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Sanità, Cei: “Il Paese ha bisogno di più professionisti che operino al meglio”

"Non si vede più la frammentazione della persona del paziente, talvolta ridotto a codice sanitario – ammonisce don Massimo Angelelli -, non si vede più soltanto l’organo malato, ma la persona come una totalità unificata. Quando si incontrano due persone, il curante e il curato, nasce la vera presa in carico. Il paradosso della cura è che il paziente diventa strumento di realizzazione non solo professionale, ma di umanità e di grazia del curante"

Lo ha scritto don Massimo Angelelli, direttore della Pastorale della salute Cei, in una lettera per la 30ª Giornata mondiale del malato

Un intervento chirurgico

L’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana ha espresso gratitudine, riconoscenza, rispetto e stima a tutti i professionisti della cura – medici, infermieri e operatori socio-sanitari – in una lettera diffusa ieri alla vigilia della 30ª Giornata mondiale del malato che si celebrerà domani sul tema “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”: «Curanti che – scrive il direttore dell’Ufficio don Massimo Angelelli -,da sempre, e negli ultimi tempi in modo decisamente più intenso, vi prendete cura dei malati e dei sofferenti, impegnati fino all’estremo delle vostre risorse». Ma al di là di questo, don Angelelli ha poi evidenziato come la specializzazione medico-sanitaria sia diventata «sempre più tecnologica e sempre meno umana».

Fotografando la situazione, don Angelelli rileva come «il dilagare di una pandemia abbia messo in luce alcune fragilità ormai consolidate del nostro sistema sanitario. Tra tutte, l’evidente mancanza di un numero adeguato di professionisti sanitari e un forte carattere di regionalizzazione che genera grandi differenze di offerta di servizi». A questo, poi, si aggiunge «una netta separazione – ricorda il presbitero – tra la sanità vissuta nelle zone rurali e nelle periferie e le forme maggiormente organizzate come nei centri metropolitani. Un modello che sembra generare una nuova categoria, potremmo definirli irraggiunti».

Sottolineando, inoltre, l’importanza di un atteggiamento di cura che «non disgiunga mai l’aspetto umano da quello sanitario», la lettera riconosce il fondamentale ruolo sanitario e sociale di medici di medicina generale, pediatri, operatori dell’assistenza domiciliare e farmacisti, presenti capillarmente sul territorio. Quindi la missiva ha preso in esame l’emergenza sanitaria: «La pandemia – osserva il direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute – ci ha colpito nella salute, ci ha impoverito nelle relazioni e ha compromesso anche la situazione economica. Il mondo sanitario e la pastorale della salute incrociano quotidianamente queste situazioni. Non solo ne prendono atto, ma se ne prendono cura. Da qui l’importanza di una pazienza capace di rispondere alle domande della vita da parte del curato e del curante. Fratelli tutti di fronte ad un’inedita malattia globale. Un pensiero anche a chi si occupa di salute mentale, un’area di intervento che richiederà sempre più attenzione e sensibilità». 

Don Massimo Angelelli, direttore Ufficio Cei Pastorale della Salute

Quindi la lettera ha espresso “assoluta gratitudine” ad ogni operatore della salute per «la disponibilità e abnegazione con cui vivete la vostra professione, nonostante la fatica, le preoccupazioni, la quotidiana vicinanza con il dolore, con la domanda di senso che emerge nella malattia che assorbe molte energie sul piano umano». Un ringraziamento esteso insieme ad una preghiera anche ai loro familiari: «Con voi – aggiunge don Massimo Angelelli – guardiamo con gratitudine al Padre della vita. Ci testimoniate dedizione e capacità di sacrificio. Noi ringraziamo i curanti, invitiamo ogni malato a ringraziare chi lo cura con rispetto, in scienza e coscienza, e insieme con ogni curante ringraziamo il Dio dell’amore».

