Africa: “Cancellare debito e aumentare aiuto allo sviluppo per sostenerla”
"Dobbiamo avere una visione complessiva, una strategia - sottolinea il ministro Tajani -. Per quanto riguarda l'Italia, noi l'abbiamo, è quella di dare risposte concrete, guardare all'Africa non con “occhiali” europei o italiani, ma con occhiali africani e far sì che la risposta alla loro richiesta di interloquire con noi sia una risposta positiva e non disattenta"
È stata la conferenza dal tema “La formazione per lo sviluppo in Africa: il ruolo delle Missioni”, che si è svolta ieri pomeriggio nella sala dei marmi della Provincia, il fulcro del secondo giorno di lavori della riunione dei ministri dello sviluppo e della cooperazione del G7 in corso fino a questo pomeriggio a Pescara.
Un appuntamento che ha visto ricevere anche un messaggio di Papa Francesco, giunto attraverso una lettera del cardinale segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin, il quale ha auspicato che questa conferenza “rinsaldi nel cuore di quanti hanno a cuore la causa degli ultimi, i valori della solidarietà e dell’impegno umanitario – particolarmente nei territori provati dalla sofferenza – divenendo così operatori di pace e fraternità tra i popoli”.
Tra i relatori del convegno è spiccato il giornalista missionario Padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma, il quale ha denunciato alcune delle piaghe che non permettono all’Africa di risollevarsi dalla piaga della povertà: «Uno dei contributi più significativi delle missionarie e dei missionari cattolici in Africa – premette il missionario -, è stato da sempre l’impegno nella scolarizzazione di vasti territori del continente. Attualmente le scuole primarie e secondarie cattoliche sono oltre 10 mila, mentre le università più significative (con un considerevole numero di facoltà al loro interno) sono 15. A queste ultime si aggiungono decine di filiali, con un’offerta accademica più limitata».
Su questo contesto, pesa enormemente la progressiva diminuzione delle vocazioni missionarie: «Siamo passati – sottolinea Padre Albanese – dai 24 mila missionari del 1990 ai 4 mila missionari italiani di oggi. Questo è un dato preoccupante sul quale riflettere bene. Oggi, in molti casi, queste strutture educative sono gestite dalle Conferenze episcopali locali, dalle diocesi locali o da istituti religiosi autoctoni. Sta di fatto che la posta in gioco è alta, soprattutto dal punto di vista della cooperazione allo sviluppo. Credo pertanto che tutti dovremmo porci la domanda che Papa Francesco ha rivolto in un video messaggio ai partecipanti al convegno, promosso e organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica “Global Compact on Education, together to look beyond” del 15 ottobre 2020. Il quesito posto dal Papa recitava così: “Se gli spazi educativi si conformano oggi alla logica della sostituzione e della ripetizione e sono incapaci di generare e mostrare nuovi orizzonti, in cui l’ospitalità e la solidarietà e il valore della trascendenza fondino una nuova cultura, non staremo mancando all’appuntamento con questo momento storico?”. La domanda è legittima. I numeri parlano chiaro. L’Africa ha una popolazione di un miliardo e mezzo di abitanti, la cui età media è di 20 anni. Nel 2024 il continente africano ha registrato la più grande popolazione di giovani del pianeta ed entro il 2050, il 40% di tutti suoi abitanti sarà di età inferiore ai 18 anni. Circa un miliardo di persone vivrà dunque in Africa. Secondo i dati coincidenti delle agenzie dell’Onu e dell’Unione africana, 98 milioni di bambini nella sola Africa subsahariana non vanno a scuola. E del totale dei minori dell’intero continente, una cifra che si avvicina velocemente al miliardo, l’86% circa fatica oggi a raggiungere l’alfabetizzazione».
Da qui il richiamo di Padre Giulio Albanese: «Se vogliamo davvero sostenere il continente africano a livello di cooperazione, dobbiamo fissare l’attenzione su alcune priorità sostenendo iniziative di contrasto ai meccanismi sistemici che determinano e acuiscono la miseria in Africa. Ciò a partire dalla questione del debito pubblico. Paradossalmente, da quando si è scatenata la crisi finanziaria globale, i Paesi africani hanno sostituito il debito multilaterale a basso costo e lungo termine con un debito verso creditori privati, assicurazioni, banche, fondi di investimento, fondi di private equity molto più oneroso e a breve termine. Ecco che allora il debito è stato letteralmente finanziarizzato, con il risultato che il pagamento degli interessi è stato inscindibilmente legato alle attività speculative sui mercati internazionali. Questo ha comportato costi di servizio del debito e rischi di rifinanziamento più elevati, con il risultato che la cifra del debito in Africa ha raggiunto i 1200 miliardi. È una cifra debitoria elevata se raffrontata al valore complessivo del prodotto interno lordo africano, che è di 3 trilioni di dollari. Per avere un confronto, basti pensare che quello dell’Unione Europea è di 16 trilioni e mezzo. In questo contesto, a dettare le regole del gioco è la finanza speculativa, che considera inaffidabile un paese pesantemente indebitato e, di conseguenza, lo emargina di fatto dai mercati finanziari internazionali costringendolo a pagare più caro il denaro, almeno quattro volte di più. Questo, per i Paesi africani, si traduce non solo nell’assenza di un welfare degno di questo nome, ma anche di infrastrutture, strade, ospedali, ma soprattutto scuole, necessarie sia nella lotta contro la povertà sia alla creazione di condizioni atte ad evitare il sottosviluppo».
