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Pregate per il Papa

Celestino, Benedetto e Francesco: quanto pesa questa croce …

La settimana scorsa ci siamo soffermati sulla prima delle ragioni del «gran rifiuto» che sembra accomunare Benedetto XVI e Celestino V (link): la consapevolezza di non riuscire più a sostenere il peso del mandato, a causa della propria crescente debolezza fisica. Ma, se leggiamo con maggiore attenzione la bolla con cui Celestino avrebbe comunicato la sua decisione di ritirarsi (Testo-della-bolla-trasmesso-da-Bonifacio-VIII.pdf), notiamo che egli non fu spinto solo dalla debilitas corporis, ma anche da altri motivi. Tra questi, subito dopo la debolezza fisica, è nominata la malignitas plebis: a cosa allude questa enigmatica espressione?

A quanto ci risulta, Celestino V nel suo pontificato non incontrò l’opposizione del popolo, che anzi lo amava e lo rispettava quale uomo di Dio, monaco religiosissimo, dedito a una vita povera e semplice, autenticamente evangelica. Piuttosto il papa-monaco si trovò in seria difficoltà con gli alti prelati, abituati a ben altro stile di vita. Proviamo a scandagliare i testi del Trecento alla ricerca di indizi che ci permettano di ricostruire la situazione della Chiesa di quel tempo. A sentire Petrarca, pare proprio che le cose non andassero bene. Ricorderete – forse per averlo studiato a scuola – il sonetto che inizia con le parole Fiamma dal ciel su le tue trecce piova (Petrarca.pdf). In esso è tratteggiata un’immagine estremamente triste e assai poco onorevole della Chiesa del Trecento: una Chiesa che ha rinnegato la sua origine di povertà e semplicità per essere schiava della ricchezza e del potere, corrotta dal lusso e dalla lussuria, viziata dall’amore del vino, del letto e del cibo, nido di tradimenti e orge, dimora di Belzebù e delle sue seduzioni; tanto che Petrarca si augura che il suo «lezzo», giungendo a Dio, ne scateni una reazione piena d’ira.

Un’immagine della Chiesa simile a questa si ritrova nella lauda composta da Iacopone da Todi proprio in occasione dell’elezione di Celestino V (Iacopone-da-Todi.pdf ). Due sono i temi centrali di questo componimento: da una parte l’accusa, aspra e polemica, nei confronti della Chiesa, ormai corrotta da passioni violente, specialmente dalla sete di potere personale (incarnata da cardinali che mirano ad arricchire i parenti), e dalla presenza di uomini ipocriti e ingannatori, che alterano la realtà facendo vedere «il nero per bianco»; dall’altra la lode del nuovo papa, la cui fama di asceta, eremita e uomo onesto e giusto è giunta molto in alto e sarà ora messa alla prova. Celestino è chiamato a governare la barca di Pietro con virtù e forza per resistere alla «tempesta» che agita il mondo e la Chiesa in modo particolare: cosa farà? come si comporterà? soddisferà le grandi attese di rinnovamento in lui riposte? Iacopone mette in guardia il neo-eletto papa dai molti rischi che incontrerà sul proprio cammino: la seduzione del potere, i collaboratori subdoli e corrotti … Se cadrà adesso, sarà motivo di scandalo e confusione per molti, e di dannazione per se stesso. Iacopone non usa mezzi termini. La carica di pontefice è un grandissimo onore, ma anche una «dannazione» per chi la ricopre. Il pontificato di Celestino non iniziò sotto buoni auspici. In lui erano riposte le speranze dei riformatori, di quanti auspicavano una purificazione interna alla Chiesa. Una pesantissima spada di Damocle pendeva fin da principio sul collo del piccolo eremita di Morrone. Il quale alla fine non resistette neppure quattro mesi sul soglio pontificio (dal 5 luglio al 13 dicembre del 1294).

