“Dio è il Risorto e può trasformare la nostra disperazione in resurrezione”
"Maria di Magdala, l’apostola degli apostoli, sarà la prima a vedere la tomba vuota - osserva l'arcivescovo Valentinetti -. Che il Signore ci conceda di sperimentare anche a noi questa stessa fede e questa stessa forza, per correre alla tomba vuota e proclamare che Gesù è risorto, il Signore, il Figlio di Dio"

Ieri è partita dal paradosso della folla di Gerusalemme, che dapprima acclama Gesù al suo arrivo per poi crocefiggerlo, la riflessione dell’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella santa messa della Domenica delle palme, celebrata nella Cattedrale di San Cetteo.

Dopo la benedizione degli ulivi e la lettura dialogata della Passione secondo l’evangelista Marco, il presule ha quindi pronunciato l’omelia: «La narrazione della Passione secondo Marco – premette -, quasi certamente è uno dei testi evangelici più antichi, probabilmente scritto quasi subito dopo la morte e la resurrezione di Gesù, presumibilmente tra l’anno 40 e l’anno 50 dopo Cristo (Gesù muore all’incirca nell’anno 30). E nel 60 dopo Cristo l’evangelista Marco fa la redazione definitiva del suo Vangelo, che è il primo ad essere scritto. È dunque una narrazione verosimile, molto vicina ai fatti e come abbiamo ascoltato ci sono momenti difficilissimi. C’è sicuramente il bellissimo momento di comunione nel cenacolo, ma segnato sia dal tradimento di Giuda che dall’annuncio del rinnegamento di Pietro. C’è poi il dramma dell’Orto del Getsemani, questa fatica ad entrare nel mistero della volontà del Padre, poi questo processo farsa che Gesù subisce e quindi gli insulti e quant’altro fino al momento della morte. Un urlo straziante “Dato un forte grido spirò”. Non c’è una morte gloriosa, come ce la descrive l’evangelista Giovanni, c’è una morte cruenta. Eppure in filigrana, dentro questa narrazione della Passione, c’è una proclamazione fondamentale che riassume tutto l’Evangelo di San Marco. Se avrete la pazienza di riprendere in mano il Vangelo di San Marco, sfogliando il primissimo versetto troverete scritta questa frase “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”. Che cosa si proclama in questo testo? Che Gesù è il Figlio di Dio. E chi lo proclama? Un centurione, non un ebreo o un pagano».
Quest’ultima scelta, secondo monsignor Valentinetti, è avvenuta per un vantaggio: «Non dobbiamo dimenticare – ricorda – che questo Vangelo Marco lo scrive principalmente per i romani, alla sequela di Pietro, trovandosi già a Roma. Dunque, un centurione riconosce che è il figlio di Dio. Ma la domanda se Gesù era Dio o il Figlio di Dio, l’aveva fatta anche il sommo sacerdote “Ti scongiuro, dimmi, sei tu il Figlio del Benedetto?”. Il Benedetto per assoluto è Jahvè, dunque Dio. “Sì, lo sono”. La proclamazione, anche da parte di Gesù, “Io lo sono”. Dunque, anche in mezzo ad un umanità anche distrutta e disprezzata, nell’umanità di Gesù emerge l’affermazione grandiosa di fede “Costui è Dio, il Figlio di Dio” e noi, se da una parte lo continuiamo a contemplare crocifisso, dall’altra parte lo contempliamo risorto nella gloria».

Da qui il riferimento all’attuale e drammatico tempo di pandemia che, a detta dell’arcivescovo Valentinetti, ci sta facendo contemplare molto il Crocifisso: «I dolori dell’umanità, della storia – precisa -. E ci sta facendo contemplare anche le cattiverie che si annidano sempre, soprattutto quando ci sono i dolori della storia e i dolori dell’umanità, i tradimenti, i rinnegamenti e quant’altro, le cattiverie più assurde. La disperazione dell’Orto del Getsemani la stiamo guardando negli occhi di tanti, ma non possiamo fare a meno di ridire che Dio è in mezzo a noi, che Dio è con noi e che Dio è il Risorto che sta e può trasformare tutto questo in resurrezione. La speranza qual è? Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva posto quasi in un’intuizione tutta femminile di un’attesa e di una realizzazione di una promessa “Dopo tre giorni risorgerò”. E Maria di Magdala, l’apostola degli apostoli, sarà la prima a vedere la tomba vuota».
Da qui l’auspicio finale dell’arcivescovo di Pescara-Penne: «Che il Signore ci conceda di sperimentare anche a noi questa stessa fede e questa stessa forza, per correre alla tomba vuota e proclamare che Gesù è risorto, il Signore, il Figlio di Dio».