Ultime notizie

Giochiamo con la disabilità

I giocattoli sono uguali per tutti, disabili e non.

«Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. E’ una strategia rivoluzionaria quella di lavorare su e con i bambini come futuri uomini»

10635832_547988891967389_2238135165880606804_nQuesta frase di Bruno Munari riassume bene la sfida culturale e commerciale lanciata da LAM!-Look at me! (“Guardami”), l’azienda tutta italiana – per la precisione, di Gorizia – che realizza giocattoli accessibili per tutti, bambini normodotati e disabili. Niente distinzioni o giocattoli che creino differenza tra categorie. Le fondatrici – Anna Devecchi e Giovanna Culot – sono di Gorizia; sono amiche dall’età di otto anni, erano nello stesso gruppo scout; sono giovani, poco più di trent’anni; sono donne e mamme; sono professioniste, entrambe con un curriculum di alta formazione, rispettivamente nel settore del design e della gestione aziendale. Nel febbraio del 2014 fondano una start up, poi a giugno LAM! vince il primo premio di 12.000 euro al contest FVG LABOR, promosso dall’UPI in Friuli Venezia Giulia, e da start up diventa una srl a settembre.

Perché creare un giocattolo uguale per tutti? Perché bambini normodati e disabili dovrebbero possedere lo stesso oggetto? LAM! risponde con motivazioni ponderate, conquistate, studiate insieme a diverse professionalità coinvolte nel progetto, acquisite attraverso un’esperienza diretta della disabilità infantile e dei problemi delle famiglie di bambini disabili; insomma, risposte vincenti perché poco hanno a che vedere con il facile, vuoto e improduttivo slogan trito e ritrito “perché siamo tutti uguali”, che è tanto speculare, quanto inutile, a quell’altro “siamo tutti diversi”.

L’azienda si chiama “Guardami”, e non deve essere un caso se tutto è iniziato dalla capacità di Anna di guardare, come ricorda la stessa in una intervista: «Mi sono accorta che non esistevano giocattoli studiati secondo il principio del design for all, ovvero di prodotti progettati con la peculiarità di essere fruibili contestualmente da bambini cosiddetti normodotati e da bambini con disabilità». Per i bambini disabili, prima di LAM!, esistevano solo ausili terapeutici o giocattoli riadattati dalle cliniche, tra l’altro non sempre accessibili a prezzi contenuti. Da questa buona osservazione, lo sguardo delle fondatrici si è allargato – in maniera tutt’altro che scontata, visto il solito andazzo – sulle famiglie dei bambini disabili, coinvolte direttamente nel progetto. Proprio dalla sinergia con le famiglie dei disabili – ci pare di capire leggendo le dichiarazioni rilasciate dalle fondatrici –, le stesse hanno maturato l’intuizione veramente vincente di tutto il loro progetto: il problema più grande da risolvere, quando si parla di disabilità, è la scarsa consapevolezza in tutti. La famiglia che, improvvisamente, scopre di avere un bambino con qualche difficoltà motoria, cognitiva, sensoriale, si trova sempre impreparata e sola. Nessuno insegna prima cosa significhi imbattersi in questa realtà: s’impara a fatica solo dopo, qualora ci si dovesse trovare nella malaugurata circostanza di doverlo fare. La disabilità, a questo punto, non può essere altro che una “malattia”, peggio ancora un “problema medicalizzato”, da risolvere attraverso gruppi di esperti, di psicologi, medici, molteplici figure professionali. Se prima non è un problema “mio”, dopo diventa un problema che mi deve risolvere un “altro”. Se questo vale per le famiglie, anche le persone che non sono in contatto diretto o costretto con bambini disabili non sanno come comportarsi, e l’inadeguatezza diventa più forte della tanto imputata indifferenza. La gente che non è in contatto con la disabilità, soprattutto quella infantile, spesso ne ha quasi paura, teme un confronto, non sa come comportarsi, e quindi adotta la strategia del “non guardare il disabile perché non è educato e non sta bene”. Da qui l’idea “LOOK AT ME!” quindi “GUARDAMI!”, come a dire: «ci sono anch’io, non distogliere lo sguardo, ma assieme troviamo un modo per risolvere i problemi e crescere insieme, con le stesse opportunità». Tutti i bambini hanno diritto al gioco per il loro sviluppo globale, per questo LAM! crea giocattoli accessibili a tutti. Come nel caso delle barriere architettoniche, gli accorgimenti da attuare per rendere i giochi in commercio fruibili dal maggior numero di persone sono particolari ma sono pochi. Questa è la vera sfida dell’azienda: apportando pochi cambiamenti sui giocattoli in commercio, è capace di abbattere i costi di produzione e rendere il gioco desiderabile da tutti, bambini normodotati e disabili. Le famiglie dei bambini disabili non devono impazzire per adattare un gioco sul mercato, e tutti i bambini sono messi nelle condizioni di giocare con lo stesso oggetto.

E allora torniamo alla domanda: Perché creare un giocattolo uguale per tutti? Perché bambini normodati e disabili dovrebbero possedere lo stesso oggetto? Innanzitutto, diremmo, perche è meglio imparare prima – da piccoli, che dopo – da grandi. Ma imparare cosa? Che siamo tutti uguali? Che siamo tutti diversi? La logica di LAM! ci sembra vincente perché scavalca decisamente l’indugiare sulla questione “diversi-uguali”, per puntare su quella di “inclusione reale”. Il gioco è lo strumento principe attraverso cui il bambino entra in contato con la realtà e con i propri simili. E nella realtà, se guardiamo bene, ci sono bambini normodati e bambini disabili. Dare a tutti la possibilità di giocare con il medesimo oggetto, pensato per entrambi, significa educare – da piccoli – a pensare che la realtà sia uno spazio da condividere con l’altro. Bambini disabili che con naturalezza condividono giochi con bambini normodati, e viceversa, diventeranno adulti educati a pensare la disabilità come uno stato naturale delle cose, una delle tante evidenze della vita, che, in quanto tale, bisogna imparare a condividere. Bisogna educare le persone non con il solito blablabla “siamo tutti uguali”/“siamo tutti diversi”; piuttosto, educar-si tutti, fin da piccoli, a guardare la realtà: la realtà, tutta, va condivisa. Un’esperienza che non sai condividere, è un’esperienza che ti lasci scappare. Il problema non è la disabilità, tantomeno la normalità; il problema è superare tutto quello che impedisce la condivisione tra l’una e l’altra realtà. Per questo LAM!, oltre a studiare giocattoli tradizionali (0-3 anni) e tecnologici (4-15), progetta anche spazi museali e ricreativi per bambini, fornisce consulenze di esperti e terapisti per l’organizzazione di eventi pubblici e privati nello spirito dell’inclusione. LAM! ha iniziato ad interessarsi anche al settore dell’ editoria, puntando a rendere i libri prodotti più accessibili e introducendo i bambini al tema dell’accettazione della disabilità. La lettura è il migliore ponte per attraversare la realtà nella sua totalità, con l’immaginazione e con la parola che dà significato.

Il problema non è “educare alla diversità”, ma “educare alla vita” – a tutta la vita: “Look at me!” ci dice la realtà, “guardami!”, e fallo prima perché è meglio di poi.

* Le foto sono prese dal sito della LAM! al link www.lam-project.com