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Gioventù bruciata. Bene!

Divampare in un istante, ardere lentamente o spegnersi poco a poco? Giovani che vedono più lungo di Kurt Cobain

Può capitare che si riceva da una persona, dopo non poco tempo che non si sono avuti contatti con lei, un pacchetto contenente degli oggetti – oggetti accompagnati da poche righe scritte a mano. La cosa si fa particolarmente intrigante, perché si è chiaramente invitati a una comunicazione non verbale: gli oggetti da noi scelti parlano sempre per noi (che si tratti di arredamento, abbigliamento o altro), e questo è particolarmente vero e particolarmente falso quando gli oggetti in questione sono dei libri. In tal caso, infatti, la mutezza propria degli oggetti sarebbe relativamente (e solo relativamente) sopperita dalle parole in essi contenuti – certo che è accattivante: che persona è diventata, nel frattempo, quella che oggi torna da me mostrandomi due letture che ha fatto e che evidentemente non saranno per lei due letture qualunque?

Così capita anche che ci si imbatta in libri che non si sarebbe mai pensato di leggere, e non solo per i temi trattati: a stare (troppo) nelle biblioteche s’impara che libri con immagini in copertina sono perlopiù specchietti per le allodole (al limite si può tollerare una sovraccoperta con qualche sobria immagine), e che libri non corredati da robusti apparati bibliografici – e nelle cui pagine non ci siano note per almeno un quarto del foglio – non sono in fondo “scientificamente serî”. In definitiva, a stare (troppo) nelle biblioteche s’imparano tanti trucchi per lasciarsi sfuggire molte occasioni di conoscenza e di crescita, permettendosi di pensare, riguardo a tutto ciò che non concerne il proprio relativo campo di specializzazione, la solita sbobba mediatica propinata ovunque. Luoghi comuni a destra e a manca, dunque: e se qualcuno non ci spedisse due libri da leggere, facendoci superare per interessi personali gli spocchiosi pregiudizî dei roditori di biblioteca, continueremmo a pensare che la gioventù sia – a scelta – o lo stupefacente regno delle promesse per l’avvenire (come non si manca di dare a intendere anche in ambienti ecclesiastici) o la desolata pattumiera delle delusioni di ieri (e neppure questa vulgata manca in ambienti ecclesiastici).

Perché i giovani? Perché i libri che chi sta scrivendo ha ricevuto hanno in diverso modo a che fare con loro: se dunque da un lato essi sono andati a connettersi all’immagine del mittente come due nuove tessere su un mosaico ancora in fieri, dall’altro gli hanno aperto spazî di riflessione relativamente nuovi sui giovani.

Di Padre Giovanni Marini (ofm) si può aver sentito parlare in varie opportunità: se non per occasione diretta, per il racconto che qualcuno può averci fatto dei corsi per fidanzati e per consacrati che tiene ad Assisi. Una realtà apparentemente “limitata”, ma capace di rivelare a un’attenzione appena più paziente che c’è un movimento diffuso di giovani donne e giovani uomini che – parola estremamente desueta – s’impegnano in un cammino di crescita a prova di destabilizzazione. «La marginalità di questa e simili esperienze – qualcuno potrebbe obiettare – non dà modo di dire se ci troviamo di fronte a un fenomeno socialmente rilevante». Errore: il fatto che statisticamente i matrimonî decrescono a vista d’occhio, e che di quelli che si contraggono (civilmente o con rito religioso) appena una metà resta visibilmente in piedi, e che di questi ultimi un’altra imprecisabile percentuale vive tra sotterfugî, compromessi e insoddisfazioni – questo rende sociologicamente rilevante che ci siano alcuni che si sforzano di elaborare nella propria vita una sana controtendenza.

L’amore: un nome, un volto (Porziuncola, Assisi 20072, 125 pp.) è un libro scarsamente attraente per quanto riguarda la sua veste grafica: dopo la ben calibrata prefazione di Silvano Fausti (sj) ci si imbatte in un testo in cui non mancano (sporadici) errori d’ortografia e di sintassi, e in cui la punteggiatura è talvolta discutibile. Evidentemente non si tratta di un libro destinato alle biblioteche (di cui sopra), tanto più che non lo ha curato neanche Marini, che ne figura come l’autore. È però un libro destinato a essere letto e riletto più volte, anche dalle stesse persone – né ci si può stupire che lo si sia definito “spunto di riflessioni importanti, decisive perfino”. Pur avendo di che infastidire il feticista del “buon libro”, il testo è un’antologia di miratissimi riferimenti biblici e di fini nozioni di psicologia applicata, amalgamati insieme dalla pluriennale esperienza che un genuino zelo catechetico ha permesso a P. Marini di accumulare nel corso del suo apostolato. A questo proposito non mancano le “finestre” in cui lo scorrere del testo lascia spazio ai racconti di varie esperienze, riuscite o fallite, di quella solo apparentemente facilissima cosa che è la vita di coppia.

