Nigeria: “No alla violenza”
«Cessi immediatamente lo spargimento di sangue di tanti innocenti». Questo l’appello che Benedetto XVI ha lanciato ieri, durante l’udienza generale, prendendo la parola dopo la catechesi, preoccupato profondamente per «le notizie che provengono dalla Nigeria, dove continuano gli attentati terroristici diretti soprattutto ai cristiani».
È alta la tensione nel territorio africano che, ogni domenica, con drammatica puntualità, si trova ad affrontare una escalation di violenze che minacciano le relazioni tra le comunità religiose presenti soprattutto nella zona settentrionale del Paese. È per questo che il Papa, auspicando «la piena collaborazione di tutte le componenti sociali della Nigeria, perché non si persegua la via della vendetta, ma tutti i cittadini cooperino all’edificazione di una società pacifica e riconciliata, in cui sia pienamente tutelato il diritto di professare liberamente la propria fede», ha favorito, il mese scorso, l’invio di una delegazione islamo-cristiana in Nigeria. Una rappresentanza di alti dirigenti musulmani e cristiani guidata dal reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) e dal principe Ghazi bin Muhammad di Giordania, presidente dell’Istituto reale per il pensiero islamico Aal Al-Bayt, giunta Kaduna e Jos «non solo ad incoraggiare la fine della violenza – ha affermato Tveit alla presenza di funzionari governativi, leader religiosi, capi tradizionali e famiglie vittime di violenza – ma anche per servire come esempio di cooperazione interreligiosa per la promozione della pace e l’armonia tra persone di diverse religioni».
L’appello del Pontefice a non reagire si aggiunge a numerose dichiarazioni. Già il sinodo generale della Comunione anglicana aveva approvato una mozione in cui si chiedeva al governo britannico di «fare tutto il possibile per la protezione delle minoranze religiose di tutte le fedi in Nigeria» e la Chiesa unita di Cristo in Nigeria si era espressa, attraverso il presidente Emmanuel Dziggau, invitando a pregare e a non rispondere con altra violenza alle “provocazioni”.
Certo è che gli attentati «non sono il segno di un conflitto religioso, ma sono causati da un gruppo di criminali che fingono di avere interessi religiosi ma che in realtà non sono condivisi dalla maggioranza di musulmani nigeriani». Lo ha affermato John Onayekan, arcivescovo cattolico della capitale nigeriana Abuja. Dietro la strategia di Boko Haram, sigla del terrore islamica, infatti, in tanti scommettono che ancora una volta la religione sia utilizzata come pretesto di guerra e per questo la risposta – l’esortazione ovviamente vale dove l’emergenza è più intensa, ma anche in tante altre situazioni di conflitto – è essenziale trovarla in campo politico ed istituzionale e in quel “ideologismo storico” che vorrebbe i cristiani come espressione del “cultural imperialism” occidentale.