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Ignazio di Loyola vince sulle polemiche

Ferrara Vs monsignor Forte: un’occasione per riflettere sulla spiritualità ignaziana.

A poche ore dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini, LaPorzione.it ha scelto una chiara linea editoriale con «La parola al servizio della Parola»: ricordare senza celebrare, ricordare per non polemizzare.

Scelta lungimirante se nei giorni seguenti, dentro e fuori il web, la morte del cardinale ha innescato un’accesa polemica, con relativo e virulento schieramento delle tifoserie pro o contra Martini. E così è capitato che anche monsignor Bruno Forte sia stato bersaglio – puntato, non centrato­ – della penna polemica di Giuliano Ferrara, in un articolo dal titolo amaro-piccato: «A un vescovo scortese». Ricapitoliamo i fatti. Monsignor Bruno Forte, intervistato dal vaticanista de «Il corriere della sera», Gian Guido Vecchi, ha espresso dissenso per l’articolo di Ferrara «Il gesuita», perchè sbrindella l’etichetta “Martini-relativista” con un’interpretazione distorta del concetto di “indifferenza” contenuto negli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola. È a questo punto che Ferrara risponde a monsignor Forte nel citato articolo: «È sgradevole e offensivo che un vescovo cattolico e teologo come Bruno Forte, titolare a Chieti e Vasto, si comporti in modo intollerante con chi dissente da lui e dai più. Ma ci passo sopra e vado presto al sodo». […] Non posso abiurare. La mia anima, al contrario di tante altre, molte anche anime belle, non è affidata al reggitore della diocesi di Chieti, ma ad una ragione rispettosa della fede degli altri». Monsignor Forte fa sapere che non intende scendere nella polemica e rimanda a quanto già detto su «Il Corriere della sera».

Anche LaPorzione.it non scende nella polemica: ciascun lettore, leggendo gli articoli citati, ha sufficienti strumenti per decidere chi – tra monsignor Forte e Ferrara – sia stato «sgradevole», «offensivo», «intollerante».

Nel pezzo “Il gesuita”, Ferrara ha evocato l’“indifferenza ignaziana” per accusare Martini di relativismo; in “A un vescovo scortese”, citando Pascal, Ferrara ha esteso alla Compagnia di Gesù l’accusa di relativismo in fatto di cultura e morale, esattamente di “criptomachiavellismo“: “carisma” privilegiato dei gesuiti sarebbe riuscire a giustificare con un buon fine qualsiasi mezzo, e, di conseguenza, ricorrere spesso – con indifferenza e relativismo­ – a «mezzi intellettuali acconci alla bisogna».

LaPorzione.it vuole ricordare cosa siano l’”indifferenza ignaziana” e il “discernimento” – parole chiave della spiritualità ignaziana – per capire se e come possano essere utili oggi. Ricorderemo non con Pascal – o con altro Autore relativamente significante rispetto alla questione in oggetto, ma andando alla fonte, agli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: così sceglie un’anima affidata et al «reggitore della diocesi di Chieti» et «ad una ragione rispettosa della fede degli altri».

Che cos’è l’«indifferenza ignaziana»? – Gli Esercizi Spirituali hanno una finalità specifica, indicata da sant’Ignazio nel testo:

«Con questo termine “esercizi spirituali” si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così tutti i modi di preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione della propria vita per la salvezza dell’anima, si chiamano esercizi spirituali». [ES 1]

Gli Esercizi Spirituali, come si legge, hanno una finalità concreta poiché si dice «cercare e trovare la volontà di Dio nell’organizzazione della propria vita»: l’organizzazione concerne le disposizioni concrete delle cose che ci appartengono. Gli attanti degli Esercizi – i tre interlocutori attivamente interessati – sono il direttore degli Esercizi, l’esercitante e Dio; il direttore dà gli esercizi all’esercitante affinché attraverso un lungo e difficile discernimento degli spiriti [cfr. ES 32: «Presuppongo che in me esistano tre tipi di pensieri: uno mio proprio, che proviene unicamente dalla mia libertà e dalla mia volontà; e altri due, che vengono dall’esterno: uno dallo spirito buono e l’altro dal cattivo».] si arrivi ad interpellare Dio, fino al punto di muoverlo a rispondere e ad esprimersi sulle scelte che l’esercitante deve compiere.

Tutto ciò che precede o segue l’elezione serve a preparare o confermare le scelte. In senso stretto, il “mese ignaziano” (l’itinerario completo degli Esercizi Spirituali) è utile sia alle persone che cercano la loro vocazione ed il loro ruolo nella Chiesa e nella società (l’elezione dello stato – religioso, sacerdotale, matrimoniale), sia a quelle che l’hanno già trovato ma desiderano confermarlo e perfezionarlo (in questa ipotesi si parla di riformare la vita).