Abbiamo riflettuto sulle ragioni per cui Dante arrivò a collocare il papa rinunciatario nell’anticamera dell’inferno (link). Ma il poeta fiorentino non fu il solo a condannare la pusillanimità di Celestino. Graziolo Bambaglioli affermò che Pietro da Morrone «fu tanto pusillanime da rinunciare al pontificato»; ma mise pure ben in luce la responsabilità che in questa scelta ebbe il cardinale Benedetto Caetani, che sarebbe stato suo successore con il nome di Bonifacio VIII. Iacopone da Todi parla di persone doppie, ingannatrici, capaci di travestire il male sotto un velo di falsa bontà («il nero per bianco»): che alludesse proprio al Caetani? D’altra parte sappiamo bene come scontò la sua opposizione al nuovo papa (Jacopone firmò un documento in cui si dichiarava nulla l’abdicazione di Celestino V e illegittima l’elezione di Bonifacio VIII): fu scomunicato, spogliato del saio, processato, imprigionato e liberato solo dopo l’arrivo di Benedetto XI. Sotto questa luce appare meno inverisimile l’episodio raccontato da Jacopo della Lana, secondo cui i cardinali, venuti in urto con il pio Celestino, che «sdegnava le baratterìe e simonie di corte», non riuscendo a convincerlo con i ragionamenti che le ricchezze mondane (acquisite spesso in maniera arbitraria e coatta) fossero necessarie alla Chiesa, guidati dal Caetani penetrarono nottetempo nella camera del pontefice, fingendosi angeli inviati da Dio, per esortarlo a rinunciare al pontificato in quanto incapace e inadeguato al ruolo. Il fatto, accolto e arricchito di particolari in altre fonti, somiglia tanto a una trovata boccaccesca … In effetti anche Boccaccio era a conoscenza degli intrighi del Caetani e ne faceva menzione nel suo commento alla Commedia proprio in relazione alla vicenda di Celestino. Che l’episodio dei falsi angeli sia realtà o invenzione conta poco: certamente dimostra quanto l’opinione pubblica fosse rimasta sconvolta dalla rinuncia di Celestino, e ne avesse attribuito la responsabilità ai cardinali, in modo particolare al suo successore, che non godeva certo di buona fama.

Celestino al contrario ne aveva di sostenitori anche tra gli uomini colti del tempo. Francesco Petrarca nel De vita solitaria celebrò con ammirazione la scelta di rinunciare alla carica, come atto perfettamente coerente alle sue inclinazioni morali e spirituali: l’eremita, che fuggiva la corruzione del mondo e della Chiesa, non avrebbe potuto vivere in un ambiente tanto corrotto e depravato. Il poeta attribuì dunque il gesto alla libera scelta di «uno spirito altissimo e libero, che non conosceva imposizioni, di uno spirito veramente divino». E, negli stessi anni, Guido da Pisa affermò che Celestino non rinunciò al pontificato per ignavia di cuore, ma «per conservare la sua anima nell’umiltà». In effetti, come ricorderete, l’umiltà è la prima tra le ragioni addotte nell’atto di rinuncia. Ma allora a chi si riferisce il documento quando parla di «plebe malvagia»? Si potrebbe dire ai cardinali stessi, se a stendere la bolla fosse stato davvero Celestino. Ma dato che, molto probabilmente l’autore (o il «sistematore») del testo fu il cardinal Caetani, non sarà stato forse un altro dei suoi famosi metodi per spacciare «il nero per bianco»?

Ma forse ci stiamo dilungando troppo sui tempi antichi. Veniamo a noi. Celestino V lasciò non solo per debolezza fisica, ma anche per una certa stanchezza, oserei dire insofferenza, fastidio, nausea, nei confronti dell’ambiente corrotto in cui era stato suo malgrado scaraventato dall’inattesa elezione. Cosa ha a che vedere questo con Benedetto XVI e, soprattutto, con il neo-eletto Francesco? Niente (almeno spero!). Ma nella sua declaratio (link) il papa emerito accusava una perdita di vigore «sia del corpo sia dell’animo», tale da impedirgli di governare la barca di Pietro in un mare (Iacopone lo chiamava «tempesta») tanto agitato e soggetto a rapidi e incontrollabili movimenti: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».

