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Caritas: “Siamo un pezzo di Chiesa, non un’agenzia di servizi”

"Noi siamo un pezzo di Chiesa - ricorda don Marco Pagniello, responsabile Area welfare e politiche sociali di Caritas italiana - e siamo chiamati, come Caritas diocesane e delegazioni regionali, ad essere lievito dentro le nostre Chiese diocesane, perché abbiamo da consegnare, da condividere meglio uno stile, che ancora oggi è fondamentale, soprattutto in questo tempo di cammino sinodale. L'attenzione all'inclusione, l'attenzione a camminare insieme, l'attenzione all'ascolto, l'attenzione al discernimento, rappresentano il nostro patrimonio di questi 50 anni"

Lo ha affermato l’arcivescovo Valentinetti, il 30 ottobre scorso, nelle conclusioni del Giubileo degli operatori della carità al Santuario di San Gabriele

Monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne e delegato Ceam al Servizio per la carità

Tornare alla radice, alla fonte, per rilanciare il cammino della Caritas dopo i suoi primi 50 anni di servizio pastorale all’interno della Chiesa italiana. È questo l’obiettivo rilanciato, lo scorso sabato 30 ottobre, dall’arcivescovo di Pescara-Penne e delegato della Conferenza episcopale abruzzese e molisana (Ceam) al Servizio della carità monsignor Tommaso Valentinetti, tirando le conclusioni del Giubileo degli operatori della Carità e dei volontari vissuto nel Santuario di San Gabriele dell’Addolorata ad Isola del Gran Sasso. Un appuntamento, che ha visto la partecipazione di centinaia di operatori pastorali e volontari, organizzato nell’ambito dell’anno giubilare per le celebrazioni del centenario della canonizzazione del santo patrono dei giovani e dell’Abruzzo: «Che cosa sogno? – s’interroga l’arcivescovo Valentinetti – Incastonare la nostra Caritas nei percorsi sinodali delle nostre diocesi, dove le parole chiave sono partecipazione, comunione e missione, così come la Segreteria generale del Sinodo ha delineato nel suo documento preparatorio, che sono l’argomento al centro del Sinodo dei vescovi 2023. Se avete letto questo testo – continua rivolgendosi ai delegati Caritas presenti – alla fine ci viene detta una novità… “Questa consultazione non serve per fare documenti” e tutti quanti abbiamo tirato un grande respiro di sollievo, perché ne abbiamo già troppi, ma serve per tessere relazioni, per guarire ferite, per costruire percorsi, per suscitare domande e via di questo passo. Una tessitura profonda della comunità cristiana, in relazione alla tessitura dentro la società. Questo è quello che ci viene chiesto. Ora credo che, più di ogni altra realtà pastorale delle nostre comunità diocesane, debba essere proprio la Caritas la protagonista di questa verità e dell’essere capace di intessere sogni, di curare ferite, di preparare relazioni. Io sogno che da questa verifica, che abbiamo fatto per i 50 anni di Caritas italiana, possa venir fuori innanzitutto una coscienza più rinnovata».

I delegati Caritas d’Abruzzo e Molise nel Santuario di San Gabriele

E per fare questo, dunque, è necessario tornare alla fonte, ma non solo: «La prima cosa – rileva l’arcivescovo Valentinetti – è la comunione che si fonda sul nostro incontro con Gesù. Senza l’incontro con Lui, il Risorto, Colui che è il Signore della nostra vita e della nostra esistenza, è perfettamente inutile pensare a qualcosa che sia significativo. Corriamo il rischio di diventare un’agenzia di servizi o sociale. Ma noi non siamo questo, siamo un organismo pastorale al servizio delle comunità pastorali parrocchiali e diocesane, perché la carità, l’amore per il Signore e per il prossimo sia vissuto da tutti. Io sogno che, quanto prima, centri d’ascolto, mense ed empori li chiuderemo, perché ci saranno famiglie che inviteranno poveri e migranti a casa. Se non si fa questo salto di qualità e non facciamo un’opera di promozione della carità sul serio, rischiamo di andare a coprire spazi che poi sono quelli di supplenza. Questo non vuol dire abbandonare i progetti che abbiamo in essere, perché l’animazione può avvenire anche attraverso una progettualità condivisa, ma che sia realmente la prima cosa quella di tornare ad essere strumenti di relazione dentro le nostre Caritas parrocchiali e diocesane. E per fare questo, l’incontro con il Signore, l’incontro con la Parola. Ricordo i sussidi di tanti anni fa della Caritas, che oggi sono andati scemando. Erano molto ficcanti e ci proponevano innanzitutto un itinerario di preghiera e di adorazione eucaristica. Non voglio fare il “santocchiaro”, perché non lo sono, ma sul serio se non ripartiamo da questo, abbiamo problemi a ridire questa testimonianza, perché siamo testimoni».

