Tra lamentele e senso di responsabilità
C’è un’Italia che urla, arrabbiata, stanca, che gioca a riempire il tempo nei bar e le pagine dei social network belando lamentele e rigirando post sempre pungenti verso gli altri, e un’altra parte dello stivale, ugualmente inquieta, che si rimbocca le maniche. C’è una nazione pronta a gridare il “dolore” – spesso di altri – e una piccola parte di essa che lavora nella dignità vagliata dalla sofferenza. Insomma, c’è una popolazione che reclama e brontola, instancabilmente, e un’altra che cerca rimedi negli impegni fattivi.
È la solita storia che si ripete, dalle notizie sulla Sardegna, alle querelle parlamentari, dalle proposte per superare la crisi,
alle discussioni infinite sulle auto blu dei ministri, dall’immondizia sotto casa, fuori dal bidone, alle stesse abitazioni costruite “rubando” qualche metro al progetto (e chi più ne ha, più ne metta), la falsa soluzione è sempre cercare un capro espiatorio; caricare di colpe qualcuno, però, non ha mai risolto, realmente, i problemi, li ha solo accantonati alla coscienza.
E tu da che parte stai? Sì, proprio tu che leggi queste poche e generalizzate battute.
Non vorrei sembrare uno che aggira i problemi, che lascia stare e non condivide lo sciopero o la dimostrazione pubblica, ci sono manifestazioni e manifestazioni (come non condividere quella di ieri, dei malati di Sla?) e del resto non sto parlando di cortei e sfilate, ma delle motivazioni che ispirano le proteste pubbliche e soprattutto quelle private. Torno a pensare che sia arrivata l’ora di non riempire il tempo di chiacchiere – le nostre, non quelle degli altri – e di darsi da fare non tanto, e soltanto, scendendo in piazza con forconi e bavagli, senza nemmeno, talvolta rispettare la libertà degli altri, ma perdendo la faccia nel riconoscere le proprie responsabilità, alzando la voce per “confessare” i propri errori, la personale
mancanza di civiltà, le scorciatoie che sempre ci sono piaciute e di cui, oggi, tutti paghiamo le conseguenze.
“A ogni popolo il Governo che merita”, recita un proverbio, più volte citato in questi giorni. Con saggezza ricorda che le scelte dei “potenti” siano solo il paradigma di un andazzo comune che ci obbliga a puntare il dito, sì, ma, innanzitutto, su
noi stessi e a ricominciare con umiltà il lavoro di “ricostruzione” sociale.
C’è una Italia disperata, che va rispettata, compresa, che vuol rompere tutto, ma c’è una sola speranza, una sola via di uscita:
ricominciare da noi.