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L’Italia dal “respiro corto”

Il rapporto Social Watch: diminuiscono occupazione femminile, potere d’acquisto delle famiglie, lavoro per giovani ed extracomunitari

«Un Paese che scivola in basso, incapace di affrontare la crisi economica e di guardare al futuro». Così è descritta l’Italia nel rapporto 2010 del Social Watch, rete di 400 realtà della società civile attiva in oltre 60 Paesi, presentato ieri a Roma.

Il quadro è poco rassicurante in «una situazione – commenta Jason Nardi, portavoce di Social Watch Italia – che non è solo conseguenza della crisi finanziaria, ma anche di politiche che colpiscono l’universalità dei diritti e la coesione sociale, promosse in una logica di corto respiro». Basti osservare il dato “donna”: nel 2009, per la prima volta dal 1996, il tasso di occupazione femminile è sceso al 46,4%, con un ulteriore peggioramento nel 2010. Una inversione di tendenza dopo che l’occupazione femminile era salita dal 1996 al 2009 di quasi 10 punti percentuali. Il tasso di inattività negli ultimi anni ha toccato il 50%, circa 13 punti oltre la media Ue. Sebbene il numero di donne che conseguono la laurea sia maggiore di quello degli uomini, le donne sono solo il 21% dei deputati e il 18,3% dei senatori. Una stima che colloca l’Italia al 56° posto nella classifica mondiale per la presenza femminile in Parlamento. Inoltre, solo poco meno del 10% dei sindaci è donna.

Con i dati Istat alla mano, il rapporto Social watch ricorda anche che il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito del 2,5% nel 2009. La povertà assoluta è cresciuta in due anni dal 4,1 al 4,7% delle famiglie (oltre 3 milioni di persone), con una particolare incidenza nel Mezzogiorno, dove è aumentata di quasi 2 punti percentuali arrivando al 7,7%.

La crisi ha colpito anche gli immigrati e i giovani, che nel 2009 hanno perso 300.000 posti di lavoro. In Italia sono oltre due milioni i giovani che non studiano e non lavorano, e la maggioranza di questi (65,8%) non è neppure alla ricerca di un’occupazione.

È possibile uscire da questa situazione? Il Social Watch ha anche la risposta: l’equità fiscale: «un’imposta patrimoniale una tantum per far fronte alla crisi», tassando con un’aliquota del 5 per mille tutti i patrimoni al di sopra dei 5 milioni di euro; «elevare l’aliquota della tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5% al livello medio europeo del 20%»; istituire «una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie per ridurre la volatilità dei mercati finanziari e far pagare la crisi in primo luogo a chi ha causato la bolla speculativa esplosa nel 2008».

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Direttore responsabile del notiziario online "Laporzione.it" e responsabile dell'Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne. Laureato in Scienze della Comunicazione sociale e specializzato in Giornalismo ed Editoria continua la ricerca nell'ambito delle comunicazioni sociali. E' Regista e autore di
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