Un’altra questione è invece relativa ad un impegno preso dall’Assemblea generale dell’Onu fin dal 1970: «L’assemblea – ricorda il direttore dell’Ufficio perla Cooperazione per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma – adottò una risoluzione che recitava così… “Ciascun Paese economicamente avanzato, aumenterà progressivamente la propria assistenza ufficiale allo sviluppo a favore a favore dei paesi in via di sviluppo e farà del suo meglio per raggiungere un importo netto minimo dello 0,70% del proprio prodotto nazionale”. Tale impegno è stato ribadito nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata all’unanimità dai 193 Paesi membri dell’ONU (incluso il nostro) con la risoluzione del 15 settembre 2015. Ma dopo oltre 50 anni, pochi Paesi hanno davvero raggiunto quel traguardo. La prima è stata la Svezia nel ‘74, seguita dall’Olanda, dalla Norvegia, dalla Danimarca, dal Lussemburgo. Nessun altro Paese ha rispettato questo impegno e la media di quelli firmatari non è mai stata superiore allo 0,50% del Pil».
Quindi il giornalista ha rilanciato l’appello rivolto al G7 dal mondo missionario: «Per quanto concerne i temi di lungo periodo, a livello educativo, se si intende davvero aiutare l’Africa, è evidente che occorre fissare l’attenzione sulla ricerca per lo sviluppo (promozione di una innovazione endogena al continente), la formazione istituzionale (empowerment, ownership and trust building) e la condivisione di saperi e tecnologie (che rappresentano il fulcro delle attività missionarie svolte nelle scuole e università cattoliche) con l’obiettivo di contribuire alla condivisione di conoscenza, valorizzando il ricco capitale umano di un continente in cui la stragrande maggioranza della popolazione è giovane».
Non è mancato anche l’intervento del vice premier ministro degli Affari esteri italiano, nonché presidente del G7 Sviluppo di Pescara, Antonio Tajani il quale ha avuto parole di riconoscenza verso i missionari del nostro Paese: «Voglio innanzitutto ringraziarvi – afferma il vice premier -, perché se noi abbiamo una politica estera italiana presente fortemente in Africa, lo dobbiamo anche al lavoro dei missionari e delle missionarie. Voi siete italiani, i vostri ordini hanno la casa madre in Italia. Insomma, portate il buon esempio degli italiani che ovunque nel mondo sono sempre ben accolti. Lo sono i nostri missionari, le nostre missionarie, anche i missionari laici, come lo sono i nostri imprenditori e le donne e gli uomini che indossano le uniformi per portare la pace in diverse parti del mondo, Africa compresa. Questo per dire che la nostra politica estera non è una politica estera fatta dal Ministro e dai diplomatici, ma è una politica estera che tutti quanti gli italiani sono chiamati a realizzare».
Da qui l’invito a collaborare sempre di più, rivolto ai missionari: «Noi dobbiamo avere una strategia – ricorda Tajani -, capire cosa vogliamo fare e come vogliamo rapportarci con l’Africa, non giorno dopo giorno, ma capire qual è il nostro. Il ruolo dell’Italia e il ruolo dell’Europa attraverso il Piano Mattei, attraverso il piano europeo Global gateway. Quindi dobbiamo avere una visione complessiva, una strategia. Per quanto riguarda l’Italia, noi l’abbiamo, è quella di dare risposte concrete, guardare all’Africa non con “occhiali” europei o italiani, ma con occhiali africani e far sì che la risposta alla loro richiesta di interloquire con noi sia una risposta positiva e non disattenta, perché altrimenti rischiamo che arrivino Cina, Iran e Russia. Sul quotidiano Avvenire c’era un interessante articolo a proposito di quello che stanno facendo i cinesi in Africa, due pagine molto interessanti che ho letto attentamente e che confermano la necessità di essere presenti strategicamente in quel contesto. Questo per noi è fondamentale, è quello che sto cercando di fare come ministro degli Esteri, come presidente del G7. Per questo abbiamo bisogno anche del vostro aiuto».
Tra gli altri interventi, non è mancato quello dell’arcivescovo di L’Aquila e delegato della Conferenza episcopale abruzzese e molisana alle missioni: «Mettere la persona al centro – osserva monsignor Antonio D’Angelo – credo che sia il fulcro attorno a cui poi riflettere, perché si possa fare una vera attività di formazione e di educazione. Quest’ultima è un tirare fuori, un ordinare quello che già la persona umana ha. Non dobbiamo andare lì a dominare o a fare altro, perché se non poniamo attenzione a questo certamente rischiamo di fallire o di fare cose non buone. Quindi bisogna aiutare la persona a crescere, a svilupparsi e a camminare con le sue gambe. Quindi anche i progetti che si andranno a fare, devono avere questo obiettivo centrale di aiutare la persona a uscire dalla sua situazione per trovare una personale autonomia. Per realizzare tutto questo, credo che sia importante porsi prima di tutto in un atteggiamento di ascolto. Dopo si potrà intraprendere un progetto, un programma che attivi dei processi e non degli aiuti così sporadici che possono, diciamo così, servire per il momento, senza portare ad un futuro».
Oggi, nel terzo e ultimo giorno di lavori, il G7 Sviluppo parlerà di salute e vaccinazioni in Africa. Infine, alle 13.30, il vice premier Tajani terrà la conferenza stampa conclusiva presso l’Auditorium Flaiano di Pescara, prima di scoprire una targa in Comune e incontrare privatamente i 46 sindaci dei comuni in provincia di Pescara.
Rispondi