogna avere il coraggio di una sequela - sottolinea l'arcivescovo Valentinetti -. Non vi devono spaventare gli errori, non vi devono spaventare le cadute, non vi deve spaventare la mancanza di entusiasmo. Non vi deve esaltare il successo, non vi devono esaltare le soddisfazioni. La vostra non dev’essere mai una vita che si abbatte o si esalta, ma una vita di sequela giorno per giorno, attimo per attimo, momento per momento, imparando e reimparando sempre che cosa significa stare dietro al Signore"
Una grande partecipazione di fedeli sabato scorso, al termine del Convegno pastorale diocesano “Trasfigurare, voce del verbo”, ha gremito la Cattedrale di San Cetteo a Pescara per assistere alla cerimonia solenne di ordinazione sacerdotale dei diaconi don Mauro Evangelista, don Piero Martella e don Graziano Della Volpe, presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti e concelebrata da un’ampia delegazione di presbiteri diocesani, con l’animazione liturgica curata dai Cori riuniti dell’arcidiocesi diretti da Roberta Fioravanti.
In particolare, nell’omelia, l’arcivescovo si è rivolto direttamente ai tre nuovi sacerdoti, invitandoli a vivere il loro ministero mettendosi umilmente alla sequela di Cristo: «Ebbene – esorta il presule -, dovete fare i discepoli stando dietro, avendo il coraggio di restare dietro, di guardare Lui che va avanti, Lui che cammina, Lui che è sempre ad indicare la strada e voi sempre a seguire. Tutto questo avendo sempre la capacità di ricominciare da capo, di riprendere il cammino non pensando mai di essere arrivati, perché non c’è nessun discepolo più grande del suo maestro, anche se c’è quell’altra Parola che dice “Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”, ma bisogna avere il coraggio di una sequela. Non vi devono spaventare gli errori, non vi devono spaventare le cadute, non vi deve spaventare la mancanza di entusiasmo. Non vi deve esaltare il successo, non vi devono esaltare le soddisfazioni. La vostra non dev’essere mai una vita che si abbatte o si esalta, ma una vita di sequela giorno per giorno, attimo per attimo, momento per momento, imparando e reimparando sempre che cosa significa stare dietro al Signore».
Quindi, parafrasando ancora il Vangelo, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha rivolto un ulteriore appello ai tre novelli presbiteri: «Andate anche voi a toccare il lembo del mantello di Gesù dalla parte di Pietro, come l’emorroissa, per essere uguali nell’interiorità e nella conversione. E come Mosè guardò le terga del re, continuate a guardare le spalle di Gesù, perché Lui vi si mostrerà di fronte e vi darà insegnamenti, ma poi si girerà e vi dirà “Venite dietro a me, verso il Regno”. Siate discepoli di questo Maestro, discepoli per questo regno».
Una riflessione, quella condotta dal monsignor Tommaso Valentinetti, ispirata dal Vangelo della scorsa domenica che ha approfondito il tema della radicalità, del mettersi alla sequela “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”: «Ma Dio è un Dio totalitario? – interroga l’arcivescovo Valentinetti -. No, Dio non è un Dio totalitario. Gesù non è il Signore totalitario, non vuole essere amato da solo. Perciò, giustamente, la traduzione che ci è stata proposta da questo testo dice che Lui è il primo. Ma poi, dietro di Lui, sicuramente, il padre e la madre e per coloro che domani sera (domenica 8 settembre) sono stati ordinati diaconi permanenti la moglie e i figli. Per tutti, infine, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita. Ma questo vale per tutti i battezzati chiamati ad essere discepoli del Signore».
Un’altra radicalità ispirata dal passo biblico, è quella di portare la croce dietro Gesù “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. E ancora, in riferimento a quanto emerso anche dal convegno pastorale diocesano, l’attenzione alla sofferenza e a chi vive il disagio è la verifica della verità di una liturgia: «Ma è verifica anche della verità di un discepolato – sottolinea l’arcivescovo -. Sappiamo bene che quando Gesù fece questo discorso apertamente “Il Figlio dell’uomo dovrà patire, soffrire, essere rifiutato”, il principe degli apostoli gli disse “Maestro, ma questo non ti accadrà mai” e Gesù gli dice di rimettersi dietro a fare il discepolo, non avendo capito niente».
Da qui un parallelo con la vita dei sacerdoti: «La vita donata nel presbiterio – osserva il presule – è sicuramente una vita entusiasmante, di gioia, ve lo assicuro dopo 42 anni di presbiterato. Ebbene, il crogiolo della sofferenza attraversa più volte la vita, l’attraversa e la segna. Ma quella sofferenza avvicinata appena a quel mistero di croce, diventa verità gloriosa e allora anche da questa sofferenza e da quella croce, nasce la gioia. Certo, non è una gioia chiassosa, non è una gioia pubblicizzata, ma è una gioia profonda dell’anima che solo nel profondo di noi stessi possiamo percepire».
Inoltre, bisogna essere preparati in tutto. Un’altra caratteristica che dev’essere comune a tutti i sacerdoti, specialmente ai nuovi: «Vi siete preparati – conferma l’arcivescovo Valentinetti – e se qualche giornale avete letto che ci avete messo tanto, considerando le vostre età, non è vero. Vi siete preparati nell’ultima fase della vostra vita, attraverso la formazione teologica e la formazione educativa nelle comunità educanti, ma vi siete preparati con la vita, con la vostra esistenza che ha vissuto esperienze diverse, di cui dovete fare tesoro. Niente dovete rinnegare di ciò che avete vissuto fino ad oggi, perché quello che state vivendo questa sera e che, se il Signore vorrà e lo vorrà, vivrete per tutta la vita si poggia su quella bella base di umanità di lavoro, di semplicità, di volontariato, d’impegno dentro la storia di associazioni e movimenti dentro una capacità di affrontare la vita con coraggio e, forse, rinunciare anche a brillanti carriere, che invece rimettete questa sera dentro il calice e mescolate con il crisma sacramentale che ungerà le vostre mani».
Infine, il Vangelo di domenica richiede che si debbano lasciare i propri averi per essere discepoli: «L’esperienza della sobrietà, della povertà e soprattutto dell’essenzialità – conclude l’arcivescovo di Pescara-Penne -. Grazie a Dio, per quello che mi è dato conoscere di voi da sette anni a questa parte, mi pare che ci siamo. Adesso spero che lo Spirito Santo, che questa sera tutta l’assemblea invocherà su di voi, faccia il resto e che siate realmente legati a questa essenzialità della vita. Il popolo di Dio, che è qui presente stasera, è testimone del vostro cammino di fede, ma sarà pronto a guardarvi con occhio faticoso se non vivrete e non vivremo l’essenzialità della vita. Voi direte “Ma com’è possibile tutto questo?”. Sarà possibile se avrete una grande coscienza, la coscienza del discepolo, ovvero colui che stava dietro il Maestro».