Giornata del rifugiato: migranti in festa a Pescara per ricominciare
"I miei primi mesi in Italia - racconta Angele, una donna senegalese - non sono stati facili, ma il progetto Lape dream della Caritas, attraverso i suoi bravissimi assistenti, mi ha aiutato tantissimo: dopo i primi otto mesi, mi hanno aiutato a trovare un lavoro e così ho potuto prendere una casa in affitto e dopo un anno, mi hanno aiutato a far venire in Italia anche mia figlia"
«In Libia c’è la guerra e la gente muore. In ogni luogo dove sono stato ho rischiato la vita e per questo ne ho voluto iniziare una nuova venendo in Italia, che mi ha accolto e per questo ringrazio la gente italiana».
Sono le parole di Saine, un giovane venticinquenne originario del Gambia che è giunto nel nostro Paese a bordo di uno dei tanti barconi della disperazione, che fanno la spola con l’Africa, ed ora è uno dei 93 profughi, in attesa di conoscere quale e dove sarà il loro futuro, ospitati dalla Caritas diocesana di Pescara presso la Cittadella dell’accoglienza Giovanni Paolo II°.
Tutti protagonisti della Giornata mondiale del rifugiato dal tema “Io So(G)no in Italia”, indetta dall’Onu 15 anni fa ricorrendo il 20 giugno, che lo scorso sabato a Pescara è stata celebrata con una festa nel salone parrocchiale della Madonna del Fuoco, a suon di musica tribale, cibo etnico e testimonianze sullo sfondo della mostra di quadri “Schegge di vita” a cura di Mirta Maranca, insieme alle 15 donne richiedenti asilo ospitate nella vicina Casa del progetto Lape dream.
È questo il nome del progetto, attivo in città dal 2007, affidato alla Caritas pescarese dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati del Ministero dell’Interno e dal Comune: «Queste donne – racconta Fabrizio De Lellis, responsabile di struttura – provengono per lo più da Nigeria, Somalia, Etiopia ed Eritrea, portando con loro storie di diritti umani negati, di guerre, bombardamenti e persecuzioni subite per motivi religiosi o politici».
Donne, spesso in arrivo con i propri figli, richiedenti lo status di protezione internazionale le quali vengono ospitate a Pescara per un lasso temporale compreso tra i sei mesi e l’anno e mezzo, in attesa di ricevere lo status di protezione internazionale: «Nel frattempo – racconta De Lellis – le aiutiamo ad imparare la lingua italiana, inserendole in campo socio-lavorativo».
E molte di loro, come Angele, ce l’hanno fatta: «Sono senegalese – racconta la donna -, sposata con figli, e ho lasciato il mio Paese nel novembre del 2011 per andare prima in Spagna e poi, attraverso la Francia, in l’Italia per raggiungere i miei connazionali a Pescara e sfuggire a torture e maltrattamenti. I miei primi mesi non sono stati facili ma il progetto Lape dream della Caritas, attraverso i suoi bravissimi assistenti, mi ha aiutato tantissimo: dopo i primi otto mesi, mi hanno aiutato a trovare un lavoro e così ho potuto prendere una casa in affitto e, dopo un anno, mi hanno aiutato a far venire in Italia anche mia figlia».
È una storia diversa, invece, quella del musicista africano Pape Kane, che alla festa diocesana per la Giornata mondiale del rifugiato si è esibito con la sua band: «Io sono arrivato qui nel 2002 – racconta -, avevo già un lavoro e non ero partito perché perseguitato, ma piuttosto perché ho sempre avuto il mito dell’Europa. L’impatto iniziale, però, è stato forte in quanto pensavo di trovare un lavoro. Non è stato così e mi sono dovuto abituare alla dura realtà ma, per fortuna, esercitavo un’arte che in 15 anni mi ha permesso di fondare la mia band di musica afro e afro-abruzzese e poi, pubblico libri. La cosa che mi ha colpito, comunque, è che in Italia c’è un marcato divario tra le rigide politiche di immigrazione dello Stato e le aspirazioni reali della popolazione, sensibile e ospitale. Il viaggio, però, resta sempre una grandissima occasione di crescita ed incontro tra culture».
Con progetti come Lape dream, dunque, Pescara dimostra di essere una città accogliente: «Abbiamo bisogno – spiega don Marco Pagniello, direttore della Caritas diocesana pescarese – di momenti come questi per incontrarci e per conoscerci, perché soltanto incontrandoci e conoscendoci riusciamo ad andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi».
Problematiche, queste ultime, che riguardo al tema dell’accoglienza non cessano nel nostro Paese: «In Italia – denuncia don Marco – l’emergenza non c’è e perfino la “cattiva” Germania ha accolto più di noi, finora. La verità è che la nostra rete di accoglienza è inadeguata e non siamo pronti ad accogliere coloro che non sono felici di lasciare la propria terra, ma si muovono perché portano nel cuore il sogno di realizzare una vita e un futuro migliore».