“Avarietà” varie, sfuse e confuse
È tempo di polemiche trite, che ciononostante si trascinano a vuoto, quasi potessero ottenere per inerte reiterazione ciò che la ragionevolezza non sostiene, anzi irride e boccia.
Si parla e si sparla dell’Ici sulla prima casa e della Chiesa Cattolica che, tra altri enti (ma questo non conviene ricordarlo), ne viene esentata. È il caso, adesso, che dedichiamo un’altra pagina a richiamare e illustrare le direttive vere della legge italiana sulla tassa immobiliare e sulle sue esenzioni? Inutile, più che difficile: su facebook continuano a dilagare a macchia d’olio velenosi post che pubblicizzano le esenzioni fiscali più o meno direttamente dipendenti dal diritto concordatario mescolandole indistintamente a quelle dipendenti dal diritto internazionale (sì, sarebbe bene distinguere certe categorie, prima di divulgare impunemente calunniose menzogne). A voler essere un tantino consequenziali, infatti, bisognerebbe chiedere a tutte le ambasciate (e a Roma sono stanziati tre corpi diplomatici, mica uno!) di pagare gas, acqua, elettricità e servizio fognario, magari al lordo delle imposte nazionali italiane. E come ci si regolerebbe, poi, per il principio di reciprocità? Converrebbe, ai contribuenti italiani, pagare il riscaldamento dell’ambasciata italiana a Tallin per incamerare il costo del riscaldamento dell’ambasciata estone a Roma?
Ma queste considerazioni, legate a comune buonsenso e consequenzialità logica, esulano largamente dal panorama dei veri intenti della propaganda anticlericale (e anticristiana). Tornielli l’ha già fatto trapelare, cosa cercano anche stavolta i nemici della Chiesa: «E ci sono segnali che proprio in questi giorni, di fronte alla possibilità di dover pagare l’Ici, stia partendo una corsa a vendere, da parte di ordini religiosi che non sono in grado di sostenere i costi di mantenimento». Questo dimostra in un colpo solo due cose: anzitutto che la Chiesa è veramente povera, e che i grandi strumenti che maneggia li ha ricevuti da un passamano plurisecolare; inoltre; a seguire, soprattutto, che l’intento degli anticlericali non è chiedere che veramente tutti paghino (e che possibilmente tutti si paghi di meno), ma espropriare le forze della Chiesa, magari per due soldi.
Tutt’altro che un’idea originale, e tutt’altro che un’idea intelligente: era quello storico natural-positivista francese che fu Hyppolyte Taine a scrivere, nelle sue monumentali Origines de la France contemporaine, che il sacco della Chiesa operato dai giacobini di Robespierre prima e poi dalla sistematica falange napoleonica (di entrambe fu durevole simbolo la Costituzione civile del Clero) fu opera illegittima e miope. «Accumulato da quattordici secoli – scriveva il Taine, retrodatando alla svolta costantiniana il potere temporale della Chiesa –, questo tesoro non è stato formato, accresciuto, conservato che in vista di uno scopo; i milioni di anime che hanno contribuito a ciò avevano tutte un’intenzione precisa. Opera di educazione, di beneficienza, di religione, non d’altro. Non è permesso frustrare la loro legittima volontà: i morti hanno dei diritti nella società, come i vivi, perché questa società di cui i vivi godono i diritti sono i morti che l’hanno fatta».
Pochissimi anni dopo l’opera del Taine, la penna di Leone XIII denunciava (in Custodi di quella fede, 8 dicembre 1892) lo scempio che dell’Italia veniva fatto, in nome dell’anticlericalismo: «E pur di osteggiare la religione cattolica, quali parzialità e contraddizioni! Si chiusero monasteri e conventi; e si lasciano moltiplicare a lor grado logge massoniche e covi settari. Si proclamò il diritto di associazione: e la personalità giuridica, di cui associazioni di ogni colore usano ed abusano, è negata ai religiosi sodalizi. Si bandì la libertà dei culti e intanto odiose intolleranze e vessazioni si riserbano proprio a quella che è la religione degli italiani, ed a cui perciò dovrebbe assicurarsi rispetto e patrocinio sociale». Arcaismi a parte, il testo di Papa Pecci potrebbe ben descrivere le trame ideologiche tuttora sottese alle manovre anticlericali: problema antico, quello della laicità dello Stato, e solo in parte legato alle vicende della “questione romana”, dal momento che fu a causa della ripetuta penalizzazione cavouriana della vita monastica che i gesuiti de La Civiltà Cattolica parafrasarono il motto del Conte in “Chiesa serva in Stato sovrano”.
