“Sono vivo, ed è solo l’inizio” di Laura Campanello
«Un libro per tutti, per confrontarsi con quella parte della vita che vogliamo dimenticare: il limite, il dolore, la malattia, la morte, il lutto. Perché, se dimentichiamo e tacciamo questa parte, ci dimentichiamo di vivere e tacciamo la vita stessa.»
Leggerezza e serietà. Mantenere in equilibrio tra questi due poli la riflessione sulla vita e sulla morte, accompagnando il lettore in una meditazione sulle questioni ultime senza appesantire, anzi, alleggerendo il cuore, è la nota peculiare di Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte (Mursia, pp.268), un sapiente libro di Laura Campanello, specializzata in Pratiche Filosofiche e socia fondatrice di Sabof (Società di analisi Biografica ad Orientamento filosofico), con un’esperienza decennale in qualità di filosofa e consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e al reparto SLA e stati vegetativi della RSA Villa dei Cedri di Merate. Fin dal titolo, un aforisma di Alberto Casiraghy (Book ed. 2006), Sono vivo, ed è solo l’inizio è un invito a riscoprire la vita e la morte come indissolubilmente connaturate. Non esiste l’una senza l’altra. «È un libro per tutti – scrive l’Autrice nell’introduzione –, per confrontarsi con quella parte della vita che vogliamo dimenticare: il limite, il dolore, la malattia, la morte, il lutto. Perché se dimentichiamo e tacciamo questa parte, ci dimentichiamo di vivere e tacciamo la vita stessa».
In Occidente, nella nostra epoca ancor più che in quella dei nostri nonni e genitori, la morte è il «grande rimosso». È presente nella nostra vita come una specie di musica di sottofondo alla quale prestiamo ascolto distrattamente, camuffandola il più possibile con tutte le voci della vitalità, del benessere, dell’efficienza e dell’entusiasmo ostentato. La morte va negata, tralasciata, neppure nominata: il morto è il “caro estinto” che “ha lasciato questa terra”. La morte non è argomento adatto per i bambini, neppure per gli adolescenti: “meglio non sapere”. Se soffri, “devi reagire”; se sei depresso per un lutto, “fatti curare”; se sei malato, “devi combattere”; se perdi qualcuno, “devi tornare presto alla normalità”. Per tutto il resto ci sono la tecnica e la medicina, che promettono di “guarire tutte le malattie” e di “alzare l’aspettativa di vita”. Questo modo di pensare dominante ha creato un’epistemologia, un modo di vedere il mondo e di dare senso alla vita, secondo cui la morte, il dolore, il limite, la malattia, l’invalidità, l’infermità sono da considerare dei nemici da combattere. La morte, con le sue «anticipazioni», non va più compresa ma combattuta. La morte non è più parte integrante della vita: la vita deve essere sempre in lotta con la morte.
Quando la morte non è accettata come parte della vita, due sono le possibilità per l’uomo: mettere in atto un tentativo sfibrante e prometeico di rifuggire la morte, vivendo spesso con superficialità o delirio di onnipotenza, oppure, perdere il senso e la gioia di vivere in nome del fatto che, se questa vita deve finire, allora non ha senso vivere. Così la vita umana si costruisce e si esprime sempre come una lotta, una battaglia tra la vita e la morte. Si vive come in apnea, sospesi, in attesa di qualcosa d’ignoto e terribile che incombe su di noi. Anche chi si professa cattolico, pur credendo nella risurrezione e nella vita eterna, può avere concretamente difficoltà a sopportare il dolore per un lutto, la fatica di una malattia, l’approssimarsi della morte se in vita non ne ha contemplato profondamente il mistero. Così quando la morte arriva in “pratica”, perché arriva, trova spesso uomini impreparati, impotenti, atterriti. Impreparato chi muore, impreparato chi è colpito dal lutto, in alcuni casi impreparati anche i medici e gli operatori sanitari nel rapportarsi con il malato e i parenti. Laura Campanello conosce bene «La morte, in pratica», titolo dell’ultimo capitolo del libro, perché la incontra in carne e ossa tra i malati oncologi, nei reparti riservati ai malati di SLA e in stato vegetativo, tra le persone di cui si prende cura attraverso la pratica filosofica, ossia l’esprimersi in concreto della filosofia nella vita.
La filosofia classica, sopratutto, aveva ben compreso l’indissolubile appartenenza tra vita e morte ponendosi come fine la cura dell’anima: l’essenza della filosofia era esercitarsi a vivere e morire. Ogni scuola elaborava diversi «esercizi filosofici» per aiutare gli adepti a migliorare se stessi e realizzarsi, così gli esercizi scandivano la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti. Esercizio filosofico per eccellenza era proprio «l’esercizio della morte»: imparare a vivere pienamente il presente integrando la consapevolezza del limite e della morte nella vita, perchè se tacciamo la domanda sul senso del tutto, della vita come della morte, vivremo lasciandoci attraversare dagli eventi, sempre proiettati al futuro e incapaci di essere presenti a noi stessi qui e ora. La morte, proprio perché obbliga a porci la domanda sul senso della nostra esistenza, è stimolo a vivere meglio e consapevolmente il tempo che ci è dato, per arrivare ad una vita serena e appagante fino all’ultimo giorno: «grati di ciò che si è avuto, perché ci si è accorti di vivere, e perdonando ciò che non si è potuto avere, o non si è potuti essere, perché impossibile da ottenere».
Gli esercizi filosofici della filosofia antica, riletti in epoca contemporanea da Pierre Hadot (Esercizi spirituali e filosofia antica, 1987), sono al centro della riflessione di Laura Campanello sul senso del vivere e del morire «che vale sia come proposta educativa e formativa, sia come possibilità di presa in carico di sé e di chi soffre». Leggendo il libro ci troviamo al cospetto di quella filosofia che ha per oggetto la cura dell’anima, la «filosofia perenne»: un aiuto concreto per guidare l’uomo verso una nuova visione sul senso della vita e della morte. La filosofia è «meditare la morte, praticare l’arte del ben vivere e del ben morire, che sono la medesima arte, come ci dice Epicuro». Morire sazi di giorni e paghi di ciò che si è stati – scrive Laura Campanello – non ha a che fare con la quantità di tempo che si è vissuto, quanto con la scelta di un modello di vita grazie al quale poter arrivare alla morte con la consapevolezza di aver vissuto.
Un’ultima considerazione merita lo stile. Laura Campanello arricchisce il suo libro, già denso nel contenuto e nella bibliografia, con molteplici citazioni tratte da romanzi, saggi, poesie, strofe di canzoni, richiami al cinema, ordendo un tessuto di pensiero sapiente, frutto di una riflessione personale, di un approfondimento teorico e professionale e soprattutto di un’esperienza di vita. Tutti motivi validi per fidarsi di un’Autrice che sa parlare a tutti di ciò che conosce per esperienza; anzi, di una donna che ha già iscritto nel nome, come lei stessa suggerisce, la vocazione di ciò che pratica a vantaggio di molte persone: «campa-nello, living in between, che è il mio stare sulla soglia, tra il vivere e il morire».