L’infanticidio legalizzato

Hanno suscitato clamore e indignazione le tesi affermate dagli studiosi Alberto Giubilini e Francesca Minerva, pubblicate anche sul “Journal of Medicin Ethics”, volte a sostenere la legittimità morale e giuridica dell’infanticidio chiamandolo “aborto post-nascita”. L’articolo ha così fatto immediatamente il giro del mondo, suscitando clamore e indignazione in molti, ma anche banalità e indifferenza nelle reazioni di molti colleghi studiosi: «Ormai – ha commentato, ieri, deluso Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’università Cattolica – anche le cosiddette prestigiose riviste internazionali riciclano tesi vecchie e poco consistenti».
Nell’articolo, secondo Pessina, si legittimerebbe l’infanticidio in quanto i neonati, in assenza di condizione patologica, non avrebbero alcun esplicito interesse a vivere e in questo loro limbo coscienziale non godrebbero neanche dello status di persona. Così, l’uccisione di un neonato non determinerebbe alcun reato: «In realtà – precisa il professor Pessina – fin dal suo primordiale sviluppo ognuno di noi manifesta un esplicito interesse alla vita. L’essere persona umana si inscrive in questa condizione esistenziale per cui ognuno si qualifica come “figlio” e non soltanto come puro insieme di organi interpretato dalle leggi della medicina e della biologia. Negare questa lettura del venire al mondo e stravolgere così il senso della stessa generazione umana, significa violare definitivamente la prospettiva etica, che non è mai puro bilanciamento di interessi, di costi e benefici».
Nella nota di protesta, oltre che miope, la posizione dei “difensori dell’infanticidio” viene considerata anche cinica, perché legittimerebbe l’individualismo del più forte, l’adulto sano, il quale non avrebbe alcun interesse allo sviluppo degli interessi di coloro che ha generato: «Si tratta – ha riflettuto il direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’università Cattolica – di una barbarie in doppio petto accademico che di fatto riapre lo spazio dello stigma sociale nei confronti della malattia e, ancora più semplicemente, dell’infanzia, alla quale non si sa più offrire quell’ospitalità che abbiamo imparato a non negare a nessuno straniero».
Inoltre, a detta degli scienziati del Centro di Bioetica dell’università Cattolica, ciò che più dovrebbe far inquietare sarebbe che proprio il concetto di persona, divenuto nella cultura occidentale un percorso agevole per riconoscere dignità e diritti a tutti gli uomini, finisca per essere utilizzato nella legittimazione, sul piano teorico, della più evidente violazione dei diritti dell’uomo.
Dunque, aggiunge l’esperto, non tutelando chi non è capace di auto-tutelarsi, porremmo fine all’idea stessa di democrazia così com’è stata ridefinita dopo le violazioni totalitarie: «In una società liberale e pluralista – conclude Adriano Pessina – ci sono azioni che devono rimanere intollerabili, che non possono cioè essere oggetto solo di biasimo morale ma che richiedono la sanzione giuridica, perché minano le condizioni stesse della convivenza civile».
Fuga di cervelli o cervelli in fuga?
Sul muro del bagno del mio liceo classico campeggiava la scritta: “La filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale si rimane tale e quale” ebbene…, niente di più falso! L’articolo sull’eliminazione dei neonati di due “studiosi” Alberto Giubilini ( o Giùibambini dalla rupe) e Francesca Minerva (o Chiminnervaloelimino) dimostra quanto la filosofia può essere pericolosa, soprattutto per i bambini, in particolare se con qualche imperfezione.
Mi rivolgo ai genitori: oltre alle solite raccomandazioni impartite ai vostri figli, dovete aggiungere anche quella di non accettare caramelle…