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Il caos dietro la Creazione

Scandali inconsistenti e fraintendimenti grossolani: approfittiamone per goderci la Sistina

Pensavo che ne avrei sentito parlare solo per strada, invece l’ho letto su autorevoli settimanali culturali tedeschi: non posso non continuare a ritenere Die Zeit un grande appuntamento culturale, e la mia stima per le testate tedesche cresce da quando le più autorevoli di esse hanno avuto il coraggio di dire pubblicamente che la penna di certi nostri intoccabili santoni della cultura è pesante come il piombo (La Süddeutsche Zeitung non teme di giudicarne l’ultimo romanzo per quella palla illeggibile che è, il Frankfurter Allgemeine gli chiede perfino, ironicamente, se il lettore ideale sarebbe lui solo). Dicevo, pensavo che ne avrei sentito parlare solo per strada, e invece l’ho letto su Die Zeit: la notizia sarebbe che in una scuola viene insegnata la dottrina della creazione.

Ci si può chiedere: forse intendono comunicare che hanno aperto una nuova scuola confessionale? Sì e no: l’articolo parla, in effetti, di una nuova scuola confessionale fondata da cristiani evangelici a Düsseldorf, ma la notizia non sta lì. La notizia è che in questo liceo (si tratta di un Gymnasium) s’insegnerebbe il creazionismo a lezione! Non è tutto qua: non paghi di questo scandalo, i fondatori dell’istituto sembrano aver previsto corsi di educazione sessuale non in linea con le posizioni dell’Unione Europea su “certi diritti umani” (leggi rivendicazioni radicali su omosessualità e affini).

Sorprendentemente, però, ho dovuto constatare che i commenti dei lettori sembrano accanirsi più sul creazionismo che sulla morale sessuale (predilettissimo argomento di scherno polemico anticristiano): decisamente, si vede che il tema non devo aspettarmelo solo per strada…

Poi mi sono ricordato di quell’amico che s’era sentito spiegare da una signora semianalfabeta che non poteva mica credere in Dio, dal momento che sapeva che in realtà «è stata l’evoluzione!».

Davanti a un simile panorama di desolazione concettuale si fa evidente un’unica cosa: i nostri contemporanei non hanno capito né cosa s’intende per creazione né cosa s’intende per evoluzione – tanto meno, dunque, ci si potrà aspettare che abbiano chiara la diversa portata epistemologica delle due categorie. In fondo il problema è analogo a quello dell’educazione sessuale, stranamente glissato nei commenti all’articolo di Die Zeit: chiamano “educazione sessuale” la versione frettolosa del foglio illustrativo di un contraccettivo, mentre non poche donne crescono senza avere una qualche idea di come funzioni – tanto per dire – l’ovulazione che avviene nel loro corpo.

In modo analogo, dunque, vengono frettolosamente confuse e contrapposte due nozioni dalle storie, dalle portate e dalle “vite” ininfluenti le une con le altre: affermare che le specie viventi sul pianeta terra sono oggi quali appaiono in forza di un processo di trasformazione battuto sui colpi del caso e della necessità è cosa totalmente ininfluente (perché indipendente) dal dire che le cose che ora (non semplicemente “oggi”, ma “adesso”) ci sono e sarebbero potute non esserci non possono essere emerse autonomamente dal nulla in cui erano immerse.

Il povero Galileo, che oltre a essere comunemente chiamato per nome come fosse il macellaio di fiducia è uno degli uomini il cui pensiero è citato più a casaccio – sovente senza che se ne abbia una minima idea (più di lui, forse, solo Adam Smith, e più di entrambi solo Gesù Cristo) – si battè una vita, con coraggio e acume, per mostrare che «le Scritture servono per mostrare come si vadia al Cielo e non come si vadia il cielo» («Come si vada in Cielo, e non come vada il cielo». Lettera a Cristina di Lorena), viene di fatto citato soltanto per la seconda parte di questa frase, come se non avesse mai scritto la prima. Chiaro, le lezioni date “agli altri” sono le più facili da tenere a mente, ma anche i laicisti da strapazzo che ci contornano hanno da imparare la tenace ambivalenza di questa frase: gli scienziati non devono temere il giudizio dei teologi (e questi devono astenersi da frettolose e inappropriate condanne); allo stesso modo i credenti non devono temere il giudizio di quanti si fanno passare per scienziati (e questi dovrebbero smettere d’illudersi che le loro scoperte, vere o presunte novità, debbano avere un influsso necessario e diretto sulla teologia).

Ciò che episodî come quello di questa scuola tedesca dimostrano è che non è disposto a concedere alla fede “una sua verità” (perché a nessuna verità o verisimiglianza si deve negare l’accesso in una scuola civile) chi a parole professa esserci “un ampio ventaglio di verità”, perché noi che professiamo che la verità è una e una sola – e che essa getta le proprie radici nelle viscere della realtà – sappiamo compiere il paziente sforzo del pensiero necessario a scoprire l’armonia di differenti piani della realtà stessa; gli altri hanno già deciso che la realtà ha un unico piano, e che quelle che pretendono di riferirsi ad altri piani di essa possono essere chiamate “verità” unicamente per convenienza politica.