A proposito dei curanti, nella lettera il direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute ha lanciato un grido di dolore riferito ai pericoli che, quotidianamente, i curanti affrontano in corsia: «I continui episodi di aggressione, in particolare nei pronto soccorso – denuncia don Angelelli -, generano nel personale sanitario un senso di solitudine e di abbandono che umilia sia la dimensione umana che quella professionale. In coloro che sono in prima linea, vengono individuati obiettivi da colpire per responsabilità che a loro non appartengono. I decenni di tagli e mancata programmazione hanno sortito questo effetto».

Ma non solo: «Una preoccupazione che ci avete rappresentato – si legge ancora nella lettera – è il crescente peso delle procedure burocratiche. E poi l’agire della collettività, della narrazione massmediatica e dei social, soprattutto quando assume caratteristiche aggressive o rivendicative, epiche o apocalittiche, ha una ricaduta anche sulla dimensione personale del professionista».

Il presbitero ha messo poi in guardia dal rischio che prevalga una logica economicistica, auspicando «il recupero della dimensione umana e spirituale della persona» che non è secondario, «ma costitutivo della realtà che voi siete», invitando a «riconsiderare il senso umano del limite. La fatica della ricerca scientifica e tecnologica, che richiede costanza, viva intelligenza, geniale curiosità e risorse adeguate – conclude -, viene sostenuta da tutti noi con piena fiducia e speranza perché tale impegno, pienamente orientato al bene dell’uomo, porti gli auspicati successi».

Nell’ultima parte della lettera, l’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute ha quindi chiesto alle istituzioni di sostenere la sanità: «Investire in una rinnovata attenzione alle condizioni sociali ed economiche», scrive don Massimo Angelelli, in cui operano tutti i professionisti della salute e rivedere la programmazione «del numero di coloro che possono accedere anche nei percorsi formativi di ingresso. Il Paese – rilancia il presbitero – ha bisogno di più professionisti della salute che vedano riconosciuto il loro ruolo e siano messi nelle condizioni di operare al meglio, per garantire una stabile sostenibilità del sistema universalistico di cura».

In questo contesto, secondo Angelelli, un primo segnale di speranza arriva dai giovani: «Che scelgono le professioni sanitarie – continua don Massimo -, nuovamente chiamati a coniugare scienza e fede». Per sostenerne la crescita umana e professionale, «sarà opportuno – aggiunge la lettera – integrare nei percorsi formativi quelle dimensioni – oggi scarsamente presenti – etiche, umane e relazionali. Una delle legittime attese del mondo dei sanitari curanti – prosegue – è nel miglioramento delle condizioni globali in cui svolgere il proprio ruolo professionale».

Infine, il direttore della Pastorale della salute Cei ha rivolto una considerazione ai cappellani e agli assistenti spirituali che svolgono servizio in classe: «Oltre la dimensione fisica e psichica – riflette don Angelelli -, ogni persona è chiamata a prendersi cura della propria anima. Nei corridoi degli ospedali come nel domicilio del malato la presenza testimoniante dei cappellani e degli assistenti spirituali, assicura il necessario completamento della presa in carico di tutti i bisogni della persona sofferente, comprendendo la dimensione spirituale». Anche a loro, considerati “curanti”, si rivolge il direttore dell’Ufficio Cei ricordando che ogni battezzato «è portatore del dono dello Spirito Santo, di una grazia particolare che accoglie, cura, accompagna con la materna tenerezza della Chiesa».

Infine il valore della speranza che trasforma lo sguardo: «Non si vede più la frammentazione della persona del paziente, talvolta ridotto a codice sanitario – ammonisce il sacerdote -, non si vede più soltanto l’organo malato, ma la persona come una totalità unificata. Quando si incontrano due persone, il curante e il curato, nasce la vera presa in carico. Il paradosso della cura è che il paziente diventa strumento di realizzazione non solo professionale, ma di umanità e di grazia del curante».

About Davide De Amicis (4382 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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