Profeti in patria
Nel giorno dell’Ascensione di Nostro Signore, la liturgia propone la lettura del primo capitolo degli Atti degli Apostoli. Ricostruendo gli ultimi momenti della presenza di Cristo tra i suoi discepoli, Luca pone l’accento da una parte sulla promessa dello Spirito Santo, dall’altra sulla missione universale di cui gli apostoli sono investiti: «Avrete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Nelle parole del Risorto emerge chiaramente il legame inscindibile che esiste tra il dono dello Spirito e la missione evangelizzatrice: il primo è presupposto irrinunciabile della seconda e la seconda è conseguenza inevitabile del primo. Quanto alle località indicate come meta della missione apostolica, è interessante osservare l’ordine, geografico e logico al tempo stesso, in cui esse sono elencate: i primi destinatari del Vangelo saranno gli abitanti di Gerusalemme, centro vitale della religione ebraica, sede della passione, morte e risurrezione del Cristo, luogo in cui i discepoli hanno appreso il fatto sconvolgente della Risurrezione, hanno vissuto i quaranta giorni di «preparazione intensiva» alla scuola del Risorto e tra breve riceveranno lo Spirito promesso e inizieranno a «parlare lingue nuove» e a proclamare che «Gesù Cristo è il Signore»; poi la regione circostante, la Giudea; poi la Samaria, nominata non solo perché confina con la Giudea, ma anche perché rappresenta il mondo degli «infedeli», dei non ebrei; essa apre l’orizzonte a tutte le terre che riceveranno il messaggio cristiano.
Le parole del Risorto non interessano solo la prima generazione apostolica, ma riguardano i fedeli di ogni luogo e di ogni tempo, che, in quanto Chiesa, condividono la stessa missione evangelizzatrice degli apostoli. L’anno 2012-2013 – caratterizzato, come abbiamo visto (link) da due eventi fondamentali come il Sinodo dei vescovi (nel mese di ottobre 2012) e l’indizione dell’anno della fede da parte di Benedetto XVI – ha riportato al centro il tema della «nuova evangelizzazione», anticipato da Paolo VI nell’Esortazione Evangelii nuntiandi e proposto come emergenza da Giovanni Paolo II, che adoperò per primo questa espressione nel discorso tenuto a Nova Huta il 9 giugno 1979: «È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso». Dalle parole del pontefice emerge che il carattere peculiare della «nuova evangelizzazione», cioè la novità, non riguarda il contenuto, che anzi è e deve essere sempre lo stesso, ma altro. Lo stesso pontefice, nel discorso alla XIX Assemblea del CELAM a Port au Prince (9 marzo 1983), precisava che non si tratta di una «ri-evangelizzazione», come se la prima andasse corretta o migliorata, bensì di una nuova evangelizzazione, «nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni». In altre parole, si rende necessario un nuovo modello, un nuovo modo di annunciare il Vangelo, che sappia rispondere in maniera concreta ed efficace alle problematiche, alle dinamiche, alle «novità» politiche, sociali, economiche, psicologiche, filosofiche, religiose, dei nostri tempi, nei quali parlare di Cristo diventa una sfida, impegnativa tanto nei paesi tradizionalmente cristiani, quanto in quelli per così dire «digiuni» di cristianesimo.
Da queste prime considerazioni, appare chiaro che, nel progetto di Giovanni Paolo II, la nuova evangelizzazione avrebbe dovuto coinvolgere anche «i popoli di antica cristianità», alle prese oggi con un dilagante relativismo, che facilmente sfocia in ostentato e volontario ateismo. Soprattutto con Benedetto XVI l’attenzione è stata rivolta in modo particolare verso l’Occidente, che per tradizione e per storia dovrebbe essere già cristiano, ma che manifesta il bisogno di un «rinnovato slancio missionario». L’Instumentum laboris chiarisce che lo sforzo di una nuova evangelizzazione in questa realtà costringe la Chiesa a interrogarsi sulle cause profonde che hanno portato alla secolarizzazione della cultura, al relativismo e alla crisi della fede. Tra le molte ragioni, il documento pone l’accento sulla qualità della pastorale per così dire «old-style», la quale «corre il rischio di trasformarsi in una attività ripetitiva e poco capace di comunicare le ragioni per le quali è nata». I documenti recenti, primi fra tutti il già citato Instumentum laboris e i Lineamenta, invitano a superare lo stile «conservativo» che spesso ha assunto la pastorale negli ultimi tempi. La tendenza spesso riscontrabile negli ambiti dell’animazione pastorale è quella a rendere ripetitivo, monotono e in definitiva perfino noioso, l’annuncio, così che le catechesi, gli incontri, persino le omelie, vengono disertati da buona parte dei fedeli, che in essi non trovano né interesse né stimoli né ragioni di progresso personale e comunitario.
Come abbiamo già detto, non è il contenuto a dover cambiare, ma il metodo. I documenti preparatori al sinodo parlano di «nuovi stili di azione pastorale»; essi però non offrono ricette precostituite, ma lasciano ai responsabili di questi campi la possibilità di prendere libere iniziative. D’altra parte, come testimoniano gli Atti e le Lettere, anche gli apostoli si muovevano nell’area mediterranea nelle diverse comunità portando sempre il medesimo annuncio, ma adattando il proprio metodo di insegnamento alle circostanze concrete. Il loro esempio insegna che anche oggi non è possibile presentare un annuncio stereotipato, a volte persino scolastico (si pensi a come si svolgono nella maggior parte dei casi gli incontri di catechismo per bambini o adulti), che spesso risulta freddo, poco coinvolgente, o peggio ancora poco convincente e inefficace. Il buon pastore conosce il suo gregge, sa come parlare alle sue pecore, sa cosa è giusto per loro e sa come presentarglielo perché esse ne traggano giovamento. A questa immagine devono ispirarsi i pastori della nuova evangelizzazione, affinché essa sia veramente efficace e non un’effimera, inconcludente, teorizzazione senza alcuna ricaduta effettiva sulla vita dei credenti.
Attenzione a non trasformare la Chiesa nell’ennesima agenzia di comunicazione in cerca di marketing: a volte il silenzio educa più delle parole cosiddette “efficaci”, purchè sia corroborato dall’esempio e dal sincero amore reciproco.