Un’altra cosa che veniva osservata con ciglio pensieroso, nell’articolo, era che l’evoluzionismo viene insegnato nel suddetto Gymnasium come una mera teoria scientifica: ora, trattare l’evoluzionismo come una verità acclarata non è meno indifendibile che il tenere per una cronaca il testo biblico contenente il racconto della creazione. L’evoluzione della specie è infatti una ragionevole ipotesi scientifica, scientificamente accettabile in quanto scientificamente falsificabile (forse per strada non si legge Popper… ma neanche nelle redazioni dei giornali, evidentemente); la creazione delle cose – non parliamo di mondo, cosmo, universo… tutte parole difficili che portano già in loro stesse dei distinti e peculiari indirizzi – è invece una ragionevole ipotesi filosofica, filosoficamente possibile perché filosoficamente inconfutabile. L’unica alternativa che il pensiero umano ha davanti al mutare continuo delle cose che vengono dal non essere e al non essere vanno – se proprio non si vuole ammettere l’opera di un Dio che “fa” le cose – è l’idea che Dio sia la materia stessa, e che la materia stessa sia Dio.

Il panteismo, però, è soddisfacente solo sul piano dell’osservazione ordinaria, perché è proprio la fisica dei nostri giorni a dirci degli ordini di grandezza subatomici e di quelli siderali cose che fanno dubitare della possibilità di ritenere l’universo (o qualunque cosa intendiamo con questa parola) eterno: quindi la creazione – ossia l’ammissione dell’alta probabilità della derivazione degli enti contingenti da un Essere necessario (così si direbbe in filosofese) – è persino un po’ più che una probabilità, giungendo invece a sfiorare il grado di necessità nella logica umana.

La cosa più appassionante della creazione, però, non è affatto “che c’è”, né che “viene da un essere divino” (abbiamo detto che non potrebbe essere diversamente): neanche Aristotele era potuto arrivare a capire che l’essere divino che ha creato il mondo (ossia il “primo motore immobile”, direbbe lui) aveva voluto, effettivamente, creare il mondo. Il mondo potrebbe anche essere l’involontaria secrezione del divino (Cioran scrisse, un pelino oltre il limite della blasfemia: «la bava di Dio»): la cosa eccitante che la fede conserva nel proprio patrimonio è invece la libera decisione, da parte di Dio, di creare, e perfino di creare senza partire da nulla di già fatto! Paolo scrive ai Romani che Dio «chiama all’esistenza le cose che non ci sono come se già esistessero» (cf. Rom 4, 17). La strabiliante novità del Creatore cristiano (e in parte anche del Dio degli ebrei) è l’onnipotenza di una sconfinata fantasia, di un estro divino desideroso di far sgattaiolare tutto dal niente come dei conigli dal cilindro di un prestigiatore – anzi, meglio, perché senza alcun trucco, per non dire pure che il niente è molto meno di un cilindro.

I racconti biblici che sono finiti alla base della teologia cristiana della creazione dal nulla, però, sono largamente disincantati, e sembrano precorrere la terribile domanda sull’inoculazione del virus del male nel suo mondo buono: sta scritto che Dio crea la luce, ordinando alla luce di esistere, ma neanche un rigo dopo il Creatore si trova a separare la luce dalle tenebre (Gen 1, 5), pur non avendo affatto creato le tenebre. Il versetto con cui si apre l’intera Scrittura, il quale apparteneva originariamente a un’altra fonte letteraria, ha cura di assicurare che le tenebre non sono preesistenti alla creazione, ma resta il fatto che da nessuna parte si trova menzione della creazione delle tenebre.

Resto sempre incantato, quando ammiro gli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina – soprattutto quando mi concentro sul primo dei nove riquadri sulle storie della Genesi: lo so, sono tutti impegnati a consumare con le pupille l’ineffabile creazione di Adamo, o quella di Eva, o la scena del peccato originale, ma quello che ci si perde non è poco – è Dio onnipotente che si rotola tra la luce e le tenebre, cominciando dal primo istante del tempo a prendere la propria posizione – il proprio giudizio – sul tenebroso postulato della creazione.

L’attillatissimo abito violaceo evidenzia la torsione primordiale del Creatore, ad un tempo impegnato senza riserve nello sforzo cosmico in atto eppure palesemente padrone della situazione: la mano che respinge le tenebre con fermezza lascia all’altra lo spazio di modellare la luce come fosse plastilina (diversi critici sostengono che con quella prima purissima materia, ancora prima di creare Adamo, di dare il comandamento e di vederlo trasgredito, Dio pro-getta l’Immacolata). Ciò che risulta di massima sorpresa, nel racconto e nella teologia che ordinatamente ne è scaturita, è che non solo Dio non distrugge le cose che ha creato direttamente e per sé, ma non annienta neppure “i fiori del male” che ha visto germogliare e sbocciare tra le proprie creature; è facile, tuttavia, ricordarsi come un umanista quale Michelangelo non poté restare indifferente all’analogia antropologica che in una simile sequenza gli avrebbe offerto. Ecco da dove sorge la tenebra che Dio non ha creato: sembra essere nata apposta per eternare un’efficace icona del libero arbitrio degli uomini e delle altre persone individue create da Dio, luce capace di macularsi del proprio vuoto, ossia della tenebra.

Viceversa, proprio l’agitarsi tumultuoso della nostra libertà nei nostri cuori è la spirituale cartina di tornasole del dato teologico essenziale: sì, c’è una Creazione, libera e per la libertà. Le tenebre ne sono il prezzo.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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