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Generazione Telemaco

Una prospettiva per capire il rapporto tra genitori e figli dopo il tramonto del “pater familias”.

Il gruppo marmoreo “Enea, Anchise e Ascanio”, conservato nella Galleria Borghese a Roma, fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini nel 1619. Il soggetto è tratto dall’Eneide di Virgilio: Enea fugge da Troia in fiamme, portando sulle spalle il vecchio padre Anchise e tenendo per mano il figlioletto Ascanio. Si tratta di una statua “a torre”, con un evidente slancio verticale: nella parte più alta Anchise porta in mano il cosiddetto“keramos troikos”, con le ossa degli avi e con sopra le statuette dei Penati troiani (il simbolo della Patria abbandonata); al centro si trova Enea – il futuro fondatore di una nuova civiltà – che sorregge il padre; più in basso, al piccolo Julo Ascanio, chiamato a fondare la gens julia e a regnare nel Lazio, è posto in mano il più importante “pignus imperii”, il fuoco eterno di Vesta con il quale accenderà la nuova vita di Roma. A parte il pregio artistico, è affascinante la portata simbolica di questo gruppo marmoreo. È un’immagine compiuta e potente del grande “pater familias”, una figura simbolica della funzione dell’autorità genitoriale: la catena delle generazioni attraverso cui di padre in figlio si tramanda sempre un “regno”, un’eredità di geni e di beni, capace di generare dal passato il futuro. Nell’opera di Bernini, la catena delle generazioni mi sembra rappresentata da due elementi: a) la differenziazione generazionale, resa mirabilmente dalla caratterizzazione delle epidermidi: la pelle morbida e rosata del bambino, quella tesa che riveste i muscoli dell’uomo adulto, e quella avvizzita e rugosa del vegliardo; b) la diversità degli atti educativi: Anchise è il depositario della tradizione; Enea è il medium che sostiene la tradizione e accompagna il futuro; Ascanio è l’erede che si affida al presente e al passato, ma stringendo già un impegno di futuro tra le mani.

Gli psicoanalisti, e non solo loro, sarebbero concordi nel sentenziare che questo modello “a torre” dell’autorità genitoriale sia ormai eclissato, irrimediabilmente tramontato. Questo sarebbe il tempo dell’«evaporazione del padre» [1]: all’autorevole e verticale differenziazione generazionale, si è sostituita la caricaturale e orizzontale inversione generazionale di padri che fanno i figli e di figli che fanno i padri. Si fa riferimento a quei genitori che abdicano alla loro funzione, non perché abbandonino i loro figli o non si prendano cura delle esigenze di questi, ma perché sono troppo simili, troppo prossimi, troppo vicini ai loro figli: si assimilano simmetricamente alla giovinezza dei loro figli e nessuno vuole assumersi il peso dell’atto educativo. Al “genitore-figlio”, specularmente, corrisponde il “figlio-genitore”: anziché adattarsi alle leggi simboliche e ai tempi della famiglia, è il “figlio-genitore” che impone al nucleo familiare di modellarsi intorno alle proprie esigenze. Nelle odierne società, insomma, il modello educativo “a torre” sembrerebbe definitivamente evaporato, per lasciare posto all’appiattimento generazionale di padri che fanno i figli e di figli che fanno i padri (“figlio-Narciso”), oppure allo scontro generazionale di figli contro padri – emblema più del recente passato che di questo nostro presente (“figlio-Edipo”). Le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori. Secondo questa prospettiva, potremmo immaginare che lo stesso Bernini, se dovesse rappresentare oggi quel gruppo marmoreo, si troverebbe spaesato: chi è il padre? Chi è il figlio? Chi è il sostegno? Esiste ancora un “regno” da ereditare?