Una testimonianza che non può avvenire se non insieme: «Consentitemelo come Delegazione Caritas Abruzzo-Molise – ammonisce il presule -, lo dico fraternamente ai direttori delle Caritas diocesane. Dobbiamo agire insieme ed essere un po’ più partecipativi alla vita della Delegazione perché, altrimenti, la fatica diventa tanta e non ci ritroviamo negli schemi fondamentali. Senza voler cadere nelle organizzazioni immani, ma la Delegazione deve funzionare perché da essa può nascere questo impulso ad una testimonianza, con la coscienza che siamo un pezzo di Chiesa, ma un pezzo di Chiesa in trincea perché i poveri che incontriamo li possiamo anche andare a cercare noi. Non dimentichiamo che essi non li dobbiamo solo aspettare, ma li dobbiamo andare a cercare là dove sono. E in giro ce ne sono tanti, magari nascosti, soli, invisibili, ma ci sono i poveri. La lezione della San Vincenzo non ce la dobbiamo dimenticare. Le visite domiciliari a casa dei poveri, perché questi vanno accompagnati, custoditi e animati all’interno della comunità».

Quindi l’arcivescovo delegato Ceam al servizio della Carità ha richiamato le Caritas parrocchiali e diocesane al loro compito di farsi portavoce dei diritti di cui sono portavoce i bisognosi: «Siamo coscienza critica nei confronti dello Stato e della Regione – ricorda monsignor Valentinetti -. Dobbiamo studiare cosa comporta una legge nazionale o regionale nel nostro contesto, per la vita delle famiglie, per la vita dei poveri. E qui la chiara coscienza di cosa siamo noi. Un’animazione che non vuol dire essere portatori di bandiere, fare scioperi e andare in piazza, ma significa far recuperare uno spazio profetico alla Caritas nazionale elle Caritas parrocchiali e diocesane senza timore, senza paura. Non con maleducazione e contestazione, ma con la presenza di una riflessione fatta di dati, di certezze che possono aiutare anche chi ci governa a fare bene il proprio dovere. Su questa strada dobbiamo lavorare sicuramente tanto».

L’intervento di monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo-Atri

Conclusioni, quelle dell’arcivescovo Valentinetti, arrivate al culmine di una giornata densa di riflessioni e iniziata con l’attraversamento della porta santa presso il vecchio santuario di San Gabriele. Quindi il convegno avviato dai saluti del vescovo di Teramo-Atri, monsignor Lorenzo Leuzzi: «Questo giubileo – sottolinea il presule – è tra i più importanti e significativi tra quelli vissuti nel santuario in questo momento di ripartenza. Questo perché il ruolo degli operatori della carità e dei volontari non è solo una testimonianza significativa nella Chiesa, ma soprattutto un grande servizio per aiutare le nostre comunità a ripartire con fiducia, senza sentirsi soli grazie alla vostra presenza silenziosa, nascosta, che davvero è una grande dono per tutti. Io vi auguro di vivere questo pellegrinaggio come una grande momento di impegno, ma soprattutto di rinnovata creatività per trovare vie nuove per aiutare la Chiesa e tutta la società a vivere con fiducia il proprio futuro. Tutti insieme, guidati dall’intercessione di San Gabriele, iniziamo questo giorno con l’augurio di ripartire da questo santuario con maggiore impegno e maggiore entusiasmo di servire i nostri fratelli». Con l’occasione, monsignor Leuzzi ha presentato la sua pubblicazione dal titolo “Allargare gli orizzonti della carità. Invito alla lettura dell’enciclica Fratelli tutti”, scritta in occasione del 50° anniversario della fondazione di Caritas italiana: “L’enciclica Fratelli tutti – scrive il vescovo di Teramo-Atri – propone alla Chiesa e alla società una via nuova, quella di accogliere la novità del cambiamento d’epoca allargando gli orizzonti della carità”. Quest’ultima “è la via per rispondere alla mancanza di pensiero e per costruire la civiltà dell’amore”.