Non ci si può attardare, ora, su questi testi, ma è bene notare che la disparità di criterio con cui si trattarono i medesimi diritti, a seconda che ne fosse titolare la Chiesa Cattolica o chiunque altro, è la stessa tornata in ballo anche nell’odierna polemica sulla tassa immobiliare. È stata tentata anche l’astuzia “giulianea”, ossia quella di dividere i cattolici tra di loro, dal momento che dopo alcuni giorni di burrascosa dialettica tra i cattolici e i loro avversarî – giorni in cui il laicato cattolico s’è spontaneamente fatto un dovere di fare testuggine attorno ai Vescovi – la dichiarazione di Bagnasco è stata propinata dalle testate (e anche dalle agenzie!) come un inatteso contrordine rispetto alla strenua resistenza divampata in ogni dove, dalla strada al bar al blog a facebook. Astuzia “giulianea” perché il Cardinale Presidente della CEI (carica, questa, che non conferisce affatto il potere di discutere in autonomia leggi concordatarie) s’è limitato a proporre anodinamente due argomenti che – per la loro grande evidenza – erano perfino stati anticipati di poche ore su queste pagine.
Colpaccio in parte riuscito, quello del divide et impera contro i cattolici, stando alla ricostruzione della vicenda che Socci ha fatto nel proprio blog: ad alimentare il risentimento di massa contro la Chiesa ci sarebbe stato l’appoggio, discreto ma visibilissimo, che la Chiesa italiana e (persino) la Santa Sede paiono accordare al governo tecnico di Monti. Vero che i mercati sembrano apprezzare la ricetta del Professore, ma non meno vero che l’impostazione della manovra è sembrata subito programmare una pesante recessione sui cittadini per salvare aziende e banche: è fresca di ieri la proposta di varî emendamenti al progetto di manovra, che mostra come effettivamente il Governo stesso sia pervenuto a più miti consiglî, quanto alla frustata sulla schiena dei contribuenti.
Le prebende, però, hanno sempre catalizzato l’ira “pneumatica” che il mistero della Chiesa necessariamente scatena nel mondo, acconciandola in versioni proponibili e perfino propagandabili: i santi Giovanni e Paolo furono martirizzati, al Celio (in Urbe!), perché custodi dei beni che Costantina, partendo per l’Oriente, aveva voluto donare alla Chiesa. In breve, la Chiesa che comincia ad arricchirsi e a sfruttare per i suoi fini (non trattiamo d’altro) il potere mondano dà un motivo di più all’odio del mondo, ma un motivo che si presenta molto bene agli occhî dell’opinione pubblica, e che pertanto possono coinvolgerla.
In Occidente l’Impero si stava già incrinando, a metà del IV secolo, ma il suo crollo non sarebbe avvenuto che nel V, e per allora il papato romano avrebbe avuto buone forze per sostenere il peso di quel lato d’Europa: la formula era stata trapiantata dall’Egitto e naturalizzata in Europa, ma come Atanasio aveva legato il monachesimo egiziano al nome di Antonio, Gregorio avrebbe legato quello europeo al nome di Benedetto. I laboratorî di preservazione e decantazione dell’antichità – dove si sarebbe prodotta l’alchimia della modernità! – erano i monasteri, «opificî di scienza, e di sapienza, e di pietà». In un monastero (Subiaco) è stata l’ultima conferenza del cardinal Ratzinger (1 aprile 2005), e su “San Benedetto e l’Europa”. Il Santo Padre avrebbe successivamente avuto modo di spiegare che il nome era scelto con uguale riferimento all’immediato predecessore omonimo (Papa Dalla Chiesa) e al fondatore del monachesimo occidentale, per l’analoga cura che i due hanno avuto nei confronti di gravissime crisi europee.
Che la crisi fosse al centro delle preoccupazioni della Chiesa non lo si vede solo dal fatto che le sole contromisure intraprese per resistere alla crisi siano nate e/o siano state coordinate dalla Chiesa, ma pure dal fatto che la Caritas in Veritate (l’enciclica sociale di Benedetto XVI) aveva previsto l’esplosione della crisi economica internazionale con un anno d’anticipo, e per questo è stata ritirata dalle stampe una prima volta perché si potesse monitorare meglio l’evoluzione della situazione. Questo è il principio di lettura della crisi, secondo il Papa: «Dopo tanti anni, mentre guardiamo con preoccupazione agli sviluppi e alle prospettive delle crisi che si susseguono in questi tempi, ci domandiamo quanto le aspettative di Paolo VI siano state soddisfatte dal modello di sviluppo che è stato adottato negli ultimi decenni. Riconosciamo pertanto che erano fondate le preoccupazioni della Chiesa sulle capacità dell’uomo solo tecnologico di sapersi dare obiettivi realistici e di saper gestire sempre adeguatamente gli strumenti a disposizione. Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà» (21).
