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La vera storia degli animali sfrattati dal presepe… e molto di più

Una regola ufficiosa del mondo dei libri suona così: le introduzioni si scrivono dopo aver scritto il libro, si piazzano prima del libro e non vengono lette né prima né dopo il libro.

Una sorte analoga sembra essere toccata al terzo tanto atteso volume di Gesù di Nazaret di Benedetto XVI. Terzo volume che, precisa l’Autore, «non è un terzo volume, ma una sorta di piccola sala d’ingresso ai due volumi precedenti, sulla figura e sulla missione di Gesù di Nazaret» (Prefazione*).

Invano l’Autore si premura di ribadire – ancora una volta, dopo due volumi stesi alla luce del medesimo principio – che una retta comprensione del testo sacro procede anzitutto mediante una quanto più possibile esatta conoscenza del valore originario del testo, per chi lo ha scritto e per chi per primo lo ha letto; e che non giunge al suo compimento se non con la seria posizione della questione sul legame che il testo ha col singolo lettore e con la comunità di quanti in ogni tempo e in ogni luogo ascoltano la Parola. Esattezza filologica e attualizzazione spirituale, dunque, ma invano ricordarlo. A leggere i giornali – e speriamo che questo spettacolo venga risparmiato a Benedetto XVI – pare che il Papa abbia voluto a tutti i costi scrivere questo terzo libro al fine di sfrattare l’asinello e il bue dal presepe.

«Stando agli studi di Benedetto XVI infatti – è la bontà della Redazione di ogginotizie.it a ragguagliarci –, nel Vangelo “non si parla di animali”. Quindi nella capanna a Betlemme dove nacque Gesù c’erano solo Giuseppe e Maria, mentre il bue e l’asinello sarebbero frutto di invenzione». Inzuppa il pane nientemeno che Il Messaggero (che si vorrebbe distinguere da certe altre testatine…), andando a intervistare “Marco Ferrigno, uno degli ottanta maestri pastorali più famosi”: «Il Papa ha spiazzato l’artista: “Non mi aspettavo non includesse nel libro le due figure che San Francesco volle nella rappresentazione di Greccio del 1223. Anche se effettivamente gli evangelisti non ne parlano, si suppone che Maria e Giuseppe abbiano viaggiato da Nazareth a Betlemme su un asinello per esempio”». Precipita conclusioni da Scary Movie funweek.it: «Chissà se Benedetto XVI accetterà questa reazionaria decisione o interverrà con qualche bolla papale [sic!] per ridisegnare completamente il presepe natalizio».

E sembrerebbe davvero il copione di qualche trash movie di bassa lega, se non fosse invece la cruda realtà. Evidentemente non era stata una precauzione inutile, riportare di nuovo sul dorsaletto di sovraccopertina uno dei passaggî finali della Prefazione al I volume: «Chiedo alle lettrici e ai lettori solo quell’anticipo di simpatia senza il quale non si dà comprensione». Dev’essere proprio così, e l’antipatia per l’Autore di questi libri dev’essere la sola terza alternativa alla stupidità o alla cattiveria, anche se (a ben guardare) si accorda bene con entrambe.

Visto che il destino del bue e dell’asinello sembra essere diventato il tormentone dell’evento editoriale di Gesù di Nazaret, dedichiamo qualche rigo a ciò che Benedetto XVI ha effettivamente scritto (se a qualcuno interessano i fatti): «La mangiatoia si riferisce – come è stato detto – a degli animali, per i quali essa è il luogo del nutrimento. Nel Vangelo non si parla di animali, a questo proposito. Ma la meditazione accompagnata dalla fede ha colmato molto presto questo buco, richiamandosi a Is 1,3: “Il bue conosce il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore; Israele invece non conosce, il mio popolo non comprende. Peter Stuhlmacher soggiunge a tal proposito che anche la versione di greca di Ab 3,2 recita così: “Tra due esseri viventi tu sarai riconosciuto… Quando arriverà il tempo, ti manifesterai”. Con i due esseri viventi s’intendono chiaramente i due cherubini, che secondo Es 25,18-20 significano e occultano la misteriosa presenza di Dio sul coperchio dell’Arca dell’alleanza. Così la mangiatoia starebbe in qualche modo per l’Arca, nella quale Dio è misteriosamente occultato tra gli uomini, e davanti alla quale per “bue e asino”, per l’umanità di Giudei e pagani, è arrivata l’ora della conoscenza di Dio. Nella meravigliosa connessione di Is 1,3; Ab 3,2; Es 25,18-20 e la mangiatoia i due animali emergono ora come rappresentazione dell’umanità sprovveduta, che giunge alla conoscenza davanti al Bambino, davanti all’umile manifestazione di Dio nella stalla, ed accoglie nella povertà di questa nascita l’epifania che insegna a tutti a vedere. L’iconografia cristiana s’è già da presto appropriata di questo motivo. Nessuna rappresentazione della mangiatoia sarà privata del bue e dell’asinello» (78-79).

Chi rassicurerà, ora, gli autori degli isterici articoletti imperniati sullo sfratto dei protagonisti del bestiario presepiale? Chi si prenderà poi la briga di mostrare loro che ben poco credibilmente sprecherà carta e inchiostro per le sciocchezze da loro scritte e divulgate, chi si augura che il proprio «piccolo libro, nonostante i suoi limiti, possa aiutare molti uomini nel loro cammino verso Gesù e con Gesù» (Prefazione)?

