Tratta: “Gli uomini e le donne sfruttate devono morderci la coscienza”
Nell’ultimo anno, la prostituzione nell’area metropolitana pescarese è aumentata del 15%, essendo per il 50% rumene, per il 10% nigeriane e per il l'8% italiane
«Gli uomini e le donne che vengono sfruttati, attraverso la tratta, devono morderci la coscienza. Intanto, i naufragi degli immigrati continuano, ricordandoci anche di un altro naufragio: quello delle nostre coscienze». È stato questo il duro atto di accusa rivolto martedì da don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera e del Gruppo Abele, alla responsabilità dei cittadini nei confronti dei drammi della tratta di persone, dell’immigrazione clandestina e dell’accoglienza degli immigrati. Temi che interpellano soprattutto i cittadini di domani come gli studenti delle scuole secondarie pescaresi Marconi, Galilei, Aterno ed Acerbo, che hanno gremito la Sala consiliare del Comune di Pescara per assistere al convegno dal tema “Immigrazione e traffico di esseri umani” organizzato dalla Caritas diocesana di Pescara, con il patrocinio dell’amministrazione comunale pescarese rappresentata dal sindaco Marco Alessandrini: «Un grido – auspica don Ciotti – si alzi nel nome della libertà, affinché viviate per gli altri. Questa è la forma più alta di libertà, rispetto al conformismo ed all’indifferenza che sono le più alte forme di schiavitù. Ragazzi, vi auguro di vivere e di non lasciarvi vivere».
E gli altri ai quali il noto sacerdote anti-mafia ed anti-tratta faceva riferimento, a Pescara, si chiamano soprattutto prostitute sfruttate economicamente da organizzazioni criminali. Non a caso, nell’ultimo anno, la prostituzione nell’area metropolitana pescarese è aumentata del 15%. Lo afferma l’indagine intitolata “Vite in affitto. Ricerca-Azione sulla tratta degli esseri umani”, elaborata dalla Caritas pescarese che, in collaborazione con l’associazione On the Road, negli ultimi 18 mesi ha dato vita al progetto Agar: «Con questa iniziativa – spiega Valeria Pellicciaro, coordinatrice del progetto – abbiamo indagato le connessioni esistenti tra il fenomeno delle donne vittime di tratta e richiedenti asilo politico. Lo abbiamo fatto inviando nostre unità di strada ad incontrare le prostitute nell’area territoriale compresa tra Francavilla al mare e Silvi Marina, passando attraverso Pescara e Montesilvano, riuscendo a prendere in carico cinque donne richiedenti asilo, con i rispettivi quattro figli, presso il nostro Sportello di accoglienza».
Da questo monitoraggio, è emerso che le donne che si prostituiscono nell’area metropolitana pescarese sono per lo più maggiorenni, attualmente per il 50% rumene, seguite da un 10% di nigeriane e da un 8% di italiane. Un dato, quest’ultimo, in continua evoluzione considerando che solo nel mese scorso sono state rilevate il 65% di donne romene, il 10% di italiane, il 7% di nigeriane, ed il 6% di bulgare e tunisine. Il fenomeno della prostituzione, comunque, trae origine dall’immigrazione la quale, a sua volta, è causata da tre ragioni: «La prima – sottolinea monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes – è l’elevata povertà, nonostante i poveri assoluti siano diminuiti di 173 milioni dal 1990 per quanto la popolazione del pianeta sia passata da 5 miliardi e mezzo a 7 miliardi e, nel 2013, una persona su otto soffriva costantemente la fame. C’è poi il fenomeno della tratta di persone, non solo a scopo sessuale, dovuta anche al lavoro nero ed, infine, guerre, disastri ambientali e persecuzioni politiche e religiose che producono migrazioni forzate, riguardanti almeno 50 milioni di persone».
Dall’immigrazione, dunque, si arriva tratta di esseri umani che in Italia imperversa, nell’indifferenza di cittadini ed istituzioni. Fra queste ultime, però, il Ministero dell’Interno già da anni ha attivato lo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati: «Fino allo scorso anno – ammette Daniela Di Capua, responsabile del Servizio centrale Sprar – questo sistema di accoglienza aveva un peso minimo nel nostro Paese. E comunque, anche attualmente non esiste un sistema unico ordinario e strutturato per l’accoglienza dei richiedenti asilo che arrivano in Italia, nonostante ciò costituisca un obbligo. L’anno scorso abbiamo ricevuto finanziamenti per 3 mila posti in accoglienza, mentre quest’anno abbiamo ricevuto finanziamenti per 20 mila di essi. Nello specifico, con lo Sprar, ci occupiamo di quello persone idonee a chiedere asilo, ovvero protezione in quanto insidiate nella possibilità di usufruire dei diritti umani fondamentali. Concedere a queste persone la possibilità di accedere alla protezione, vuol dire sostenere un sistema di legalità essendo quello un diritto riconosciuto dalla legge».
E proprio le istituzioni, in particolare, sono state oggetto di un forte richiamo da parte della Chiesa italiana: «Assistiamo – denuncia monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara e membro del Consiglio episcopale permanente Cei – ad un’assenza di coordinamento tra i ministeri competenti in materia, oltre che a difficoltà economica che impediscono di governare ed implementare una cabina di regia avente compiti di monitoraggio e valutazione degli interventi da compiere. Inoltre, le procedure dei bandi di finanziamento di progetti sono farraginose e, comunque, gli stessi bandi avendo scadenze annuali non consentono di programmare gli interventi. A ciò si aggiungono difficoltà relazionali tra magistratura e Forze di Polizia, per quanto concerne il rilascio di permessi di soggiorno e nulla osta alle presunte vittime». Problematiche, queste, su cui la Pubblica Amministrazione è chiamata ad intervenire, invertendo la tendenza: «Un intervento del Governo italiano in materia di tratta di esseri umani – conclude monsignor Valentinetti – non è più rinviabile, dovendo adottare risorse umane e finanziarie adeguate ed istituire un fondo unico nazionale anti-tratta».