Si capisce, in effetti, che Benedetto XVI incroci da qualche parte le prospettive d’analisi di Monti: il Professore aveva kantianamente dichiarato, in conferenza stampa, che gli Italiani non devono imputare la loro situazione attuale ad altri che a loro stessi, e che a loro pure sta stringere i denti e risollevare il Paese (benché il problema sia tutt’altro che un problema nazionale); il Pontefice aveva tenuto toni analoghi, prospettando più in dettaglio una via d’uscita dalla situazione nel «mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica» (36).
Per questo le uniche vere tracce d’interpretazione della crisi (se non a livello macrofinanziario – e chi può dire una parola definitiva in merito?) sono venute dal cardinal Scola e fin da subito da Benedetto XVI. Poiché infatti «Gesù Cristo non ha organizzato campagne contro la povertà, ma ha annunciato ai poveri il Vangelo, per un riscatto integrale dalla miseria morale e materiale, lo stesso fa la Chiesa, con la sua opera incessante di evangelizzazione e promozione umana». Così non si salta di palo in frasca, se si passa dalla finanza al varietà di Fiorello e al suo già celeberrimo spot sul preservativo, “salvavita dei pischelli”: sì, perché lo scandalo non sta nel nominare parole che si presumono tabù (in quel caso, comunque, il conduttore avrebbe fatto meglio a inginocchiarsi e a recitare il Credo: sai che effetto!) bensì nell’intendere che il famoso “male minore” consista nel limitare gli effetti di un comportamento sbagliato perché irresponsabile.
Irresponsabile per definizione, laddove rifiuta programmaticamente le conseguenze ovvie di se stesso: ci si dovrebbe accontentare di evitare il peggio, misconoscendo che questo stesso esercizio trasforma gli uomini interi nel peggio. Calzano a pennello alcune parole di Thibon, opportunamente riportate online in questi giorni (la molteplice attestazione è un indice di credibilità della lezione anche nell’era digitale!): «“Non è il vostro peccato, è la vostra avarizia nel peccato a gridare vendetta verso il cielo” – Quel che più mi ripugna nella nostra epoca è questa nauseabonda mescolanza di licenza e circospezione. Tutto è permesso a condizione che nulla faccia male o comporti una responsabilità» (L’illusion féconde, Fayard, p. 91). Il principio di responsabilità ripercorre a ritroso i fondamenti morali della dottrina cattolica sulla contraccezione (ed è bello vedere che dei buoni laici vegliano, mentre certi preti pretendono di disambiguare altri su queste tematiche senza citare, neanche di striscio, la Humanæ Vitæ), mostrandosi come la prevenzione più ragionevole, più umana e più radicale delle derive de-responsabilizzanti.
Quali derive? La cronaca non ha mancato di darne due esempî in rapida successione: Torino e Trento, due ragazze, entrambe sedicenni, due vicende molto diverse, con un terribile punto in comune (l’unico che non s’è voluto mettere in evidenza) – l’ostinata e reiterata negazione delle proprie responsabilità, in fatto di sessualità, a danno di terzi innocenti. Nel caso di Torino, certo, la fretta concitata dell’evento, della bugia estemporanea, della solidarietà e della rabbia xenofoba: si capisce perfino che la ragazza si sia rapidamente accorta di quanto miseramente era crollato il suo maldestro e (quasi) inconsapevole castello di carte. Ben altra (e più triste!) musica a Trento, dove è venuto al pettine un nodo di pressioni psicologiche, ricatti e corruzione nel tessuto di una famigliola per bene: Giorgio Israel ha ben stigmatizzato «questa riduzione dell’autentica dimensione dell’affettività a una miscela di tecnica sanitaria e di sociologismo», e ha dovuto (purtroppo) aggiungere che essa «è il prodotto del connubio di ideologie pedagogiche diffuse non solo in ambito laico ma anche, e largamente, nel mondo cattolico e, più in generale, religioso». Sì, perché Marco Zeni, direttore diocesano di Vita (amara ironia della cronaca!) ha creduto opportuno dichiarare (dagli altoparlanti della radio diocesana!): «Capiamo la enorme difficoltà della famiglia e crediamo che in questa storia vadano sorretti tutti, la ragazza e i suoi genitori».
Alla gongolante inviata di Repubblica non dev’essere parso vero, di avere anche un disastroso quasi-placet della curia trentina su un caso del genere, così ha potuto filosofare, Cinzia Sasso, «che è stata la vittoria della ragionevolezza. D’altra parte, era già successo: un anno fa Sara aspettava un altro bambino e aveva fatto ricorso alla pillola abortiva. Che futuro poteva avere una relazione costruita sul sopruso, sull’irresponsabilità, sulla miseria? Un figlio deve essere il frutto di una scelta consapevole; un bambino ha il diritto di avere una famiglia che lo accoglie».
