Mantello, bastone e scarsella
Ricorderete i molti rischi a cui erano esposti i pellegrini nei tempi antichi: viabilità, incertezze, imprevisti, malattie, ospitalità ecc. (link). In queste condizioni, la morte durante il viaggio era un’eventualità tutt’altro che remota: lo dimostrano le tombe anonime che si trovano talvolta lungo le vie di pellegrinaggio, sulle quali il disegno del bastone e del cappello segnala il triste esito del viaggio rimasto incompiuto. I pellegrini erano ben consapevoli di quanto fosse rischioso partire a quei tempi, e non erano pochi quelli che prima di mettersi in cammino si confessavano e stendevano testamento. I più ricchi spesso lasciavano donazioni alla Chiesa, che a sua volta si impegnava a mantenere l’eventuale vedova e i figli orfani. Nel corso del tempo si definì un vero e proprio rituale della partenza, che prevedeva innanzitutto la benedizione del pellegrino, che, nel corso di una messa appositamente celebrata, chiedeva perdono a tutti coloro che aveva offeso. Si fissò (a partire dall’XI sec.) anche un preciso abbigliamento del pellegrino, che è ben riconoscibile in molta parte dell’iconografia medievale: esso è costituito da un bastone (bordone), utile come sostegno nel cammino ma anche come arma di difesa (aveva infatti una punta di ferro contro i possibili aggressori); una bisaccia o scarsella, di piccole dimensioni, che contenesse il necessario alla sopravvivenza; stivali, mantello e cappello a falde larghe, per difendersi dalle intemperie o dalla calura del sole. Abbigliamento molto semplice, ma carico di significati simbolici, perché rappresenta la natura stessa del pellegrino, esposto ai capricci del clima e agli assalti dei predoni, mortificato nel corpo e nell’anima.
Questo tipo di abbigliamento aveva anche la funzione di rendere riconoscibile il pellegrino distinguendolo dagli altri tipi di viaggiatori che attraversavano le medesime strade. Questa esigenza nasceva proprio dal desiderio di aiutare questa categoria disagiata, agevolandone il più possibile il viaggio e difendendola dai pericoli. Infatti, soprattutto in età medievale, le autorità ecclesiastiche e civili si impegnarono non più solo ad abbellire i luoghi santi per attirare i fedeli, ma anche a intervenire nella regolamentazione dei pellegrinaggi, emanando leggi e prendendo iniziative a sostegno dei pellegrini: si pensi ad es. ai capitolari emanati dai sovrani carolingi per preservare i pellegrini come categoria privilegiata, incoraggiandone la difesa, l’ospitalità e l’aiuto. Il termine peregrinus, affermatosi soprattutto a partire dall’alto medioevo, indicava gli individui che percorrevano il territorio esterno alla città (per agros), cioè gli stranieri, che non appartenevano alla comunità locale ed avevano bisogno di protezione giuridica, di ospitalità e di cibo: costoro fin dall’alto medioevo erano considerati fra le categorie sociali deboli, assieme ai pauperes, agli infermi e a tutti gli impotentes bisognosi di tutela.
Praticamente da sempre la Chiesa si è presa cura dei fedeli lontani da casa, impiantando nei luoghi meta di pellegrinaggi edifici e istituti finalizzati all’accoglienza e alla cura di queste persone. Già dal VI secolo, per la forza di attrazione dei grandi santuari, nelle aree suburbane funerarie sorsero edifici, ambienti e strutture per i religiosi e per l’esercizio della carità verso poveri e pellegrini; essi crebbero fino a diventare veri e propri villaggi, che furono fortificati in periodo alto-medievale. San Pietro, san Paolo e san Lorenzo a Roma, il santuario di san Vincenzo a Lucca, quello di san Gregorio a Spoleto, quello di san Giovenale a Narni, quello di Cimitile legato al complesso di san Felice nolano, sono solo alcuni degli agglomerati urbani sorti in corrispondenza di tombe martiriali, che, attirando pellegrini e incoraggiando le attività liturgiche, assistenziali ed economiche, diedero vita gradualmente a piccoli borghi. Questo processo ha inizio con la costruzione del santuario al di sopra della tomba; attorno ad esso si dispongono successivamente spazi funerari, ambienti di servizio, edifici con funzione liturgica e monasteri per i monaci-custodi, strutture assistenziali e per l’accoglienza di stranieri e pellegrini (habitacula pauperum, xenodochia, scholae), strutture residenziali, abitative e commerciali, e vie di comunicazione; ultimo atto di questo graduale processo è la fortificazione dell’agglomerato stesso.
Come in Occidente così in Oriente l’assistenza ai pellegrini divenne ben presto responsabilità dei monaci. Con tale obiettivo nacquero ad esempio il monastero di san Gerolamo a Betlemme (IV secolo) e più tardi i tanti monasteri benedettini (dal IX secolo) che investirono notevoli somme in questa attività. Già dal XII sec. sulle rotte dei grandi pellegrinaggi esisteva un’ampia rete di ospizi ben organizzati, gestiti da vari ordini religiosi, disposti a distanza strategica (in genere non più di una giornata di cammino) l’uno dall’altro. Col passare del tempo l’accoglienza ai pellegrini divenne un peso oneroso per i monasteri, che dovettero fissare limiti per il numero di pellegrini da alloggiare e la durata del soggiorno. Un caso speciale è rappresentato da Roma, dove, soprattutto a partire dal grande Giubileo del 1300, fu messa in moto una notevole organizzazione per l’accoglienza, con costruzione di decine di ospedali pubblici e ospizi specifici per le singole nazionalità. Si può a ragione dire che dal Seicento in poi l’accoglienza dei pellegrini (a Roma e non solo) divenne un vero e proprio businnes … non meno di quanto lo sia oggi!