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L’aborto “disinvolto”

Decidere come sarà l'umanità del futuro, spetta al Parlamento Europeo?

L’aborto è legale? Di più, da ieri, è anche un diritto. L’Aula del Parlamento di Strasburgo ha approvato a larga maggioranza – 441 sì, 205 no e 52 astenuti – la relazione curata dal socialista italo-belga Marc Tarabella, che verteva sulla parità uomo-donna. Il documento ha ottenuto il favore del Parlamento europeo anche nella parte che legittima «l’accesso agevole alla contraccezione e all’aborto».

L’«acceso agevole», praticamente un aborto sempre più “disinvolto”.

Tarabella ha subito tenuto a precisare che la relazione «non è a favore o contro l’aborto. Si tratta di uguaglianza e di diritto di decidere, che è un diritto fondamentale». Allora, leggiamo un passaggio del documento promosso dal parlamentare socialista belga: «Il Parlamento europeo insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva».

Appare evidente, dal testo, come la giustificazione di Tarabella – secondo la quale la relazione «non è a favore o contro l’aborto. Si tratta di uguaglianza e di diritto di decidere, che è un diritto fondamentale» – sia in realtà un vero e proprio sofisma mascherato dalle parole equivoche “accesso agevole”. Non è vero che il documento tutelerebbe il generico “diritto a decidere”, quindi ad abortire; piuttosto tutela lo specifico “diritto ad abortire”, quindi a decidere tutte le “premure del caso” per attuare l’aborto. La “consecutio logica” non è una formalità, è sostanziale. Per quanto riguarda le “premure del caso”, ad esempio, si dovrà vedere cosa è previsto per l’obiezione di coscienza: sarà consentito ancora ai medici di esercitare questo diritto? Per riconoscere il presunto “diritto all’aborto”, quanti altri diritti verranno negati – come nel caso dell’obiezione di coscienza? La relazione Tarabella, in sintesi, è un grande spot a favore della contraccezione e dell’aborto. Una promozione che vuole spazzare tutta una concezione della dignità della persona umana, quella che considera intoccabili i diritti del nascituro; fondata sul diritto a nascere ovvero a non-morire, contro il diritto a morire ovvero a non-nascere. Contro il documento Tarabella la Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche (FAFCE) si è attivata nei giorni scorsi raccogliendo circa cinquatamila firme e dichiarando la propria opposizione al testo, invitando a promuovere aiuti concreti a sostegno della gravidanza non all’aborto. L’opposizione al documento Tarabella, tuttavia, non dovrebbe essere solo “cosa cattolica”, ma dovrebbe essere “cosa della Repubblica”. Ricordiamo, infatti, che la legge 194 – nonostante l’applicazione blanda che se ne fa – riconosce l’aborto solo come “extrema ratio”, nei casi di pericolo per la vita della donna o per gravidanza indesiderata ma entro certi limiti espressi dalla legge.

Nel corso delle votazioni, il Ppe ha presentato un emendamento, poi approvato dall’Aula, che inserisce nella relazione la sottolineatura che la legislazione sulla riproduzione è di competenza nazionale. Un compromesso di facciata che in realtà scontenta tutti: i sostenitori della relazione Tarabella, ché volevano un riconoscimento pieno del presunto diritto all’«accesso agevole»; lo stesso Ppe, perchè si è spaccato sul voto facendo vincere le sinistre. Ricordiamo che il Ppe è il Partito popolare europeo, un partito politico europeo che riunisce forze di centro e di centro-destra – forze classificabili come moderate e democristiane. Ed è – o dovrebbe essere – il più grande ed influente gruppo politico del Parlamento europeo con 221 eurodeputati. Insomma, il maggiore partito politico europeo si è spaccato ed è stato battuto proprio su un documento che si esprime in materia di diritto alla vita e di tutela dei diritti alla persona; diritti che sfuggono sempre di più al controllo delle coscienze dei cittadini, per essere lasciate all’arbitrio di parti politiche che – per definizione – rappresentano solo “una parte”. Sui principi inalienabili, come quelli della persona, non dovrebbero decidere le “parti” o, peggio, “correnti di pensiero” alla moda; così, ugualmente, non dovrebbe essere consentito ad organi istituzionali di plasmare a piacimento la cultura di un popolo, quello europeo, che poi popolo non è ancora.

Decidere chi nasce e chi muore; chi si sposa e chi no; chi è genitore e chi non lo è; cosa è famiglia e cosa non lo sia, non è solo questione di “diritto”. Significa decidere come sarà l’umanità del futuro, con tutta la complessità che la parola racchiude. Pensando al caso specifico dell’Italia, ci assale una domanda: se su questi argomenti – tutti, o quasi – si affannano, e le diverse parti cozzano l’una con l’altra, perché nessuno si attiva per andare al referendum? Magari l’esito non sarà quello che ci aspettiamo, ma è preferibile, forse, che a decidere il futuro dell’umanità siano gli eurodeputati o i tribunali, addirittura i sindaci, in alternativa i prefetti?

Domani gli eurodeputati si pronunciano sul testo di Panzeri, che incoraggia le Istituzioni ad approvare le nozze tra persone dello stesso sesso.