Ora, la domanda è: come si fa a inveire contro una povera giornalista, che per mestiere presta la sua penna un giorno a un argomento e un giorno a un altro, quando i preti non conoscono il magistero morale della loro Chiesa? Ancora: come si fa a sbrindellare i delirî ex cathedra di Odifreddi, tristissimo nipotino di Voltaire, se una radio diocesana può mostrare “comprensione” per i mandanti del più abominevole degli omicidî, mentre tutti dicono “terminato” un dramma che invece non è che all’inizio?
C’è qualcuno che si rende conto dell’atroce deriva antiumanistica di simili episodî, o sono davvero tutti convinti, con Fiorello, che l’importante sia “attestarsi sul male minore”? Quando poi le diagnosi sono pedestri, le terapie non possono essere migliori: così, secondo la miglior tradizione postfemmista, domenica “le donne” (che gruppo è?) del comitato Se non ora quando? si sono raccolte in Piazza del Popolo a Roma (e in una ventina di altre piazze italiane) al grido di Se non le donne chi?, chiedendo in soldoni che le quote rosa parlamentari arrivino al 50%, e che le stesse non siano più chiamate “quote rosa”, perché il 50% «non serve a tutelare le donne, serve a contenere la presenza degli uomini, non è un fine, ma solo un mezzo per rendere il paese più vivibile ed equilibrato, più onesto, più vero».
Per il momento, però, le donne devono ancora essere tutelate, nel mondo del lavoro: i trionfalistici discorsi delle organizzatrici (e meno male che la pioggia ha fornito loro un alibi accettabile per l’essere state “molte di meno” che a febbraio, anziché “molte di più”, come avevano millantato) non escono fuori dalla logica – veramente problematica – di un mondo del lavoro che fa partecipare le donne solo a condizione che si mascolinizzino, e nella misura in cui lo fanno. Ma perché si stupiscono che una gravidanza sia un problema per il capo, se non sono stranite all’idea di considerarla esse stesse un problema personale e sociale? Cosa trovano di immorale nell’essere licenziate per una gravidanza, o nel vedersi troncata ogni ambizione professionale, se sono davvero convinte che l’aborto rientri nell’àmbito dei diritti?
Qualcosa non quadra, certo: è che non si sono accorte che quello che nei decennî scorsi hanno creduto di chiamare “secondo femminismo” non era, in realtà, che il più astuto travestimento del maschilismo di sempre, dal momento che frustrava nei fatti la loro femminilità mentre a parole protestava di esaltarla. Non se ne sono accorte, e non c’è da sperare che se ne accorgano ora, imbevute d’ideologia come ancora sono (perché altrimenti chiedere che una percentuale di posti di lavoro vada a delle persone perché sono di un sesso piuttosto che di un altro?), tuttavia – parafrasandone lo slogan – se non loro, chi?
Uno spaccato terribilmente confuso, quello dei nostri giorni, e la crisi sembra essere insieme la cartina di tornasole e il detonatore di tensioni che gettano le radici chissà dove, chissà quando. Ciò che è certo è che i nodi tra Stato e Chiesa non sono stati risolti per mezzo di un Concordato; i conflitti tra coscienza e autorità sembrano tanto più fuori controllo quanto più aumentano le dichiarazioni di principio; il dialogo tra la Moda e la Morte resta una delle poche cose quasi eterne del teatro umano del mondo.
http://www.treccani.it/vocabolario/brachilogico/
http://www.treccani.it/istituto/profilo/persone/comitato_donore/
Buon Natale a Lei, Giovanni! “Brachilogico” mi mancava!!! 🙂 Inizii una “crociata nonviolenta” contro le amplificazioni retoriche, Lei che può; ne gioveremo tutti, credo e spero…
Se posso, Peppe, posso perché devo: quod me enim nutrit, me destruit, scio.
Anche lei, tuttavia, mi sembra tutt’altro che sprovvisto di mezzi… forse questa crociata nonviolenta la combatte già da tempo, o per tempo l’ha già combattuta…
Scusate il disturbo,
Ma sospesi come siamo tra “Das Ganze im Fragment” e “Rock’n Roll”, “prendere appuntamento” con p. Adolfo Nicolas SJ, così possiamo provare a capire quanto la Chiesa può aiutare la politica intesa come scienza della polis e viceversa (LG 8).
“Se la Chiesa non ha altro scopo che il proprio servizio, essa porta in se stessa le stimmate della morte”. (Karl Barth)
Citazione tratta da “‘Gesù sì, la Chiesa no’. Perche amare la Chiesa” di Jean Cadilhac, Città Nuova, Roma 1996 (con approvazione ecclesiastica).
Buona Solennità della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo
Buon Natale, Peppe, e grazie. Anche se un tantino brachilogico, il suo intervento sottolinea bene (mi par di capire) lo sforzo che tentiamo di fare.
Grazie del suo cortese seguirci e interpellarci.