I giovani italiani: disoccupati e raccomandati
Il mondo del lavoro è messo a rischio da svariati aspetti, come i divari retributivi, il lavoro sommerso, le “raccomandazioni”, le madri costrette alle dimissioni, che ormai vanno bel oltre la problematica fin troppo emersa e conosciuta, rappresentata dalla disoccupazione. È uno scenario nuovo, quest’ultimo, che si evince l’ultimo rapporto dell’Iref, l’istituto di ricerca delle Acli, reso noto ieri l’altro, nel giorno d’apertura del 44° Incontro nazionale di studi che si sta tenendo a Castel Gandolfo (Roma), sul tema del lavoro scomposto.
Nell’analisi, è possibile riscontrare il divario retributivo esistente confrontando la retribuzione media giornaliera di un lavoratore dipendente del settore privato, pari a 83,2 euro, a quella di un dirigente, che guadagna quasi 340 euro in più al giorno, a quella di un quadro, che ne guadagna 111 euro in più mentre, infine, per un operaio il salario è inferiore alla media di 16,2 euro. Inoltre le donne, rispetto agli uomini, guadagnano 27 euro in meno al giorno, così come i giovani presentano stipendi più bassi di 38,5 euro, se hanno meno di 19 anni di età, una forbice che si riduce di 10 euro tra i 20 ed i 24 anni e di 20 euro tra i 25 ed i 29 anni: «Al di là delle ovvie componenti organizzative – ha spiegato Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli – che fanno riferimento a diverse mansioni, ruoli e responsabilità, sono dati che mettono in evidenza una divaricazione eccessiva delle retribuzioni, che non può essere presa in considerazione in queste ore in cui si discute di sacrifici per il Paese».
E continuando a parlare di giovani, per loro, le prospettive occupazionali sono sempre più limitate: “Il ricambio generazionale all’interno della popolazione attiva – si legge nella ricerca – presenta valori negativi in tutti i paesi dell’Unione europea, fatta eccezione per Finlandia e Lussemburgo”. L’Italia, in questo scenario, si trova in una posizione intermedia, ma secondo le proiezioni nel 2030 la situazione dovrebbe essere nettamente peggiorata, con sempre meno opportunità di lavoro per i più giovani. Tutto questo, dipenderà anche dalle politiche pensionistiche che verranno adottate, tese ad allungare la “vita lavorativa”, e poi vanno considerate barriere e ostacoli come difficoltà in ingresso, precarietà degli impieghi, retribuzioni basse e scarsa opportunità di miglioramento professionale.
E se non bastasse tutto ciò, è ancora di grande attualità il malcostume della “raccomandazione”, una pratica largamente diffusa, che vede oltre la metà dei giovani trovare lavoro grazie all’intercessione di amici, parenti e conoscenti. Anche se il dato più allarmante è rappresentato da quei 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano, un fenomeno definito “preoccupante”, dalla ricerca, specialmente nel Meridione. Comunque in un mondo del lavoro scomposto, nel quale si registrano ritardi storici nel sistema produttivo italiano, c’è da considerare il lavoro sommerso che l’Ires definisce come “una delle caratteristiche storiche del sistema economico del nostro Paese.
Infatti, in base agli ultimi dati Istat, relativi al 2007, è irregolare poco meno del 12% del lavoro, anche se il dato nazionale nasconde differenze significative a livello territoriale, come emerge andando a leggere il dato del Mezzogiorno, dove la percentuale sale al 18,3%, mentre nelle altre macro-aree geografiche, il dato si attesta attorno al 10%. In ultima analisi, però, il triste primato del lavoro nero spetta alla Calabria, con il 27,3% dei posti di lavoro. Lo studio Ires, poi, si sofferma ad analizzare il fenomeno del lavoro autonomo, una categoria che in tredici regioni su venti, vede più di un terzo degli occupati, mentre la grande impresa italiana continua ad avere un peso limitato nel sistema Paese, con lo 0,1% di presenza. Un lavoratore su quattro, in aggiunta, il 23,1%, ha un’occupazione non standard, non a orario pieno e non a tempo indeterminato. L’11,8%, pari a 2.700.000 individui, è un lavoratore a tempo parziale, mentre l’11,3% è un atipico, impiegato come determinato o collaboratore.
Il lavoro part time, infine, interessa soprattutto le donne, con 1.800.000 persone coinvolte: «Dopo quindici anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro – osservano i ricercatori – sembrano essersi consolidate due generazioni di lavoratori flessibili, i giovani in ingresso nel mercato del lavoro e gli adulti per i quali la fase dell’inserimento lavorativo è terminata, ma che si ritrovano nelle stesse condizioni contrattuali di partenza». A seguito delle ristrutturazioni economiche, poi, i dati segnalano come la disoccupazione di lunga durata, superiore ai due anni, veda l’Italia ai primi posti fra i Paesi europei, con un 45,7% sul totale dei disoccupati, che però cresce al 55% nel Mezzogiorno. Ma il dato più inquietante riguarda gli “scoraggiati”, coloro che dichiarano di non cercare un impiego, in quanto sfiduciati dalla scarse possibilità: sono il 10,2%, più del doppio della media europea. Invariato nel tempo, resta infine il dato sull’interruzione lavorativa delle donne a seguito di gravidanza: sono il 15,1%.