Perdonatemi: quando leggo queste parole provo un tuffo al cuore, pensando a tutto il peso che il nostro povero Padre ha dovuto sorreggere sulle sue fragili spalle! Traspaiono tutte le problematiche che il mondo, e il papa assieme ad esso, si trova ad affrontare: dalle guerre alle crisi economiche, dalla politica all’inquinamento, dalle catastrofi naturali al dialogo inter-culturale e inter-religioso … Senza contare gli scandali che colpiscono più da vicino la nostra Chiesa: la pedofilia, il divorzio, l’omosessualità, l’aborto, l’eutanasia, la crisi delle vocazioni, la perdita della fede (dell’indizione dell’Anno della Fede abbiamo parlato qualche tempo fa: link), le persecuzioni più o meno violente a danno dei cristiani, i tradimenti (nella sua stessa casa), le ipotesi di complotto, i «segreti del Vaticano», le fantomatiche «insabbiature» … E un papa che di volta in volta deve incoraggiare, consolare, respingere, spiegare, accogliere, riprendere, in una parola educare, con le parole e le azioni. Ma soprattutto un papa che deve rispondere di tutto, anche di ciò che non dipende direttamente da lui, disposto a indossare la corona di spine, ad accettare insulti e percosse, a subire ingiustizie e offese, con il rischio, estremamente concreto, di sbagliare comunque agli occhi dei suoi molti e severi giudici … Avrete forse provato anche voi, rivestendo un ruolo di responsabilità, la fastidiosa sensazione di essere tra l’incudine e il martello, dovendo accontentare e difendere, rimproverare e chiedere scusa, rispondere degli errori commessi da quanti sono sotto la vostra supervisione, ma dei quali voi non potete controllare (non sono certo burattini nelle vostre mani) ogni singola azione o parola … Quante volte, e in misura enormemente maggiore, tutto questo è toccato a Benedetto XVI! Ne viene fuori inevitabilmente un papa debilitato non solo nel corpo, ma, cosa ancor più grave, nello spirito. Quanti hanno rinfacciato al pontefice dimissionario la forza del suo predecessore, probabilmente non hanno mai provato quel senso di scoraggiamento che incombe su chi tanto si affatica per il bene, eppure viene ignorato, quando non addirittura messo alla gogna. E allora come biasimarlo se alla fine, umanamente, ha accettato i propri limiti ed ha desiderato recuperare una condizione da tempo perduta, ma a cui sempre anelava il suo spirito (su questa condizione torneremo la prossima volta)?

Tutte queste problematiche, tutti i rischi, tutti gli inconvenienti, tutta questa pesantissima croce, sono passati ora nelle mani di Francesco. Una settimana fa abbiamo avviato il nostro confronto tra Celestino V e Benedetto XVI: ma non pare anche a voi di intravedere importanti somiglianze tra il monaco di Morrone e il nostro nuovo Papa? Non sono forse entrambi uomini estremamente pii, umili, semplici, tanto che anche oggi l’opinione pubblica ripone in Francesco – come secoli fa aveva riposto in Celestino – grandi attese e speranze di rinnovamento? Fin dalla sua prima pubblica apparizione al balcone, davanti a una piazza gremita di fedeli e non solo, Francesco ha acceso la speranza in un ritorno alle radici del Vangelo, dando segnali di apertura a un deciso e profondo cambiamento. La sua richiesta di «pregare per il papa» (che peraltro non era mancata neppure sulle labbra di Benedetto XVI) non è solo un atto di umiltà né tantomeno il tentativo di attirare la simpatia delle persone, ma una richiesta, lucida e confidente, fatta da un uomo che ha accettato di portare sulle proprie spalle una croce pesantissima e carica di responsabilità, nella piena consapevolezza di non poter compiere la propria missione senza essere protetto, guidato e ispirato da una mano divina e potente. Preghiamo, dunque, per lui e con lui perché il nuovo pontefice sia guidato nello svolgimento del suo ministero e perché tutto avvenga secondo l’infallibile volontà del Signore.

 

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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