Uno dei punti di forza, al livello contenutistico, è la capacità di proporre con audacia e ragionevolezza i motivi che spingono ad accogliere e a incarnare la morale sessuale cattolica: né imperativi né sconti, ma ragioni, sono ciò che trapela dalla proposta e dal suffragio dei racconti addotti. Certo, quando si legge il limpido ma sobrio racconto che una coppia fa della propria prima notte di nozze, giunta a coronamento di un lungo e talvolta sofferto percorso di assimilazione del valore della corporeità, propria e altrui, di quello della gratuità, della capacità di abitare la bellezza senza depredarla, si ha l’impressione di essere davanti a una pagina di santa Teresa d’Avila: «Dopo una bella confessione […] vivemmo in pienezza il dono dell’amore e i nostri cuori e i nostri corpi esplosero nella luce. Fu un’esperienza unica entrare in comunione l’uno nell’altro, imparando a essere immersi nella vita, in Dio, in un vortice di dono che sembra toccare l’infinito. […] Eravamo “incinti” reciprocamente nello Spirito e desiderosi di avere “una carne sola”, per poter concepire una creatura, grazie alla quale il sangue del nostro amore sarebbe diventato unico ed inseparabile. Ci sentivamo molto lievi (acorporei?), con una coscienza maggiorata, fuori del tempo» (pp. 83-84). Del resto, quando si leggono i resoconti delle estasi di Teresa non ci si sente come degli intrusi in un talamo nuziale?

Sono ragazzi e ragazze fissati, questi che cercano d’imparare ad amarsi chiamando per nome uno ad uno i “nuclei di morte” che inficiano le relazioni amorose? Di loro stessi essi dicono: «Abbiamo sempre desiderato avere una coscienza delicata, ben illuminata e sensibile alla grazia di Dio» (p. 82). Così la “questione di Dio” fa capolino, tra le storie di uomini e donne di oggi, come il fine della vita (e non come un utile mezzo per renderla più gradevole o meglio tollerabile).

Alla questione che diventa la Questione nella vita di chi comincia a fidarsi di Dio (a partire dall’ipotizzarne l’esistenza e l’affidabilità) si collega l’altro meraviglioso libretto del famigerato pacco postale: «Io ho tutto», di Michele Zanzucchi (Città Nuova, Roma 20117) si rivela per molti suoi lettori solo relativamente nuovo, in quanto a una breve ma corposa biografia di Chiara Luce Badano possono voler accedere sia quanti non la conoscono assolutamente (e restano magari calamitati dal suo sguardo luminoso), sia quanti le sono già devotamente affezionati e grati per quanto ha mostrato loro (e al mondo). A differenza del primo libro, in questo la veste grafica è curata con un lavoro magistrale; a differenza del primo libro, però, la forma espositiva prende spesso i tratti del vecchio genere agiografico. Va detto, a onor del vero, che la marca schiettamente francescana trapela nelle parole di P. Marini molto meno (e comunque molto più discretamente) di quanto dalla penna di Zanzucchi scorrano accenti focolarini.

La vicenda di Chiara Luce, però, si colloca nell’orizzonte di significato del famoso pacchetto come un’estrema misura della radicalità che il fervore giovanile sa assumersi nell’abbracciare ideali e impegni, nel corrispondere a vocazioni, nell’amare persone quali un partner e Dio stesso in Cristo sono (certo con accezioni e gradazioni diverse, ma tutt’altro che decrescenti sul versante divino). Anche chi non sente il suo nome per la prima volta trova sempre uno stupore rinnovato nel ritrovarsi faccia a faccia con la sapienza di questa ragazzina sì e no giunta all’età che si dice “della maturità”: «Noi occidentali – si legge in un tema del 1989 –, eredi delle idee della rivoluzione americana, di quella francese, formati su basi dettate dal cristianesimo; noi che viviamo in stati democratici, forse crediamo di aver raggiunto la libertà. Ma è forse vero?» (p. 89). E l’indicibile fuoco mistico che è divampato nella sua malattia facendone un’epifania di conversione continua per tutti (a cominciare dai suoi genitori) – quel fuoco per cui chi la incontrava in reparti di oncologia pediatrica se ne andava dicendo di aver vissuto con lei i momenti più belli della sua vita (p. 35) – come faceva a esprimersi in parole tanto elementari? «Grazie – scrive all’amica Marica nel 1990 – per le tue numerose offerte per me preziosissime in questo momento particolare. È proprio grazie a queste “piccole” monete che cerco di rimanere in Lui…» (p. 90).

La proposta di Chiara Luce completa, nella sua semplicità, la prospettiva del corso di Marini: come è insito nel genere del “corso”, il cammino che il francescano guida presuppone un assenso della persona a Dio nella fede, e lavora a incrementare questo assenso nella crescita della persona. “Manca”, ma non è possibile muovere una vera critica in tal senso, un pensiero ai tanti – tantissimi – che non sanno rimuovere lo stantio pregiudizio (davvero mondano) contro Dio. Di questo pensiero Chiara Luce ha fatto invece una costante intenzione d’offerta di sé, nella compagnia e nella solitudine, nelle parole e nel silenzio, nel sorriso e nella chemioterapia, nella vita e nella morte: «“Con gli amici del bar – le chiese un giorno la madre – ti capita di parlare di Gesù, cerchi di far passare qualcosa di Dio?”. E lei non naturalezza mi risponde: “No, non parlo di Dio”. La guardo e dico: “Ma come, ti fai sfuggire le occasioni?”. E lei: “Non conta tanto parlare di Dio. Io lo devo dare”.» (p. 29).

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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