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“Convertiamoci, ricominciamo da capo rimettendo al centro la vita interiore”

"Molto mondanizzati dentro le beghe di questo mondo - osserva l'arcivescovo Valentinetti -, noi possiamo perdere di vista che siamo chiamati ad una vita interiore e quest'ultima semina la santità dentro la nostra storia, dentro la storia della Chiesa, dei nostri fratelli, dei nostri amici, dentro la storia della nostra comunità ecclesiale, dentro la storia della Chiesa e dentro la storia del mondo intero"

Lo ha affermato l’arcivescovo Valentinetti, presiedendo la santa messa di Ognissanti nella Cattedrale di San Cetteo

«Credo che, inevitabilmente, se siamo onesti dobbiamo metterci in un atteggiamento di conversione». Lo ha affermato lunedì sera l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti presiedendo, nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara, la santa messa della solennità di Ognissanti nella Giornata della santificazione universale: «Tornare a convertirsi – puntualizza il presule – non significa cambiare qualcosa, ma significa tornare sui propri passi, ricominciare da capo. Io credo che questo sia un cammino fondamentale per i nostri gruppi, per le nostre associazioni, per i movimenti, per le parrocchie. Avere il coraggio di ricominciare da capo, per rimettere al centro la vita interiore».

Ciò per l’arcivescovo Valentinetti produce due conseguenze fondamentali immediate: «La beatitudine della misericordia e la beatitudine degli operatori di pace. Non a caso queste due beatitudini sono poste l’una accanto all’altra e sono al centro della narrazione delle beatitudini e ne rappresentano la chiave d’interpretazione. Dunque, essere operatori di pace, essere puri di cuore per essere misericordiosi, perché nel ministero della misericordia e nel ministero della pace si edifica quel mondo nuovo, quella santità nuova di cui il mondo ha bisogno».

Partendo da questo presupposto, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha posto una domanda: «Ma se noi non siamo capaci di essere operatori di pace – interroga -, quale santità annunciamo ai fratelli? E qui la strada si fa difficile, capisco, perché si può fare angusta, si può fare spericolata, ma questa è la strada che ci fa prendere coscienza che, forse, questo è il nostro “lavare le nostre vesti nel sangue dell’Agnello”, essere capaci di riprendere coscienza di questa figliolanza con cui noi apparteniamo a Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze».

Da qui l’auspicio di monsignor Tommaso Valentinetti: «Che il Signore – confida – conceda a tutti noi di fare questo cammino, di metterci in questa logica. Papa Francesco ce lo sta ripetendo in maniera molto precisa e molto chiara, ma intrecciare relazioni, curare ferite, avere il coraggio di sognare, di pensare a mondi nuovi, a realtà nuove – così come ci chiede il testo del documento preparatorio dell’itinerario sinodale. Che sia oggi la nostra sfida a vivere una rinnovata conversione per essere sempre secondo il cuore di Dio. E allora sì, “saliremo il monte del Signore e vedremo quel volto”».

Un riferimento, quest’ultimo, alle letture della solennità di Ognissanti: «Siamo stati preceduti nel tempo – ricorda il presule – da una generazione che ha cercato incessantemente il volto del Signore. “Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore. Signore il tuo volto io cerco, mostrami il tuo volto”. Il libro dell’Apocalisse, la pagina di San Giovanni Apostolo, ci ha fatto contemplare questa moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni tribù, popolo e lingua, che sta in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide che urlano a gran voce che Colui che ha dato ad essi la possibilità di vedere quel volto è Dio, è l’Agnello. Siamo stati preceduti e siamo stati coinvolti in questa moltitudine immensa che oggi la Chiesa contempla nella celebrazione di Tutti i santi, ognuno per la sua strada, ognuno col suo carisma. Chi realmente ha dovuto lavare le vesti del sangue dell’Agnello, in un modo o in un altro, si è messo alla sequela dell’Agnello per poter esprimere, nella propria vita, l’obbedienza a quella chiamata che il Signore aveva fatto e che fa a tutti, la chiamata alla santità».

Ma la domanda per noi che siamo quaggiù, per noi che siamo ancora in cammino, a detta dell’arcivescovo, ce la pone il salmo: «“Chi potrà salire sul monte del Signore?” “Chi potrà stare nel suo luogo santo?” L’inquietudine del salmista di fronte, forse, alla magnificenza, alla bellezza di quel monte santo, in cui Javhè è apparso per dare la legge a Israele che non riusciva, molte volte, a seguire il Signore. Spesso preso dagli idoli, molte altre volte pervertito dietro il proprio esistere, anche politicamente, ma non riusciva a salire di nuovo quel monte del Signore. La risposta è “Chi ha mani innocenti e cuore puro”. È dunque il punto di partenza per poter, in qualche modo, sperare di far parte anche noi – dando obbedienza alla chiamata alla santità – di quel popolo di segnati che nessuno poteva contare e ripartire proprio da lì. La purezza del cuore “Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio”».

Ovvero la purezza della propria interiorità: «Questa beatitudine, molte volte, scambiata solo e unicamente in vista di una castità del corpo, forse dice qualcosa di molto più profondo. Una purezza del cuore, una purezza dell’anima, una purezza dei pensieri, una purezza dello sguardo che cerca di guardare all’altro con amore, che cerca di guardare al fratello non con sospetto, che cerca di guardare a chi ci sta accanto, a chi ci percorre vicino la nostra stessa strada o chi sta andando per strade diverse. La possibilità non di un giudizio moralistico, ma di ricondurre alla coscienza che tutti, fin d’ora, siamo figli di Dio. Anche se non ci è ancora stato manifestato ciò che saremo, ora siamo figli di Dio e lo siamo realmente, ma non per nostro merito, ma perché è Lui che ci ha chiamati. Dunque, credo che il centro di questa riflessione debba andare proprio alla ricerca di una verifica della nostra vita interiore, perché da lì parte la santità. Molto mondanizzati dentro le beghe di questo mondo, noi possiamo perdere di vista che siamo chiamati ad una vita interiore e quest’ultima semina la santità dentro la nostra storia, dentro la storia della Chiesa, dei nostri fratelli, dei nostri amici, dentro la storia della nostra comunità ecclesiale, dentro la storia della Chiesa e dentro la storia del mondo intero».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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