Non è, in effetti, una pia meditazione sul presepe, il “Prologo” della trilogia di Benedetto XVI su Gesù: proprio perché è della persona di Gesù, dalla sua figura e della sua missione, che si vuole parlare, il primo capitolo prende le mosse dall’interrogatorio in cui Pilato chiede a Gesù “Da dove vieni, tu?”, per poi mostrare come in tutti e quattro i Vangeli (fatte salve le diverse impostazioni teologiche, specie tra i Sinottici e Giovanni) la questione della provenienza di Gesù gioca un certo ruolo, non estraneo (per certi versi) all’ironia e al gusto del paradosso. Gesù può costituire scandalo per quelli che sanno di dove viene e, per diversi motivi, per quelli che non lo sanno; parimenti può costituire la molla decisiva della fede per quelli che non lo sanno come per quelli che lo sanno. Il fatto è che il mistero di Gesù, che coincide con la sua missione, è racchiuso in nuce nella sua provenienza.

Per questo motivo, i due evangelisti che più hanno indugiato sulle vicende del Natale e dell’infanzia di Gesù hanno collocato la genealogia del Cristo nei loro Vangeli: Matteo all’inizio dell’intera opera, Luca all’inizio della vita pubblica di Gesù. Qui Ratzinger dà un saggio di rigore metodologico in teologia perché, pur senza polemizzare apertamente, mostra l’unica alternativa ragionevole all’esegesi protestante liberale che – come ha benissimo scritto Cavalcoli – si fa un punto d’onore di essere “moderna”, «soprattutto in relazione al progresso degli studi biblici, i quali però appaiono sempre più ispirati non alla fede già propria di Lutero nella verità assoluta della Bibbia in quanto Parola di un Dio trascendente superiore alla ragione, ma alla convinzione della divinità della stessa ragione del soggetto individuale. Da qui, sempre sulla linea del “libero esame” luterano, il sorgere di una critica biblica, ispirata a Spinoza e Reimarus, su su sino a Lessing, Schleiermacher, Harnack, Wellhausen e Bultmann, che vedeva nella Scrittura, anche se si affettava di credere ancora in Dio, nulla di più che un testo letterario come qualunque altro, totalmente sottoposto al giudizio inappellabile del metodo storico-critico».

Partendo con tali premesse, però, già davanti alle diverse recensioni delle genealogie di Gesù ci si ritrova in un vicolo cieco, perché né la critica textus né la filologia, soprattutto in assenza di qualsivoglia altro riscontro, possono superare lo scoglio di due liste di nomi, incongruenti per dimensione, struttura e contenuto – irriducibili l’una all’altra. La “soluzione” cui pervengono quelli che si vantano di approcciare la Bibbia come l’Odissea è la negazione di ogni attendibilità storica dei testi e, dal momento che non si dà per essi altro senso che quello storico, la negazione di ogni significato del testo. Questo intendeva Ratzinger quando, con sottile finezza ermeneutica, osservava che «la serietà della ricerca storica viene così [con una prospettiva propriamente spirituale] non ostacolata, ma esaltata» (Prefazione).

Le due genealogie rispondono così a due diverse teologie, volta una ad abbracciare “nel segno di Davide” tutte le generazioni umane attraverso tutte le alleanze di Dio con il suo popolo, l’altra a risalire la corrente delle generazioni umane dall’ultimo Adamo, “Figlio di Dio”, al primo Adamo, “figlio di Dio”. Il Papa offre ai lettori anche una deliziosa chicca dell’esegesi proposta da Ireneo di Lione per la genealogia lucana: ancorché “sbagliata nelle premesse”, è sorprendentemente esatta nelle conclusioni!

Gli odifreddini nutriti a pane e MicroMega stupirebbero, a vedere quanto il loro “papa oscurantista” sia versato in epistemologia ed ermeneutica; ma non c’è rischio, non leggeranno – pare che accostarsi alle fonti non sia scientifico

Se però per sbaglio aprissero a caso una delle prime pagine del libro, potrebbero imbattersi nell’audace esegesi “rosa” della genealogia di Matteo, stilata dal “Papa misogino”: «L’albero genealogico di Mattero è un albero di uomini, in cui però sono pure nominate, prima di Maria, quattro donne: Tamara, Rahab, Ruth e “la moglie di Uria”. Perché queste donne compaiono nell’albero genealogico? Secondo quale criterio sono scelte? S’è detto che tutte e quattro le donne sarebbero state delle peccatrici. […] questo non è vero di tutte e quattro. È più importante che tutte queste donne non erano giudee. Così entra mediante loro il mondo dei popoli nella genealogia di Gesù – la sua missione per i giudei e per i pagani diviene visibile» (17-18).

Un volume che si può leggere dopo, a mo’ di ricapitolazione, o prima, a mo’ di introduzione: chi dovesse comprarlo per capire meglio i dettaglî della “riforma del presepe” si troverebbe facilmente deluso, ma pure quello potrebbe scoprire che «vale anche per noi – il nostro vero “albero genealogico” è la fede in Gesù, che ci dona una nuova provenienza, ci fa nascere “da Dio” (23).

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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