“I giovani devono capire che è bello diventare adulti”
Don Samuele Marelli, classe 1976, ordinato sacerdote nel 2002, originario di Novedrate (Milano), è direttore della FOM, la Federazione oratori milanesi, e responsabile del Servizio ragazzi, adolescenti e oratorio dell’arcidiocesi di Milano dal 2008. Inoltre, da pochi mesi, don Samuele è stato nominato anche responsabile dell’Odielle, Oratori diocesi lombarde, nonché membro della segreteria del Forum degli Oratori Italiani (FOI). Ha svolto i primi anni di ministero negli oratori di Nova Milanese come responsabile della pastorale giovanile, accompagnando come consulente la locale società sportiva degli oratori.
In questi anni, fra l’altro, ha partecipato alla stesura del nuovo progetto di pastorale giovanile diocesano, ha promosso la realizzazione del nuovo Itinerario diocesano adolescenti, ha curato la formazione degli educatori con percorsi mirati, ha contribuito alla strutturazione e all’accompagnamento della Formazione dei responsabili delle Istituzioni di pastorale giovanile (in particolare la formazione dei responsabili degli oratori), continuando il lavoro di produzione di sussidi e proposte per l’Anno oratoriano e l’Oratorio Estivo e dei cammini e degli eventi diocesani che ogni anno coinvolgono i cresimandi, i quattordicenni e gli adolescenti. Con questo background di esperienze don Samuele Marelli è intervenuto ieri sera a Pescara, in una chiesa dello Spirito Santo gremita da educatori e catechisti provenienti dall’intera arcidiocesi, tenendo una conferenza dal tema “Educare i giovanissimi alla fede”, con un occhio di riguardo al contesto dei pre-adolescenti, che ha approfondito anche per i lettori de La Porzione.it.
Don Samuele, innanzi tutto, volendo rispondere alla domanda centrale, come educare i giovanissimi alla fede?
«Non c’è una ricetta, ci sono tanti tentativi da compiere: è come scalare una montagna attraverso più versanti da scegliere. Educare alla fede richiede intelligenza, tempo, passione, ma queste caratteristiche neanche bastano pur rappresentando già molto».
Qual è il profilo che ogni educatore di giovanissimi dovrebbe possedere, per svolgere al meglio il servizio educativo?
«L’educatore dev’essere una persona dall’umanità autentica, dalla fede matura, ma dev’essere anche animata da una sincera passione educativa. L’educatore è colui che desidera aiutare l’altro a trovare la sua strada verso Dio, il suo posto nel mondo, e per questo è disposto a sacrificare sé stesso. L’educatore è una persona che, in qualche modo, è capace di voler bene ai giovani così tanto fa farsi voler bene anch’egli e da far amare ciò che lui ama».
Un servizio, quello educativo, svolto più che mai sullo sfondo di un’emergenza educativa che, però, lei ha definito in altri termini?
«Sì, perché l’emergenza educativa non è un fenomeno temporaneo, come indurrebbe a pensare la sua stessa denominazione, che va in qualche modo affrontato essendo, invece, un qualcosa che è emerso dal nostro contesto culturale e va affrontato come compito permanente e sfida continua».
D’altronde, oggi, ai giovanissimi sembrano mancare le basi dell’educazione. A cosa si deve questa loro involuzione: sono forse mancate le figure che avrebbero dovuti educarli?
«Sono mancati gli adulti in un periodo in cui i ragazzi vivono una libertà ingigantita, contraddistinta dalla separazione tra la ragione e l’emozione. Viviamo in un’epoca nella quale conta più ciò che si sente di fare, rispetto al bene reale da realizzare, un’epoca di grande solitudine e fragilità, viviamo un’epoca dalle passioni tristi. I giovani, dunque, vivono un contesto non facile, ma credo che la svolta sia far loro riscoprire l’importanza della persona adulta, facendo loro capire che è bello diventare adulti, che è bello scoprire il dono del compimento. E gli artefici di tutto ciò devono essere delle persone adulte, che siano realmente tali, e che facciano venire il gusto di diventare grandi».
Così, partendo da questo presupposto, qual è la prospettiva per questo decennio che la Chiesa ha dedicato proprio all’emergenza educativa?
«Attualmente c’è una rinnovata consapevolezza dell’importanza dell’educazione. Infatti, in quest’epoca di crisi, si sta riacquistando la consapevolezza, la serietà, l’esigenza dell’educazione e questo è certamente un’acquisizione importante. E poi va affermandosi anche la consapevolezza che l’educazione non sia solo un’opera fra tante, ma sia la nuova opera di misericordia insieme spirituale e corporale».
Ma quali sono gli strumenti a disposizione per realizzare quest’opera educativa?
«Direi certamente l’accompagnamento personale: solo quando una persona si sente interpellata singolarmente, si mette in discussione. E poi un altro elemento importante è rappresentato dall’alleanza educativa, maturando la consapevolezza indispensabile riguardo all’educazione che non è mai l’opera di un solista, seppur straordinario, ma è l’opera corale per eccellenza. E poi bisogna indirizzare i giovani al rispetto di tre regole fondamentali, nell’ordine pensare, parlare e pregare».
Infine, don Samuele, lei è direttore della Fondazione oratori milanesi: possono essere proprio questi i luoghi, presenti anche nel pescarese, più adeguati per compiere la missione educativa?
«Ci sono tanti modelli educativi. La tradizione milanese si basa sull’oratorio, ne abbiamo quasi uno per parrocchia: questo vuole essere il tentativo di educare partendo dall’animazione, l’imparare facendo. L’oratorio è proprio un luogo, un tempo, uno stile ed un progetto. Per noi è una casa, un cortile, una chiesa ed una scuola, questo è molto altro. L’oratorio è il tentativo di partire dai bisogni dei ragazzi, per portarli a sviluppare dei desideri: per noi è il luogo ordinario della pastorale giovanile».