“Sostegno economico per tutti e reddito d’inclusione contro l’esclusione sociale”
Caritas e Migrantes rilanciano l’appello ad una rapida approvazione della legge sulla cittadinanza (licenziato dalla Camera e ora al vaglio del Senato) che prevede l’introduzione dello “ius soli” in forma temperata (uno dei genitori deve avere il permesso di soggiorno da almeno un anno) e un iter particolare per i minori stranieri arrivati da piccoli in Italia: "Nonostante le carenze per favorire l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione - afferma don Francesco Soddu -, riteniamo sia comunque importante che i nostri politici diano un segnale chiaro di risposta alla volontà di integrazione delle nuove generazioni"
«Misure di sostegno economico per tutti, per riequilibrare un’eccessiva disparità economica fra i cittadini che vivono e lavorano nel nostro Paese, italiani o stranieri che siano». Lo ha chiesto stamani don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, durante la presentazione a Roma del XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes.
Ricordando le gravi disparità salariali e le situazioni di sfruttamento degli immigrati, come illustrato nel rapporto, don Soddu ha fatto presente, ancora una volta, la richiesta dell’Alleanza contro la povertà di introdurre in Italia il Reis (Reddito di inclusione sociale), una misura universalistica di lotta all’esclusione sociale. La Caritas chiede anche, a favore degli immigrati e per allinearsi agli standard europei: «Un abbassamento delle tasse – illustra il direttore di Caritas Italiana – per i rinnovi dei permessi di soggiorno e per l’inoltro della domanda di cittadinanza, attualmente troppo elevati rispetto alla media europea e anche ingiustificati in confronto ad altre istanze di tipo amministrativo».
Oltre a sollecitare l’approvazione della legge sulla cittadinanza, don Soddu ha richiamato anche l’iniziativa di legge popolare per riconoscere il diritto di voto alle amministrative per i cittadini stranieri residenti: «Non si può pensare di costruire un dialogo costruttivo – avverte – con nessun interlocutore se non gli si dà voce, se non lo si coinvolge nei processi che lo riguardano».
Il direttore di Caritas italiana ha poi sottolineato l’importanza dei processi formativi di insegnanti e alunni, per favorire una esatta conoscenza del fenomeno, approfondire le connessioni tra i fattori di spinta e quelli di attrazione e contro un’immagine falsata e stereotipata dei movimenti migratori.
Venendo poi ai dati del rapporto, sono oltre 5 milioni gli stranieri residenti in Italia (l’8,2% della popolazione), di cui il 52,7% sono donne. Sono soprattutto romeni, albanesi e marocchini (le tre nazionalità rappresentano il 41,3% del totale), anche se in Italia sono presenti ben 198 nazionalità. Quasi il 60% vive nelle regioni del Nord. Le regioni con il più alto numero di presenze sono Lombardia (23%), Lazio (12,7%), Emilia Romagna (10,7%) e Veneto (10,2).
Sono i dati riferiti al 2015 che fanno da sfondo alle 500 pagine del XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, che raccontano la presenza della popolazione straniera in Italia come fenomeno oramai strutturale in tutti gli ambiti sociali. Tema dell’edizione di quest’anno è “La cultura dell’incontro”, per raccontare l’integrazione nei territori e sottolineare come l’Italia sia molto di più di questa recente storia di migranti forzati.
In termini numerici assoluti, nell’area Ue-28 gli stranieri residenti sono 35,2 milioni, con un aumento del 3,6% rispetto al 2014. Di questi, il 21,5% vive in Germania, il 15,4% nel Regno Unito, il 14,3% in Italia, il 12,4% in Francia. Caso singolare è il calo dei residenti stranieri in Spagna, diminuiti del 4,8%. Nel 2014 in Italia sono state registrate 129.887 acquisizioni di cittadinanza italiana, con una crescita del 29%. Prevalgono le acquisizioni da parte dei marocchini e degli albanesi, presenti da più tempo in Italia.
