“È nostro compito annunciare una speranza e una vita nuova ai reclusi”
"Solo dall’inizio del 2024, nelle carceri italiane – ricorda Andrea Molteni, sociologo della Caritas ambrosiana - un’ottantina di persone ha deciso di togliersi la vita. Senza contare un numero imprecisato di morti sospette e chi la fa finita una volta tornato in libertà. Gli ingressi e le uscite sono i momenti di maggior delicatezza"
Ieri è stato il direttore di Caritas italiana don Marco Pagniello a tirare le conclusioni del convegno “Giustizia e speranza, la comunità cristiana tra carcere e territorio”, che si è tenuto nell’auditorium della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma: «Il nostro compito – afferma il presbitero – è annunciare una speranza e una vita nuova a coloro che sono in carcere».
Con queste parole, don Marco ha sottolineato l’importanza di non far perdere ai detenuti e alle loro famiglie il desiderio di cambiare vita: «Anche in questo mondo – sottolinea il direttore di Caritas italiana -, ci sono germogli di speranza ed è questo che Caritas, la Chiesa e le istituzioni devono far capire a ogni individuo che fa parte di una comunità. Bisogna portare un’alternativa a coloro che hanno conosciuto un solo modello di vita».
Da qui il tema della giustizia riparativa, di offrire una seconda opportunità ai reclusi, accompagnandoli in un percorso che prosegua anche fuori dal carcere: «Insieme alle istituzioni – rilancia don Marco Pagniello – possiamo fare la nostra parte. Attraverso piccoli passi, gesti concreti, possiamo porre le basi per un cambiamento. In questo convegno ho capito che Caritas ha a cuore lo sviluppo umano».
Sogno e speranza, per il sacerdote pescarese, sono dunque due ambiti dai quali la giustizia non può trascendere: «Come cappellano – ricorda don Marco – ho testato la sofferenza di coloro che sono dietro le sbarre, una sofferenza e un disagio che, però, fanno parte di tutti noi che facciamo parte di una comunità».
Per questo diventa necessario intraprendere la strada del cambiamento, nella quale ognuno faccia la propria parte: «Percorsi di formazione, sensibilizzazione – individua don Pagniello -, volti a fare comprendere a tutti che certi temi, come quello della giustizia, sono molto più concreti di quanto possiamo immaginare. Le persone hanno bisogno di non perdere la fede e la speranza e sta a Caritas, ai volontari e a chiunque lavora in carcere, aiutarli a capire questo».
In tal senso, dunque, la giustizia riparativa va considerata come un vero e proprio percorso alternativo per i reclusi, ma anche per le loro famiglie e le loro vittime: «Nessuno – ribadisce il direttore di Caritas italiana – deve essere abbandonato».
Un’esortazione, quest’ultima, che giunge in un periodo critico per le carceri italiane confermato da numeri impietosi: «Solo dall’inizio del 2024, nelle carceri italiane – ricorda Andrea Molteni, sociologo della Caritas ambrosiana – un’ottantina di persone ha deciso di togliersi la vita. Senza contare un numero imprecisato di morti sospette e chi la fa finita una volta tornato in libertà. Gli ingressi e le uscite sono i momenti di maggior delicatezza».
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