“Un umanesimo della concretezza per riaprire l’orizzonte disumanizzante”
"Ciò che serve - sollecita il sociologo - è piuttosto un metodo, quello dell’ex-odos (un esodo, un uscire) e del syn-odos (un sinodo, un camminare insieme), che permetta di attraversare, abitandole, la mancanza (a essere) e il desiderio di altri che continuano a interpellare l’uomo contemporaneo"
«Per riaprire l’orizzonte chiuso e disumanizzante in cui rischia di finire l’umanesimo esclusivo, occorre un nuovo umanesimo della concretezza che, guardando a Gesù Cristo, torni a essere capace di quella postura relazionale, aperta, dinamica, affettiva, generativa, verso cui ci sospinge continuamente Papa Francesco con l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudato si».
Ne è convinto Mauro Magatti, ordinario di sociologia presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, che oggi a Firenze ha tenuto una delle due relazioni introduttive ai lavori nei gruppi, nell’ambito del Convegno ecclesiale nazionale, sulle cinque “vie” indicate nella Traccia: «Essere concreti – spiega Magatti -, significa non disgiungere i mezzi e le possibilità nella consapevolezza che tutto è connesso, ossia rimanere attaccati alla realtà particolare senza perdere la prospettiva dell’universale».
Espressioni di concretezza, a detta dell’esperto, in Italia sono il volontariato, le cento città, l’artigianato, l’arte, la cura e la carità, le tante forme di sussidiarietà ed economia civile, la famiglia: «Sono queste – sottolinea – che possono aiutarla ad uscire dalla sua crisi di identità e costituire un antidoto contro gli esiti del trans-umano e del disumano».
Ma non si batte l’astrazione con un’astrazione: «Ciò che serve – sollecita il sociologo – è piuttosto un metodo, quello dell’ex-odos (un esodo, un uscire) e del syn-odos (un sinodo, un camminare insieme), che permetta di attraversare, abitandole, la mancanza (a essere) e il desiderio di altri che continuano a interpellare l’uomo contemporaneo».
Tutto questo, auspicando una Chiesa ardente: «Coraggiosa – continua Mauro Magatti -, povera, in cammino, che si sa popolo e vicina al popolo, guarda con simpatia ogni uomo, soprattutto chi è scartato».
Questa, secondo ordinario di sociologia presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, la grande responsabilità della Chiesa nella sfera pubblica contemporanea: «Mai come in questo momento – aggiunge -, è necessario coltivare la fratellanza e l’ospitalità. Se, come rete sinodale radicata in tutto il Paese, ci facessimo convertire dai due movimenti dell’uscire – avviandoci verso quell’umanesimo della concretezza verso cui ci sollecita Papa Francesco – e del trasfigurare, l’annuncio tornerebbe a essere ascoltato, la fede a radicarsi nella carne del Paese, l’intera società italiana a mettersi in cammino».
Rilanciare l’economia, affrontare l’emergenza profughi, accompagnare il cambiamento demografico: queste le sfide per l’Italia, che sono anche occasioni per vivificare la nostra Chiesa. Ma non solo: «L’umanesimo della concretezza – osserva il sociologo Magatti – suggerisce di cercare le soluzioni nella tessitura di nuove alleanze, rimettendo insieme l’educazione con il lavoro, la famiglia con l’ospitalità, l’efficienza con il senso. Non si tratta di cominciare da zero. Le nostre comunità sono già al lavoro. Senza clamore».
Per Magatti non si può non partire dalla questione storica dei rifugiati: «Papa Francesco – ricorda – ha invitato a un’ospitalità diffusa, con lo stesso stile si potrebbe lavorare attorno al tema di una generazione di giovani che non studia e non lavora, rilanciando gli oratori come luoghi di trasmissione di competenze lavorative».
Pensando al cambiamento generazionale, Magatti invita poi ad accompagnare e sostenere, anche mettendo in campo i patrimoni ecclesiali, nuove forme dell’abitare, più consone ai corsi e percorsi di vita, lunghi, articolati, qualche volta tortuosi, delle persone e delle famiglie di oggi: «La Chiesa italiana – conclude lo studioso – ha, nei confronti dell’Italia, una grande responsabilità: essere custode audace e creativa di una storia e di una terra, che hanno molto da dire al tempo che l’umanità sta vivendo. La società italiana ha bisogno di una Chiesa viva, sempre più capace di trasfigurazione e in uscita. Maestra di umanità, perché capace di parresia e ricca di misericordia».