La prima istruzione di sant’Ignazio sulle elezioni riguarda la Premessa teorica per fare una scelta e l’Avvertenza riguardante le cose sulle quali si deve fare una scelta:

«Premessa teorica per fare una sceltaIn ogni buona scelta, in quanto dipende da noi, l’occhio della nostra intenzione dev’essere semplice, 
avendo di mira unicamente il fine per cui siamo stati creati, cioè la lode di Dio nostro Signore e salvezza dell’anima nostra; così qualunque cosa io sceglierò dev’essere tale da aiutarmi a conseguire il fine per cui sono creato, senza subordinare né tirare il fine al mezzo, ma il mezzo al fine. Accade infatti che molti prima scelgono di sposarsi, il che è mezzo, e poi di servire Dio nostro Signore nel matrimonio, 
mentre servire Dio è fine. Similmente vi sono altri che prima vogliono avere dei benefici [ecclesiastici] e poi servire Dio in essi. Di modo che questi non vanno diritti a Dio, ma vogliono che Dio venga diritto alle loro affezioni disordinate; 
e di conseguenza, fanno del fine il mezzo e del mezzo il fine. 
Sicché quello che dovevano prendere per primo lo prendono per ultimo […]». [ES 169]

In questo paragrafo, Ignazio espone la distinzione tra il fine della vita [cfr. Es 23 – Principio e Fondamento] che è la lode di Dio e la salvezza della propria anima, e i mezzi con cui raggiungiamo quel fine, e cioè gli oggetti su cui verte l’elezione. Ovviamente, non si può confondere la distinzione ignaziana con quella fatta da Machiavelli perché per Ignazio i mezzi devono essere tutti buoni in partenza, non è possibile usare un mezzo cattivo per raggiungere un fine buono, e non si fa discernimento sulle cose cattive. Quale debba essere la natura dei mezzi, subordinati al fine, è ribadito al I° punto dell’Avvertenza riguardante le cose sulle quali si deve fare la scelta:

«È necessario che tutte le cose oggetto della nostra scelta siano indifferenti o in se stesse buone e che siano ammesse nell’ambito della santa madre Chiesa gerarchica e che non siano cattive o in contrasto con essa». [ES 170]

I mezzi, quindi, devono essere solo buoni o indifferenti, tali cioè che possano essere oggetto di una libera scelta non essendo in se stessi cattivi o proibiti.

Dopo aver invitato l’esercitante a riflettere sulle finalità della propria vita, sant’Ignazio presenta una virtù necessaria per fare un buon discernimento, per trovare la volontà di Dio e subito dopo trasformarla in responsabilità personale: l’«indifferenza spirituale». Ecco il testo ignaziano:

«È perciò necessario renderci indifferenti rispetto a tutte le cose create,
in tutto quello che è lasciato al nostro libero arbitrio e non gli è proibito;
in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve, e così via in tutto il resto;
solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati». [ES 23]

L’”indifferenza” è indicata all’inizio del percorso degli esercizi – in Principio e Fondamento – ma in realtà accompagna tutto l’itinerario. Facendo riferimento a quanto detto sul rapporto che debba intercorrere tra il fine e i mezzi, e sulla natura esclusivamente buona che debbano avere i mezzi sui quali verte la scelta, è chiaro che l’«indifferenza» ignaziana non si riferisce al male e al maligno nei confronti dei quali bisogna essere decisi nel rifiuto e nella rinuncia.

L’«indifferenza» è uno stato di piena imparzialità e disponibilità per cui il direttore degli esercizi e l’esercitante, pariteticamente, si predispongono ad essere sensibili e pronti ad inclinarsi al soffio delle mozioni dello Spirito [ES 175], per arrivare alla scelta concreta del meglio (“magis”) qui ed ora: l’esercitante attende dinamicamente la risposta di Dio, il direttore si comporta «come l’ago di una bilancia» non pendendo da nessuna parte, in modo da ascoltare e accogliere l’ispirazione divina. La scelta finale sarà la scelta concreta del meglio qui ed ora per arrivare al bene per cui siamo stati creati, perché con questa scelta coincide la volontà di Dio.

Discernimento ­­– Gli Esercizi, e la spiritualità propria dei gesuiti ­– derivata dall’opera di Ignazio, si caratterizzano come spiritualità della libertà umana che, a colloquio con la libertà divina, si impegna a organizzare la propria vita, scegliendo costantemente il meglio espresso da Dio nell’esperienza storica di ciascuno. (Cfr. Esercizi Spirituali. Introduzione di G. De Gennaro S. I., in, Gli scritti di Ignazio di Loyola, a cura di M. Gioia, UTET, Torino 1988, pp.65-89.)