La biblista Rosalba Manes tiene la lectio divina

A seguire è stata la biblista Rosalba Manes ad aiutare i delegati Caritas a tornare all’essenza del proprio ruolo, ripartendo dalla Parola di Dio e tenendo una lectio divinadal titolo “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20) – sull’episodio biblico della guarigione dello storpio alle porte del Tempio: «Con una “mano lunga” rispetto al corpo – approfondisce la biblista -, Pietro afferra lo storpio che ha lo stesso colore della terra. L’uomo umiliato che deve dipendere dagli altri, icona dell’umanità, del mondo, ma anche della Chiesa quando funziona solo con le proprie forze, come se fosse essa a produrre la salvezza. Invece questo afferrare lo storpio dice proprio il movimento dell’amore di Cristo, che possiede gli apostoli. L’amore di Cristo ci possiede, io vorrei consegnare questo messaggio, il quale emerge dalla Parola di Dio, che anche noi possiamo essere una Chiesa posseduta non dall’attaccamento alle cose, ai titoli, agli incarichi, ma posseduta dall’amore di Cristo. Quest’amore ci spinge, un amore che abbiamo ricevuto gratuitamente da Dio nella concretezza della nostra vita, attraverso i gesti di gratuità, i gesti d’amore, nella liturgia mediante l’ascolto della Parola, la comunione al corpo e al sangue di Cristo. Questo amore, che scorre malgrado i nostri peccati, i disastri della storia, le pandemie, continua a scorrere di generazione in generazione perché è fede inossidabile. Anche noi possiamo sperimentare l’abbraccio dell’amore di Cristo, come gli apostoli, che ci spinge a trasmetterlo e a farlo passare in tutte le liturgie della nostra vita, nel servizio ecclesiale, nel nostro lavoro, nella cura delle nostre relazioni. E anche noi, come Pietro e Giovanni, possiamo sollevare un fratello o una sorella con un gesto d’amore, ricordandoci che Cristo è l’amore che vince la morte il dolore e dà senso ad ogni nostra prova, che asciuga le nostre lacrime».

Il punto centrale dell’evento giubilare, è stata poi la riflessionedal titolo “Il nostro agire insieme nei 50 anni di Caritas italiana”del responsabile dell’Area welfare e politiche sociali dell’organismo pastorale della Cei, don Marco Pagniello: «Abbiamo fatto lo sforzo – afferma il presbitero – di rileggere la nostra storia, di comprendere quanto Dio ha fatto attraverso i “sì” generosi non solo dei padri fondatori, come San Paolo VI, ma anche dei tanti fratelli e sorelle che in questi 50 anni, in tutto il nostro territorio, ci hanno permesse di essere un segno concreto di questo amore che deve possederci. E il ritorno all’interiorità è uno dei primi impegni che vogliamo assumerci gli uni con gli altri, proprio dopo questo nostro giubileo. È importante tornare sempre alla fonte, ridare senso e capire il significato di ciò che siamo capaci non di fare, ma di essere. Essere servi gli uni degli altri, così come il Signore ci ha insegnato. Cinquant’anni di Caritas italiana cosa ci hanno insegnato? Tante consapevolezze e tanti impegni. La prima grande consapevolezza è che noi siamo un pezzo di Chiesa. Lo dobbiamo dire, perché il rischio – anche all’interno della nostra Chiesa – è di venire percepiti per qualcos’altro rispetto alla Chiesa. Noi siamo un pezzo di Chiesa e siamo chiamati, come Caritas diocesane e delegazioni regionali, ad essere lievito dentro le nostre Chiese diocesane, perché abbiamo da consegnare, da condividere meglio uno stile, che ancora oggi è fondamentale, soprattutto in questo tempo di cammino sinodale. L’attenzione all’inclusione, l’attenzione a camminare insieme, l’attenzione all’ascolto, l’attenzione al discernimento, rappresentano il nostro patrimonio di questi 50 anni. Siamo un pezzo di Chiesa, non un’organizzazione sociale, senza nulla togliere a queste realtà».