Massimo Recalcati, psicoanalista tra i più noti in Italia, nel libro Il Complesso di Telemaco [2], ci offre una prospettiva capace di superare la rassegnata constatazione dell’«evaporazione del padre». La sua tesi è che il nostro tempo, dopo l’indubitabile tramonto dell’autorità simbolica del pater familias, non sia tanto sotto il segno di “Edipo” né di “Narciso” ma sotto quello di “Telemaco”. Telemaco è il figlio di Ulisse, il giovane cui Omero fa dire nell’Odissea: «Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre» (canto XVI). Telemaco guarda il mare, scruta l’orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre – che non ha mai conosciuto – ritorni per riportare la Legge nella sua isola, dominata dai Proci che gli hanno occupato la casa e che godono impunemente e senza ritegno delle sue proprietà. Seconda la prospettiva di Recalcati, anche le nuove generazioni «guardano il mare aspettando che qualcosa del padre ritorni». Certo, nel nostro tempo dal mare non sembrano tornare flotte vincitrici, padri-ideali, eroi invincibili; piuttosto, tornano padri fragili, vulnerabili, insegnanti precari, disoccupati, migranti, lavoratori. Dall’altra parte, però, anche la domanda di padre che attraversa il disagio della giovinezza non è una domanda di potere e disciplina, di padri-ideali, tantomeno di padri-padroni. I figli aspettano che tornino dal mare “padri-testimoni”, capaci di gesti, di scelte, di passioni, capaci di testimoniare che la vita può avere un senso. In fondo, lo stesso Ulisse omerico, prima di essere eroe, è un testimone di come alla vita si possa stare con desiderio e responsabilità. Ulisse non torna a Itaca solo per ristabilire l’autorità e la disciplina della Legge, ma anche per mantenere fede al suo desiderio (ritornare da Penelope) e alla sua responsabilità paterna (ritornare da Telemaco). Le nuove generazioni aspettano dai padri la donazione della testimonianza che umanizza la vita. E questo significa, per esempio, non avere progetti sui propri figli, non esigere che diventino ciò che le nostre esigenze narcisistiche si attendono, ma significa trasmettere alle nuove generazioni la fede nei confronti dell’avvenire, la fede verso la loro capacità di progettare il futuro. Telemaco, però, non si limita solo ad attendere e invocare il padre ma agisce, si mette in moto. Nel racconto omerico, è solo al ritorno di un viaggio irto di pericoli – sopravvivendo al rischio della sua morte – che Telemaco potrà incontrare suo padre nella capanna dell’umile porcaio Eumeo, senza averlo riconosciuto in un primo tempo [3]. Il viaggio di Telemaco insegna alle nuove generazioni che i giovani hanno bisogno di padri capaci di etica, che sappiano dare speranza e ispirare fiducia, ma nessun padre ci potrà mai risparmiare il viaggio pericoloso e senza garanzia per ereditare il nostro avvenire.

Quest’articolo è dedicato a tutti i padri-genitori, ai padri adottivi, ai padri spirituali, agli insegnanti, agli adulti capaci di testimoniare ai giovani come si possa stare al mondo con desiderio e allo stesso tempo con responsabilità. E ai giovani, come Telemaco, che «guardano il mare aspettando che qualcosa del padre ritorni», perché «qualcosa torna sempre dal mare».

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[1] Cfr. J. LACAN, Nota sul padre e l’universalismo, in, “La psicoanalisi”, n.33, Astrolabio, Roma 2003, p. 9.

[2] M. RECALCATI, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli Editore, Milano 2013.

[3] Cfr. OMERO, Odissea, canto XVI: «E Telemaco, abbracciando il padre glorioso, versava lacrime fitte. Entrambi avevano voglia di piangere, e piangevano forte, gemendo più degli uccelli, più delle aquile o degli avvoltoi dagli artigli ricurvi a cui i contadini rubarono i piccoli prima che avessero messo le ali. Così, pietosamente versavano lacrime da sotto le ciglia».

[4] Immagine: Telemaco Signorini, Marina a Viareggio (1860).