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Spread, il protagonista

Lo “spread” è uno degli indicatori più discussi in questi mesi. Ma cosa realmente indica e perché viene così tenuto in considerazione?

Da diversi mesi, ormai, tutti i telegiornali parlano di finanza e di politica legando le alterne e non troppo felici esperienze italiane all’andamento del famoso “spread”. E questo genera l’idea che lo “spread” sia una malattia da cui siamo stati colpiti ma per la quale la cura non è chiara. Perché questa parola fa così paura? Può una parola condensare al suo interno un fenomeno capace di portare il nostro Paese al fallimento, alla bancarotta, addirittura ad una guerra combattuta non con le armi (ma a colpi di spread, appunto!), alla rovina? Forse sì, forse no. Per saperlo o almeno per cercare di capirlo, però, diamo un significato a questo termine.

Spread, nel linguaggio usato dagli operatori finanziari, vuol dire differenza di rendimento. È un termine generalmente utilizzato da chi lavora in borsa o da chi, più nello specifico, si occupa di finanza. Tutti quelli che hanno sottoscritto un mutuo sanno che il proprio direttore di banca ha concesso loro un finanziamento ad un tasso più un certo spread. E più questo spread è basso, più vuol dire che il prestito che il direttore stava concedendo per comprare casa era conveniente. Un ragionamento simile può applicarsi ai titoli di Stato, italiani e stranieri.

In particolare, lo spread di cui si parla è la differenza tra quanto rende un titolo del debito pubblico italiano a 10 anni (BTP) rispetto all’equivalente titolo emesso dalla Germania (Bund). Ogni stato, quando chiede dei soldi in prestito, emette un titolo con il quale si impegna a restituire a scadenza l’importo ricevuto. Su questo importo, ovviamente, si paga un interesse, detto anche rendimento del titolo. Il rendimento viene determinato nel momento in cui il titolo viene emesso ed è fisso. Ciononostante il titolo è quotato sui mercati, cioè se si va in banca lo si può sempre trovare da qualcuno che lo detiene. Per la famosissima legge della domanda e dell’offerta, se sui mercati ci sono tanti che vendono e pochi che comprano, il prezzo che così si viene a formare, scende. Se il prezzo scende il rendimento sale perché lo Stato pagherà un importo fisso a titolo di interessi che, rapportato ad un prezzo più basso di scambio sul mercato, fa sì che il rendimento sia maggiore.

Poiché il debito pubblico italiano ammonta a quasi 1.900 miliardi di Euro mentre il PIL (Prodotto Interno Lordo, cioè tutta la ricchezza prodotta in Italia in un anno) è pari a meno di 1.600 miliardi di Euro è chiaro che ad ogni scadenza di una parte del debito lo Stato debba procedere ad emetterne di nuovo. Se, però, il rendimento sopra calcolato è cresciuto chi andrà a sottoscrivere le nuove emissioni di debito (generalmente grandi banche ed operatori internazionali) chiederà ovviamente un tasso di interesse in linea con quello che si trova sul mercato per i titoli già in circolazione. Questo vuol dire maggiori costi per il bilancio dello Stato con il rischio di non riuscire più a trovare nessuno che acquisti i nostri titoli.

Quindi lo spread è un nuovo protagonista della vita politica ed economica del Paese? Probabilmente no, dato che di per sé esso non esiste. È però un importante termometro per capire la situazione dei conti pubblici italiani. Non dobbiamo, quindi, pensare di curare lo spread quanto piuttosto le cause che lo rendono elevato! Ed è proprio questo il problema…

 

About Davide Di Fulvio (6 Articles)
Davide Di Fulvio, laureato con lode in Economia Aziendale e specializzato con stessa valutazione in Amministrazione di impresa, ha operato e tuttora collabora con importanti realtà nazionali e multinazionali nell'ambito consulenziale, dell'industria, dei servizi e del mass market.
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