Don Marco Pagniello, responsabile Area welfare e politiche sociali di Caritas italiana

Un essere “un pezzo di Chiesa” ribadito anche da Papa Francesco che, in occasione dell’udienza per i 50 anni di Caritas italiana, ha lasciato tre vie da seguire all’organismo pastorale della Cei: «Il Papa – sottolinea don Pagniello – ci ha riconsegnato il mandato che Papa Paolo VI ci donò 50 anni fa, ovvero di seguire la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. Partire dal Vangelo, ridare il senso, ridarci il senso del nostro essere chiamati ad essere operatori di carità, ad essere testimoni di una presenza altra. Per quanto riguarda la via degli ultimi, il Pontefice ci ha chiesto di leggere la realtà con gli occhi dei poveri, che non significa semplicemente fare l’elenco dei bisogni, ma essere tutti umili e non assumere un atteggiamento di superiorità. Leggere la realtà con gli occhi dei poveri, significa anche spostare l’attenzione dai bisogni per considerare coloro che si rivolgono a noi anche portatori di risorse e di diritti. Il Papa, nel quinto messaggio, per la Giornata mondiale dei poveri lo ha detto chiaramente “I poveri hanno da insegnarci, hanno da indicarci delle vie, hanno da mettere a disposizione qualcuno o qualcosa. I poveri sono portatori di diritti”. Una delle opere più grandi che abbiamo svolto in questo tempo di pandemia, non è stata quella di offrire un pasto caldo o un posto letto, ma quella di accompagnare le persone in difficoltà le quali avevano bisogno di sperimentare una presenza e un volto di Chiesa che mettesse a rischio anche la propria salute per accompagnare. Un accompagnamento che ha portato fratelli e sorelle anche ad esigere i propri diritti. Pensiamo a tutte le misure che lo Stato italiano ha messo in atto in questo tempo, le nuove forme di sostegno. Molti ci hanno testimoniato come, se non ci fossero stati i volontari, non sarebbero riusciti ad avere quel sussidio. Il grande lavoro dell’accompagnamento. Da qui anche la via della creatività, che fa eco alla famosa “creatività della carità” di Giovanni Paolo II. Una carità che però nasce e affonda le sue radici nella Parola che sceglie, come ambito di sviluppo, di crescita, non soltanto quello ecclesiale, con una Chiesa che vuole essere creativa anche all’interno della società. È il tempo delle alleanze, è il tempo in cui siamo chiamati a sperimentare che non bastiamo a noi stessi e che non dobbiamo fare tutto noi. Essere creativi vuol dire liberare la fantasia della carità, ma anche essere capaci di costruire nuovi percorsi di servizio ai poveri scoprendoci bisognosi gli uni degli altri, scoprendo nuove forme di essere nella Chiesa e nel mondo. Penso che questa sia una delle grandi lezioni della pandemia».

Partendo dalle linee guida di Papa Francesco, il responsabile dell’Area welfare e politiche sociali di Caritas italiana ha indicato tre piste di lavoro: «La prima – elenca – è che siamo chiamati a un ascolto che, però, deve portare al cambiamento sia in noi che ascoltiamo sia in chi viene ascoltato. Il rischio più grande che abbiamo corso in questi ultimi anni, è stato quello di cadere nell’assistenzialismo. È la prima forma di cambiamento è l’accompagnamento. L’ascolto che si limita semplicemente a dare cose, rischia di essere assistenzialismo. La Caritas, da statuto, è per la promozione umana. Dobbiamo ricordarcelo. Però lo dico a me stesso e lo dico a voi, l’accompagnatore è colui che tende nel tempo a scomparire, non creando dipendenza. Infine bisogna dar vita ad un’azione sociale corale, lavorando insieme in equipe. Una scelta, quest’ultima, che ha sempre contraddistinto il lavoro della Caritas».

Corrado De Dominicis,, delegato Caritas Abruzzo-Molise

A moderare il confronto, in questo Giubileo degli operatori della carità e del volontariato, è stato il delegato della Caritas Abruzzo-Molise – nonché direttore della Caritas diocesana di Pescara-Penne – Corrado De Dominicis, che ha concluso ufficialmente l’appuntamento: «Questo incontro – commenta – per noi è stato un momento di verifica e di ripartenza. Festeggiare un giubileo significa proprio fermarsi per riflettere, per verificarsi e ripartire con ancora più slancio. E ripartire nell’itinerario sinodale per essere sempre più inclusivi, coloro che partono, accompagnano e fanno vivere le persone nella dimensione della comunione, che scaturisce dall’incontro con Gesù».

Foto-servizio: Padre Vincenzo Fabri, Santuario di San Gabriele dell’Addolorata

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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