Per la spiritualità ignaziana, non potrebbe essere altrimenti, i contenuti oggettivi cui si fa riferimento, nel discernimento, sono quelli della rivelazione cristiana, dei dogmi, della liturgia e dei documenti del magistero della Chiesa Cattolica (cfr. ES 42: «Prendendo come punto di riferimento i dieci comandamenti, i precetti della chiesa e le direttive dei superiori, tutto ciò che si fa contro qualcuna di queste parti, è peccato più o meno grave a seconda della maggiore o minore importanza»).

I contenuti oggettivi, però, affinché non rimangano un’astrazione, devono essere vissuti nella vita interiore, e scelti nel concreto dell’esperienza di ciascun credente, di colui che fa discernimento per cercare costantemente la volontà di Dio, e per metterla a servizio di Dio e della storia.

Le modalità soggettive, con cui i contenuti oggettivi della fede sono vissuti nella vita interiore e  inverati nella storia di ciascuno e di tutti, sono relative nel senso che devono sempre  postulare in se stesse il riaprirsi costatante del processo di discernimento per ascoltare la volontà di Dio, per confermarsi o riformarsi nelle proprie scelte. Un discernimento ben fatto, però, non potrà mai relativizzare i contenuti oggettivi della fede, perché esso predispone solo ad ascoltare e scegliere le mozioni dello Spirito. L’unica cosa che garantisce un buon discernimento è il giungere a fare l’esperienza dello Spirito Santo, che certo non può essere contrario alla volontà di Dio.

Il pregiudizio alla rovescia – È inutile nasconderlo, la morte del cardinale Martini ha rappresentato uno di quegli eventi che, ciclicamente, mostrano come nella Chiesa esistano “questioni aperte” – soprattutto in materia di morale e cultura –, e personalità che se ne fanno interpreti – come interlocutori dialoganti con il mondo, perché la spiritualità non è un’astrazione ma è servizio a Dio e testimonianza nella storia. Tutto questo, però, spesso genera equivoci, polemiche, e fazioni che finiscono per tradire l’universalità e la missione della Chiesa.

Gli Esercizi Spirituali, a conclusione di quanto detto, possono ritenersi qui e ora utilissimi, perché ci offrono una metodologia sul come fare discernimento anche su “questioni aperte”, senza arrivare allo scontro. Illuminante, a riguardo, questo passo ignaziano:

«Non si dicano parole oziose; con ciò intendo quelle che non servono né a sé né ad altri o che non sono dirette a tale scopo. Per cui non è mai inutile parlare per tutto ciò che serve, o ha lo scopo di servire, all’anima propria o altrui, al corpo o ai beni temporali: e neppure quando qualcuno parla di cose estranee alla propria condizione, come quando un religioso parlasse di guerre o di merci. Ma in tutto quello che viene detto c’è merito se è ben indirizzato, c’è peccato se indirizzato male o detto inutilmente». [ES 40]

Se la spiritualità non è un’astrazione, avulsa dalla storia di ciascuno e di tutti, la via da percorrere – per un credente qualsiasi come per un Pastore della Chiesa – non può essere un silenzio deresponsabilizzato, distratto, o politicamente corretto, su “questioni aperte”, con un rinvio “meccanico” e sbrigativo al Magistero della Chiesa; la via non può essere anche il tam-tam di parole oziose, tanto più quando sono parole offensive, intolleranti, parole di una parte contro un’altra parte. La via è parlare «per tutto ciò che serve, o ha lo scopo di servire, all’anima propria o altrui, al corpo o ai beni temporali», sì, ma solo dopo aver fatto discernimento, dopo aver interrogato la volontà del Padre, lasciando agire lo Spirito.

E chi ci dice che chi parli, dopo aver fatto discernimento, parli veramente secondo lo «spirito buono», e non secondo lo «spirito malvagio», o esprimendo semplicemente quanto gli detta la propria volontà e libertà? È su questo che bisogna intendersi, per evitare lo scontro e la divisione.

Gli Esercizi Spirituali indicano un principio, precisamente un presupposto antropologico ed epistemologico, che riteniamo essere il contributo più utile per superare lo scandalo odierno, l’eresia di “giocare al cristianesimo”, una tifoseria contro l’altra. È il presupposto del «pregiudizio alla rovescia» che consiste nel dare ­– quando si dialoga in materia di fede – intera disponibilità all’interlocutore, per rendere alla Verità, alla Carità e alla Speranza, il massimo servizio possibile:

«[…] è necessario presupporre che ogni buon cristiano debba essere più disposto a salvare l’affermazione del prossimo che a condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti poiché, dandole il significato giusto, si salvi».

Il «pregiudizio alla rovescia» di Ignazio di Loyola: ricordiamocene, alla prossima polemica.