Mentre la retribuzione media mensile degli occupati italiani è di 1.356 euro, quella degli stranieri è di 965 euro, pari al 30% in meno. Il 41,7% dei lavoratori stranieri rientra dunque nella categoria dei “working poor” (gli italiani sono il 14,9%), e le donne sono le più penalizzate (59,3%) perché lavorano in settori con livelli retributivi più bassi della media. Secondo quanto emerge dal rapporto, che analizza la presenza dei residenti stranieri nel vari settori, sono 2.360.307 i lavoratori stranieri in Italia (il 10,5% del totale), di cui l’88,5% è dipendente.
Svolgono in maggioranza lavori meno qualificati (36,5% rispetto al 7,9% degli italiani) nei settori dei servizi collettivi e personali (29,8%), nell’industria (18,4%), nel settore alberghiero e della ristorazione (10,9%), nelle costruzioni (9,6%) e nel commercio (8,3%). Nei servizi operano soprattutto le donne, nei cosiddetti settori delle “tre C”: caring, cleaning e catering (cura, pulizia e ristorazione). Anche se la maggioranza è impiegata come dipendente, nel 2014 sono aumentati del 6,2% i titolari di imprese nati in un Paese extra-Ue: 335.452. Spiccano ancora le situazioni di sfruttamento e le disuguaglianze retributive, con molti part-time involontari che nascondono “lavoro grigio”.
Nell’anno scolastico 2014/2015, erano 814.187 gli alunni stranieri nelle scuole italiane, di cui 445.534 nati in Italia, questi ultimi aumentati del 7,3% rispetto all’anno precedente. Rappresentavano il 9,2% della popolazione scolastica italiana, con una crescita annuale dell’1,4%, segno di un insediamento stabile con la propria famiglia. I dati del rapporto Caritas-Migrantes descrivono, dunque, una scuola sempre più multietnica, soprattutto nelle regioni del Nord: il valore più alto di alunni stranieri nelle classi è in Emilia Romagna (15,5%), seguita da Lombardia (14,3%) e Umbria (14,2%). Nel Centro-Sud solo il Lazio arriva al 9,3%, mentre l’incidenza più bassa è in Sardegna (2,3%) e Puglia (2,6%).
Caritas e Migrantes rilanciano, in questa occasione, l’appello ad una rapida approvazione della legge sulla cittadinanza (licenziato dalla Camera e ora al vaglio del Senato) che prevede l’introduzione dello “ius soli” in forma temperata (uno dei genitori deve avere il permesso di soggiorno da almeno un anno) e un iter particolare per i minori stranieri arrivati da piccoli in Italia: «Nonostante le carenze per favorire l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione – afferma don Francesco Soddu -, riteniamo sia comunque importante che i nostri politici diano un segnale chiaro di risposta alla volontà di integrazione delle nuove generazioni».
Gli stranieri in carcere? Sono molto meno di quanto si pensi. Su un totale di 52.164 detenuti gli stranieri sono il 33,24% del totale (17.340), una cifra in diminuzione rispetto al 2009 quando erano il 37,1%. C’è però un fatto nuovo: anche se è un dato residuale (95 detenuti) nel Paese sono entrate le mafie straniere, che agiscono affiliandosi alle mafie italiane. Anche se le nazionalità più rappresentate sono il Marocco (2.840 detenuti), la Romania (2.821), l’Albania (2.423) e la Tunisia (1.893), i curatori del rapporto invitano a non fare frettolose analisi che facciano concludere per l’attribuzione a determinati gruppi etnici di una maggiore propensione al crimine.
Le cifre vanno lette, infatti, considerando che queste comunità sono le più numerose e di più antico insediamento in Italia. Tra i reati commessi: 8.192 contro il patrimonio, 6.599 contro la persona, 6.266 in violazione della legge sulla droga, 2.499 contro la pubblica amministrazione e 1.372 in violazione della normativa sull’immigrazione: «Reati di grande impatto sociale – si legge nel volume – che influiscono sulla percezione della diffusione criminale».